nel libero commento di Giovanna Viva
Cerchio nono: traditori
Zona seconda: Antenora il conte Ugolino e l'arcivescovo Ruggeri apostrofe di Dante contro Pisa
Zona terza: Tolomea frate Alberigo, Branca Doria
La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a'capelli 3 del capo ch'elli avea di retro guasto. |
Quel peccatore sollevò la bocca dal feroce pasto, liberandola dai capelli del capo che egli aveva reso guasto rodendolo di dietro, sull'encefalo che ricopriva quel cervello guasto, altrettanto marcio di malvagità. |
Poi cominciò: «Tu vuo' ch'io rinovelli disperato dolor che 'l cor mi preme 6 già pur pensando, pria ch'io ne favelli. |
Poi cominciò: «Tu vuoi che io rinnovi in me il disperato dolore che il cuore mi opprime al solo pensarci, prima ancora che ne parli. |
Ma se le mie parole esser dien seme che frutti infamia al traditor ch'i' rodo, 9 parlare e lagrimar vedrai insieme. |
Ma se le mie parole devono fruttare infamia al traditore che io rodo, tu mi vedrai nello stesso tempo piangere e parlare. |
Io non so chi tu se' né per che modo venuto se' qua giù; ma fiorentino 12 mi sembri veramente quand'io t'odo. |
Io non so chi tu sia, né in qual modo tu sia venuto quaggiù, ma, in verità dal tuo linguaggio mi sembri fiorentino. |
Tu dei saper ch'i' fui conte Ugolino, e questi è l'arcivescovo Ruggieri: 15 or ti dirò perché i son tal vicino. |
Tu devi sapere che io fui il conte Ugolino e questo che io rodo è l'arcivescovo Ruggeri: ora ti dirò perché io sono tanto a lui vicino. |
L'equilibrio Divino porta le creature a rinascere più o meno vicine a coloro già avuti vicini in precedenti vite. E ciò per via degli impulsi karmici che, ritornando al punto di partenza, dovranno equilibrare il campo animico dal quale scaturirono un tempo.
Desidero a tal proposito portare un esempio alla cui verità è pervenuta una persona risvegliata nei ricordi delle vite passate:
Una ricca signora decretò per un suo servitore la pena di morte e fattolo rinchiudere incatenato nello scantinato del suo palazzo, lo abbandonò alla morte per fame in quel luogo pieno di topi.
Le urla di dolore di costui disturbavano le notti "tranquille" della sua padrona, tanto che questa ordinò che venisse ucciso.
Nella vita attuale, il servitore di allora, rinasce fratello della sua ex ricca padrona, la quale, per equilibrio karmico, rinasce andicappata in questa vita attuale. Ella si muove esattamente come il suo servitore che era costretto a muoversi quando, stretto dalle catene, aveva le braccia e le gambe legate.
Inoltre costei ha delle allucinazioni e crede di vedere dei topi che le saltano addosso, mordendole le carni. Il suo medico, che credeva trattarsi di esaurimento nervoso causato dalla sua anomalia, le aveva prescritto una cura che le procurava allergia sulla pelle, provocandole macchie scure, simili all'aspetto a morsicature di topi.
La malattia della donna disturbava in più settori la vita del fratello, il quale, giunto all'età in cui era stato ucciso nella vita precedente, colto da follia, si scaglia sulla sorella uccidendola.
In tal caso, gli impulsi energetici emanati un tempo dalla ricca signora, che allora decretò la morte di lui, impulsi che egli aveva assorbito nel momento della morte, vengono espulsi dal "campo animico" (energetico) di lui e colpiscono la donna che a tali impulsi delittuosi aveva dato origine. Ed ecco che l'equilibrio vitale perduto viene in tal modo riacquistato.
È così che l'energia Karmica avvinghia le anime nello stesso luogo "fosso doloroso" della vita, che in tal caso potrebbe essere raffigurato dal "pozzo stretto", nel quale l'ex conte Ugolino rodeva il cervello dell'ex arcivescovo Ruggeri; infatti qui Ugolino spiega il motivo di tanta vicinanza.
Che per l'effetto de' suo' mai pensieri, fidandomi di lui, io fossi preso 18 e poscia morto, dir non è mestieri; |
Poiché per effetto dei suoi malvagi pensieri, venni preso e rinchiuso, essendomi fidato di lui ed ora dopo morto non occorrerebbe parlare d'altro (essendo evidente dal mio comportamento contro il Ruggeri, la terrificante sofferenza che io subii per sua colpa); |
però quel che non puoi avere inteso, cioè come la morte mia fu cruda, 21 udirai, e saprai s'e' m'ha offeso. |
però quello che tu puoi non avere inteso, io ti paleserò e udirai come egli mi ha offeso ferendomi crudelmente nell'anima e nel corpo. |
Breve pertugio dentro da la Muda la qual per me ha 'l titol de la fame, 24 e che conviene ancor ch'altrui si chiuda, |
Il breve pertugio nell'angusto spazio della mia prigione dentro la torre Muda, che per me ha il nome di "torre della fame", dove dovrebbero altri uomini rinchiudersi, |
m'avea mostrato per lo suo forame più lune già, quand'io feci 'l mal sonno 27 che del futuro mi squarciò 'l velame. |
mi aveva mostrato, attraverso le sue feritoie, già più lune (nel passar del tempo di mia prigionia), quando feci il sogno, funesto presagio di sventura, che mi rivelò la realtà che mi attendeva. |
Questi pareva a me maestro e donno, cacciando il lupo e ' lupicini al monte 30 per che i Pisan veder Lucca non ponno. |
Ruggeri pareva a me maestro e signore nella guida della caccia al lupo e ai lupicini verso il monte che divideva Pisa da Lucca (così come uccideva i Pisani che ardivano avanzare verso Lucca salendo il monte, attraversando le terre deufradate ai ricchi e sulle quali l'arcivescovo protendeva le sue "branche"). |
Con cagne magre, studïose e conte Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi 33 s'avea messi dinanzi da la fronte. |
Con cagne magre (come la "lonza" famelica e bramosa di ricchezza), Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi (seguaci del Ruggeri), si erano messi a me di fronte come a sbarrarmi il passo. |
In picciol corso mi parieno stanchi lo padre e ' figli, e con l'agute scane 36 mi parea lor veder fender li fianchi. |
Dopo breve fuga "lo padre e ' figli" il lupo e i lupicini (che nel sogno sono simbolo di Ugolino e dei figlioletti) mi parevano stanchi e pareva che le cagne, con aguzzi denti, squarciassero loro i fianchi. |
Quando fui desto innanzi la dimane, pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli 39 ch'eran con meco, e dimandar del pane. |
Quando fui desto prima del mattino, sentii piangere nel sonno i miei figlioli che erano con me, e chiedere il pane. |
Ben se' crudel, se tu già non ti duoli pensando ciò che 'l mio cor s'annunziava; 42 e se non piangi, di che pianger suoli? |
Sei ben crudele se tu non ti addolori pensando ciò che il mio cuore presagiva; e se non piangi a tal racconto, di che sei solito piangere? |
Già eran desti, e l'ora s'appressava che 'l cibo ne solea essere addotto, 45 e per suo sogno ciascun dubitava; |
Già eran desti, e si appressava l'ora del cibo, ma quel giorno ciascuno dubitava che sarebbe stato portato; |
e io senti' chiavar l'uscio di sotto a l'orribile torre; ond'io guardai 48 nel viso a' mie' figliuoi sanza far motto. |
e io sentii inchiodare l'uscio di sotto all'orribile torre; perciò guardai nel viso i miei figlioli senza parlare. |
Io non piangea, sì dentro impetrai: piangevan elli; e Anselmuccio mio 51 disse: "Tu guardi sì, padre! che hai?" |
Io non piangevo, tanto il dolore mi rese di pietra, loro piangevano e Anselmuccio mio disse: "Tu guardi così, padre! che hai?" |
Perciò non lacrimai né rispuos'io tutto quel giorno né la notte appresso, 54 infin che l'altro sol nel mondo uscìo. |
Perciò non piansi né risposi, rimasi zitto per tutto quel giorno e per la notte appresso, finché egli uscì dalla torre nel mondo Celeste. |
Come un poco di raggio si fu messo nel doloroso carcere, e io scorsi 57 per quattro visi il mio aspetto stesso, |
Quando un lieve bagliore penetrò nel doloroso carcere, ed io scorsi nei quattro visi il mio stesso aspetto, |
ambo le man per lo dolor mi morsi; ed ei, pensando ch'io 'l fessi per voglia 60 di manicar, di sùbito levorsi |
mi morsi per il dolore ambo le mani; e loro, credendo che io facessi così per voglia di mangiare, si levarono subito in piedi |
e disser: "Padre, assai ci fia men doglia se tu mangi di noi: tu ne vestisti 63 queste misere carni, e tu le spoglia". |
e dissero: "Padre, sarebbe per noi minor dolore se tu mangiassi il nostro corpo: tu ci vestisti di queste misere carni e tu ci spoglierai". |
Queta'mi allor per non farli più tristi; lo dì e l'altro stemmo tutti muti; 66 ahi dura terra, perché non t'apristi? |
Mi acquietai alora per non farli più tristi; l'uno e l'altro giorno rimanemmo tutti muti; ahi dura terra, perché non t'apristi? |
Poscia che fummo al quarto dì venuti, Gaddo mi si gittò disteso a' piedi, 69 dicendo: "Padre mio, ché non mi aiuti?" |
Dopo che fummo giunti al quarto giorno, Gaddo mi si gettò disteso ai piedi, dicendo: "Padre mio, perché non mi aiuti?" |
Quivi morì; e come tu mi vedi, vid'io cascar li tre ad uno ad uno 72 tra 'l quinto dì e 'l sesto; ond'io mi diedi, |
Ai miei piedi morì; e così vicino come tu ora vedi me, io vidi cascare i miei figli ad uno ad uno fra il quinto giorno e il sesto; per cui io mi diedi, |
già cieco, a brancolar sovra ciascuno, e due dì li chiamai, poi che fur morti. 75 Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno». |
già cieco per la fame, a brancolar sopra ciascuno, e per tre giorni, dalla loro morte, io li chiamai. Dopo, più crudele del dolore fu il digiuno, che ci fece divorar l'uno l'altro». |
Quand'ebbe detto ciò, con li occhi torti riprese 'l teschio misero co'denti, 78 che furo a l'osso, come d'un can, forti. |
Quando Ugolino ebbe finito di parlare, con occhi torvi riprese il misero teschio fra i denti, che, forti come quelli di un cane, penetravano l'osso.
Fantasia di Dante? Sì ma una "fantasia" che rivela una delle più inconfutabili realtà della vita. |
La tesi secondo la quale Ugolino avrebbe divorato i cadaveri dei propri figli viene attestata da una cronaca del secolo XIII, edita dal Villari: "I Primi due Secoli della Storia di Firenze", dove si legge: "...e quivi si trovò che ognuno mangiò delle carni dell'altro". Alcuni scrittori sono di questo parere ed altri no. Però che senso avrebbe la descrizione del furore bestiale del conte Ugolino nel "fiero pasto", senza il concetto del Karma?
Accettando, invece, tale ipotesi, il conte Ugolino sarebbe stato il mezzo portante quegli stessi impulsi creati ed emanati dal Ruggeri e che portarono Ugolino al "feroce pasto", alla cecità e alla pazzia.
Gli stessi impulsi di ritorno, dal fu Ugolino al fu Ruggeri, potrebbero aver procurato a quest'ultimo, per esempio, tumore al cervello e nello stesso rapporto del magnetismo che abbraccia tutto, conseguente cecità e pazzia.
Sulla Terra spesso si dice che Tizio porta sfortuna a Caio e la verità dell'Equilibrio Karmico resta agli umani, come sempre, sconosciuta.
Come altre volte affermato, ogni cosa che vive è Coscienza, e tutto è Dio. " Dio è il Tutto".
Ogni foglia dell'albero è Coscienza e quindi, energia che vive in funzione della Creazione tutta.
Dio non ti punisce, sei tu che puoi condannare te stesso per lungo tempo.
Se abbatti gli alberi quando ancora scorre la linfa della vita, agisci in tal modo contro te stesso. Questa causa ricade su un determinato organo, l'effetto si produrrà sull'anima, in questa o in altra vita.
Se agisci contro l'animale ti aggraverai nuovamente di colpa, perché l'essenza Divina che è nell'animale è anche in te.
Ogni impulso positivo o negativo ritorna allo stesso campo di energia che un tempo lo emanò, pertanto si può dire che tutto il male e il bene che oggi ci giunge, noi stessi un giorno lo emanammo e che la nostra vita di oggi l'abbiamo preparata ieri e quella di domani la prepariamo oggi.
Ahi Pisa, vituperio de le genti del bel paese là dove 'l sì suona, 81 poi che i vicini a te punir son lenti, |
Ahi Pisa, vituperio delle genti d'Italia, il bel paese dove il si suona, vituperio poiché i tuoi vicini sono tanto saturi di male da essere lenti ad evolversi nelle punizioni, |
muovasi la Capraia e la Gorgona, e faccian siepe ad Arno in su la foce, 84 sì ch'elli annieghi in te ogne persona! |
si muovano l'isola Capraia e la Gorgona e ostruiscano le foci dell'Arno, affinché il fiume ti sommerga e anneghi con te gli abitanti tuoi! |
Ché se 'l conte Ugolino aveva voce d'aver tradita te de le castella, 87 non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. |
Perché se il conte Ugolino aveva fama di averti tradita, per via dei castelli ceduti al nemico, non dovevi tu mettere i figlioli a tale supplizio. |
Innocenti facea l'età novella, novella Tebe, Uguiccione e 'l Brigata 90 e li altri due che 'l canto suso appella. |
Poiché la loro giovane età li rendeva innocenti di ogni errore paterno; o città delittuosa, novella Tebe, innocente fu Uguccione ed il Brigata e gli altri due (Gaddo e Anselmuccio) che il canto ricorda più sopra. |
Noi passammo oltre, là 've la gelata ruvidamente un'altra gente fascia, 93 non volta in giù, ma tutta riversata. |
Noi passammo oltre, là dove la gelata aspramente un'altra gente avvinghia, non rivolta in giù ma in su tutta riversa. |
Lo pianto stesso lì pianger non lascia, e 'l duol che truova in su li occhi rintoppo, 96 si volge in entro a far crescer l'ambascia; |
Il pianto stesso in quel luogo, impedisce di piangere, e il dolore che trova impedimento nelle stesse lacrime congelate, che bloccano gli occhi, si rivolge indietro ad accrescere l'ambascia; |
ché le lagrime prime fanno groppo, e sì come visiere di cristallo, 99 riempion sotto 'l ciglio tutto il coppo. |
poiché le prime lacrime fanno un denso groviglio, e così come visiere di cristallo, riempiono sotto le ciglia tutta la cavità dell'occhio. |
E avvegna che, sì come d'un callo, per la freddura ciascun sentimento 102 cessato avesse del mio viso stallo, |
E per quanto appariva cessato ogni sentire sul mio viso, reso insensibile dal freddo, e divenuto quasi una materia callosa, |
già mi parea sentire alquanto vento; per ch'io: «Maestro mio, questo chi move? 105 non è qua giù ogne vapore spento?» |
già mi pareva di avvertire un certo vento; perciò io dissi: «Maestro mio, chi muove l'aria? non è forse spento quaggiù ogne muovere di respiro?» |
Ond'elli a me: «Avaccio sarai dove di ciò ti farà l'occhio la risposta, 108 veggendo la cagion che 'l fiato piove». |
Egli rispose: «Presto sarai più avanti, dove l'occhio tuo stesso ti darà risposta, vedendo da dove piove il fiato». |
E un de' tristi de la fredda crosta gridò a noi: «O anime crudeli, 111 tanto che data v'è l'ultima posta, |
E uno dei miseri della fredda crosta, gridò a noi: «O anime, voi che siete tanto crudeli da avere meritato l'ultimo posto, |
levatemi dal viso i duri veli, sì ch'io sfoghi 'l duol che 'l cor m'impregna, 114 un poco, pria che 'l pianto si raggeli». |
levatemi dal viso i duri veli che impediscono che io sfoghi il dolore che il cuore m'impregna, prima che altro pianto mi si raggeli ancora». |
Per ch'io a lui: «Se vuo' ch'i' ti sovvegna, dimmi chi se', e s'io non ti disbrigo, 117 al fondo de la ghiaccia ir mi convegna». |
Perciò io risposi: «Se tu vuoi che ti aiuti, dimmi chi sei e se non ti libero dai veli di ghiaccio, che io possa finire nel male di Cocito». |
Rispuose adunque: «I' son frate Alberigo; i' son quel da le frutta del mal orto, 120 che qui riprendo dattero per figo». |
Dunque rispose: «Io sono frate Alberigo; sono quello cresciuto nell'orto del male, che ora riprendo "dattero per fico" (poiché il riscatto della mia anima offuscata, qui dentro è più pesante della colpa che offuscò in me la divina legge d'amore)».
Alberigo di Ugolino dei Manfredi di Faenza, frate godente, uno dei capi guelfi. Egli, con il pretesto di volersi riconciliare con i suoi parenti, Manfredo e Alberghetto dei Manfredi, il 2 maggio 1285, li invitò nella sua villa di Cesate e, come afferma il Buti, "Quando essi ebbono desinato tutte le vivande, elli comandò che venissero le frutta et allora venne sua famiglia armata, com'elli aveva ordinato, et uccisono tutti costoro alle mense, com'erano a sedere; e però s'usa dire: Elli ebbe delle frutta di frate Alberigo". |
«Oh!», diss'io lui, «or se' tu ancor morto?». Ed elli a me: «Come 'l mio corpo stea 123 nel mondo sù, nulla scïenza porto. |
«Oh!», gli dissi, «ora sei già di nuovo morto? (In questa involuta dimensione ancora ricaduto?)». Ed egli mi rispose: «Come il mio corpo stava in precedenza nel mondo, così è ancora oggi, nessuna acquisita esperienza io reco in me (pertanto sono di nuovo nato in questo inferno).
Quando l'anima necessita di una svolta evolutiva più svelta, si nasce e si muore in fretta, nel correttivo esilio terrestre. |
Cotal vantaggio ha questa Tolomea, che spesse volte l'anima ci cade 126 innanzi ch'Atropòs mossa le dea. |
Tale vantaggiosa prerogativa ha questa Terra, poiché spesse volte l'anima ricade nella sofferenza, aprendosi a nuove vite, prima che la Parca Atropòs (che è il destino che decreta la morte), dia mossa alcuna (non obbedendo a Leggi Divine, bensì spinta da delittuose opere umane).
Dante attribuisce alla Terra il nome di Tolomea, che nel suo significato etimologico vuol dire "cupola popolata da uomini armati", ciò è la risultante della parola greca "tholos" cupola e della parola araba "mehalla" colonna di uomini armati. |
E perché tu più volentier mi rade le 'nvetrïate lagrime dal volto, 129 sappie che, tosto che l'anima trade |
Affinché tu con migliore disposizione d'animo mi tolga dagli occhi le lacrime ghiacciate, sappi che, appena l'anima tradisce |
come fec'io, il corpo suo l'è tolto da un demonio, che poscia il governa 132 mentre che 'l tempo suo tutto sia vòlto. |
così come ho fatto io, il corpo che la riveste viene invaso da un demonio che ne dispone fino a quando non giunge a compimento il tempo della vita assegnatale. |
La ruota del Karma ripete le stesse esperienze espiative alleggerendo i suoi giri di vita in vita fino al completo espiamento dell'espiazione. Così come precedentemente affermato, similmente ai cerchi prodotti da un sasso gettato nell'acqua o ai cerchi sonori di un tocco di campana, gli uni e gli altri si ripetono alleggerendosi fino all'espletamento di quelle vibrazioni.
Ognuno di noi è una nuova edizione di una entità già preesistita.
A tale proposito desidero portare un esempio che dimostra come è certo che si può rinascere sulla Terra dopo essere stati uccisi e per tornare a subire una identica morte quando l'anima necessita di una svelta evoluzione, senza "ch'Atropòs mossa le dea" (v. 126), bensì per opera della "mehalla" colonna di uomini armati che imperversano su "tholos" povera cupola nefanda, la Terra (Tolomea).
Paralleli Karmici illustrati dal Conte Louis Hamon nel suo libro Cheiro's Book of Numbers (Arc. 1964):
Le ricerche sul karma del Presidente John F. Kennedy hanno portato alla scoperta di più di 60 analogie tra l'assassinio del Presidente Lincoln e quello di John Kennedy, fra cui:
È evidente, quindi, che il presidente Lincoln e John Kennedy sono la stessa persona vissuta in tempi e con esperienze diverse se pur somiglianti fra esse, in quanto, come già detto, una vita è niente in confronto all'eternità dell'esistenza e pertanto non basta, nell'arco della sua durata, a smaltire una colpa.
Di tali ripetersi di eventi parla anche Eugenio Montale. Egli dice:
" Si ripetono i colpi e i passi nella prigione (terrestre), mentre l'occhio del Guardiano (l'occhio di Dio) guarda dallo spioncino... (dall'alto dei Cieli...)".
Ed ecco il contemporaneo Cesare Montanari che a tal proposito dice:
"Nulla avviene per caso nella creazione animata e proiettata capillarmente in tutto l'universo. Ogni creatura che nasce è una nuova edizione di una entità già preesistita.
L'UOMO MUORE NASCENDO E RINASCE MORENDO Nessuno vive senza esser mai nato Nessuno muore senza esser mai morto, Poiché il morir non è che un altro stato Di vita che conduce ad altro porto. L'arengo umano è come un piccol orto Costretto ad un sentiero limitato. Per l'ignoranza di un mirar ben corto In questo viver ch'è più o meno amato. Io vissi ancor, mi son più volte accorto Su questa tondeggiante ed aspra terra, In altri cicli e con ben altra storia. Sembra un enigma eppur è alta gloria Di Dio che agisce e l'esser dissotterra, E di questo avvien fin che è al Ciel risorto. CESARE MONTANARI |
I più grandi pensatori di tutti i tempi hanno creduto alla Reincarnazione:
ADA NEGRI: "Vissi innanzi d'aver questa mia forma fuggitiva. Io lo so, vissi innanzi d'incarnarmi nel corpo che domani spento sarà..."
GUSTAVO FLAUBERT: "Io non ho come voi quel senso della vita come principio, quello stupore di una esistenza ai suoi inizi. A me sembra al contrario di essere sempre esistito. Mi vedo in varie epoche della storia, nitidamente occupato in varietà di mestieri. Se solo conoscessimo la nostra vera genealogia, molte cose si spiegherebbero".
SANDOR PETOFI: "L'anima è immortale. Fra le altre cose io ricordo, fui Cassio in Roma, in Elvezia Guglielmo Tell, in Parigi Desmoulins Camillo, anche qui, forse, qualcosa diverrò".
HEINRIC HEIN: "Chi può sapere in quale sarto vive oggi l'anima di un Platone? E di un Cesare? In quale maestro di scuola? Chissà! Forse l'anima di Pitagora è alloggiata in un povero candidato che fu bocciato all'esame per la sua incapacità di provare la teoria Pitagorea".
GUSTAVO MAHLER (nella biografia di Richard Specht): "Tutti, tutti ritorniamo, è questa la certezza che dà senso alla vita e non importa se riusciremo o no a ricordare le vite precedenti. Ciò che conta è la grande aspirazione alla purezza ed alla perfezione, che continua a vivere ad ogni reincarnazione".
Ella ruina in sì fatta cisterna; e forse pare ancor lo corpo suso 135 de l'ombra che di qua dietro mi verna. |
L'anima ricade "in sì fatta cisterna" determinato cerchio e forse vive ancora nella stessa vita quel corpo che appartiene all'anima che qua dietro di me "sverna" in temporaneo esilio. |
Tu 'l dei saper, se tu vien pur mo giuso: elli è ser Branca Doria, e son più anni 138 poscia passati ch'el fu sì racchiuso». |
Tu lo devi sapere, se vieni in questo momento qua giù: egli è ser Branca Doria, e sono più anni che già espia in questa sfera di maggior dolore». |
«Io credo», diss'io lui, «che tu m'inganni; ché Branca Doria non morì unquanche, 141 e mangia e bee e dorme e veste panni». |
«Io credo», dissi a lui, «che tu m'inganni; perché Branca Doria vive nel mondo, mangia, beve, dorme e usa vestirsi, ha, quindi, un normale corpo fisico». |
«Nel fosso sù», diss'el, «de' Malebranche, là dove bolle la tenace pece, 144 non era ancor giunto Michel Zanche, |
«Vive sù ma nel fosso», egli rispose, «dei "malebrancheuomini", là dove bolle la tenace pece del terrestre soffrire, e non era ancora giunto Michele Zanche, |
che questi lasciò il diavolo in sua vece nel corpo suo, ed un suo prossimano 147 che 'l tradimento insieme con lui fece. |
che Branca Doria lasciò il diavolo nel suo corpo (abbandonandosi alla diabolica brama di ricchezza e di potere), e vi lasciò anche un suo parente prossimo (poiché seguì i malvagi consigli di costui), il quale lo spinse a fare il tradimento assieme a lui.
Branca Doria si trovava nella stessa sfera espiativa di frate Alberigo, perché anch'esso aveva ucciso un suo parente, il suocero Michele Zanche, che lui aveva invitato a pranzo; lo aveva ucciso per impadronirsi della Signoria di Logudoro. |
Ma distendi oggimai in qua la mano; aprimi li occhi». E io non gliel'apersi; 150 e cortesia fu lui esser villano. |
Ma distendo ormai in qua la mano; e aprimi gli occhi liberandoli dal ghiaccio». Ed io non glieli apersi; e cortesia gli usai con tal villania (poiché dandogli aiuto avrei agito contro di lui, trasgredendo alla Suprema Legge che decretò la sua pena per accomodare i guasti dell'anima prodotti dalle colpe). |
Ahi Genovesi, uomini diversi d'ogne costume e pien d'ogne magagna, 153 perché non siete voi del mondo spersi? |
Ahi Genovesi, uomini diversi, lontani da ogni buona costumanza e pieni d'ogni vizio, perché non foste voi dispersi dal Divino Equilibrio e proiettati al di fuori del genere umano? |
Ché col peggiore spirto di Romagna trovai di voi un tal, che per sua opra in anima in Cocito già si bagna, 157 e in corpo par vivo ancor di sopra. |
Perché insieme con lo spirito di Alberigo, il peggiore di Romangna, trovai un tale della vostra stirpe, che con l'anima è immerso nel male di Cocito e col corpo è ancor vivo sulla Terra.
Ogni creatura che si appalesa sulla Terra, non ha forse l'anima nell'amarezza di una Sfera spirituale più o meno infuocata, più o meno gelida, più o meno profonda, che stringe il cuore e la mente nel soffrire umano e a volte avvinghia così tanto da rendere impossibile la vita? |