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La Commedia
di Dante Alighieri

alla luce della Filosofia Cosmica
in chiave parapsicologica

INFERNO ­ Canto XXXII

nel libero commento di Giovanna Viva

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Cerchio nono: traditori
Zona prima: Caina ­ i conti degli Alberti, Mordrec, Focaccia de' Cancellieri, Sassol, Mascheroni, Camicione de' Pazzi
Zona seconda: Antenora ­ Bocca degli Abati, Buoso da Duera, Tesauro de' Beccheria, Gianni de' Soldanieri, Gano, Tebaldello Zambiasi, il conte Ugolino e l'arcivescovo Ruggeri



       S'ïo avessi le rime aspre e chiocce,
     come si converrebbe al tristo buco
   3 sovra 'l qual pontan tutte l'altre rocce,

Se io avessi le rime sgradevoli e discordanti di errate conoscenze comprensibili agli umani "come si converrebbe al tristo buco" il pianeta Terra, sul quale gravitano tutti i peccati,

Dante devinisce la terra a volte "buco" altre volte "sasso", essendo essa un sasso nell'astrofisico e un buco nell'energia del Cosmo.


       io premerei di mio concetto il suco
     più pienamente; ma perch'io non l'abbo,
   6 non sanza tema a dicer mi conduco;

importerei pienamente il succo del mio concetto, ma poiché tali rime non ho, non senza paura in questa burrascosa marea d'incomprensione a parlare m'induco.

       ché non è impresa da pigliare a gabbo
     discriver fondo a tutto l'universo,
   9 né da lingua che chiami mamma o babbo.

Non è uno scherzo, ma ardua impresa parlare a fondo di tutto l'Universo, né tal discorso è adatto a coloro che chiamano mamma o babbo (quei fratelli di umano cammino mediante i quali si ritorna alla vita per proseguire le individuali esperienze di cui l'anima è ancora carente).

       Ma quelle donne aiutino il mio verso
     ch'aiutaro Anfïone a chiuder Tebe,
  12 sì che dal fatto il dir non sia diverso.

È necessario quindi l'aiuto delle Muse, di quelle donne extraterrestri che aiutarono Anfione a recingere la città di Tebe (con i massi che si staccarono dal monte Citerone, con la forza dell'energia che esse fecero scaturire dalla musica della sua lira), così che, per quanto ciò incredibile appaia, la verità del fatto non si differenzia dal mitologico racconto.

In verità tutti gli avvenimenti definiti "miracoli" sono frutto di una Scienza Celeste sconosciuta sulla Terra.


       Oh sovra tutte mal creata plebe
     che stai nel loco onde parlare è duro,
  15 mei foste state qui pecore o zebe!

Oh più d'ogni altra, spregevole plebe, che stai nel pianeta in cui è duro parlar del Vero, meglio sarebbe stato che in Terra foste nate pecore o capre (poiché, in tal caso, nell'autodistruzione non avreste operato)!

       Come noi fummo giù nel pozzo scuro
     sotto i piè del gigante assai più bassi,
  18 e io mirava ancora a l'alto muro,

Come noi fummo giù in quel pozzo scuro reso infimo dalla presenza dei peccatori, più basso dei piedi di Anteo, ed io miravo ancora l'alto muro dell'evoluzione,

       dicere udi'mi: «Guarda come passi:
     va sì, che tu non calchi con le piante
  21 le teste de' fratei miseri lassi».

udii una voce che mi disse: «Guarda dove metti i piedi: muoviti in modo da non calcare con le piante le teste dei tuoi fratelli miseri e stanchi».

       Per ch'io mi volsi, e vidimi davante
     e sotto i piedi un lago che per gelo
  24 avea di vetro e non d'acqua sembiante.

Ed io mi volsi e vidi a me davanti e sotto i piedi un lago che per il gelo aveva l'apparenza del vetro e non dell'acqua.

       Non fece al corso suo sì grosso velo
     di verno la Danoia in Osterlicchi,
  27 né Tanaï là sotto 'l freddo cielo,

Non fece così spessa coltre di ghiaccio neanche, in inverno, il Danubio in "Osterlicchi" Oesterreich, "né Tanaï" né il Don sotto il freddo cielo della Russia,

       com'era quivi; che se Tambernicchi
     vi fosse sù caduto, o Pietrapana,
  30 non avria pur da l'orlo fatto cricchi.

come era qui; una crosta tanto dura che se il monte Tambernicchi o quello di Pietrapagana vi fossero caduti sopra, non avrebbero neanche sull'orlo fatto schegge.

       E come a gracidar si sta la rana
     col muso fuor de l'acqua, quando sogna
  33 di spigolar sovente la villana;

E come a gracidar sosta la rana col muso fuor dell'acqua, sognando il tempo della mietitura;

       livide, insin là dove appar vergogna
     eran l'ombre dolenti ne la ghiaccia,
  36 mettendo i denti in nota di cicogna.

livide, erano le anime confitte nel ghiaccio fin dove appar vergogna ed emettevano un batter di denti che produceva un ticchettio simile a quello che fa col becco la cicogna.

       Ognuna in giù tenea volta la faccia;
     da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo
  39 tra lor testimonianza si procaccia.

Ogni creatura teneva la faccia rivolta in giù, dalla bocca traspariva la sofferenza fisica del freddo, dagli occhi la gelida tristezza del cuore.

       Quand'io m'ebbi dintorno alquanto visto,
     volsimi a' piedi, e vidi due sì stretti,
  42 che 'l pel del capo avieno insieme misto.

Volsi lo sguardo intorno e vidi ai miei piedi, due così stretti, che i capelli avevano uniti in una sola chioma.

       «Ditemi, voi che sì strignete i petti»,
     diss'io, «chi siete?» E quei piegaro i colli;
  45 e poi ch'ebber li visi a me eretti,

«Ditemi, voi così uniti», io dissi loro, «chi siete?» E quelli piegarono i colli all'indietro; e poi che ebbero i visi levati verso di me,

       li occhi lor, ch'eran pria pur dentro molli,
     gocciar su per le labbra, e 'l gelo strinse
  48 le lagrime tra essi e riserrolli.

i loro occhi, prima bagnati di pianto, furono induriti dal gelo che congelò le lacrime, le quali cadendo sulle labbra li ricongiunsero l'uno all'altro, bocca a bocca, quasi in un forzato atto di bacio.

       Con legno legno spranga mai non cinse
     forte così; ond'ei come due becchi
  51 cozzaro insieme, tanta ira li vinse.

Mai spranga di ferro tenne strette due travi di legno forte così.

Tale Karma, come già affermato nella descrizione della "fiamma di Ulisse" potrebbe riferirsi alle tragiche esperienze dei fratelli siamesi.
Mentre componevo questa pagina mi accadde di posare lo sguardo su di un articolo del "Giornale" datato 24­2­'85, che parla di due fratellini siamesi dei quali si potrebbe dire che: "Con legno legno spranga mai non cinse forte così".


       E un ch'avea perduti ambo li orecchi
     per la freddura, pur col viso in giùe,
  54 disse: «Perché cotanto in noi ti specchi?

Ed un altro che per gelo aveva perduto ambo gli orecchi, seguitando a tenere il viso basso, in loro vece rispose: «Perché ci fissi così attentamente?

       Se vuoi saper chi son cotesti due,
     la valle onde Bisenzo si dichina
  57 del padre loro Alberto e di lor fue.

Se vuoi sapere chi sono codesti due, ti dico che la valle in cui il fiume Bisenzio scende verso Prato fu loro e del loro padre Alberto.

Si tratta dei due figli del conte Alberto degli Alberti, signore del castello di Magonza. I due fratelli si inimicarono per ragioni d'interesse e politiche e tanto profondo fu il loro odio che si uccisero a vicenda così come ora "si uccidono a vicenda", ma per Mano Divina (nell'impossibilità di vivere in un solo corpo: "siamesi")


       D'un corpo usciro; e tutta la Caina
     potrai cercare, e non troverai ombra
  60 degna più d'esser fitta in gelatina;

Uscirono dal grembo materno, formati "d'un sol corpo e se cercassi fra tutta la categoria dei "Caini", nel Cainismo del mondo, non troveresti anima degna più di loro di essere confitta in gelatina;

       non quelli a cui fu rotto il petto e l'ombra
     con esso un colpo per la man d'Artù;
  63 non Focaccia; non questi che m'ingombra

neanche quelli a cui fu trafitto il corpo e l'anima, con un colpo per mano di Artù, né Focaccia, né questo che m'ingombra

       col capo sì, ch'i' non veggio oltre più,
     e fu nomato Sassol Mascheroni;
  66 se tosco se', ben sai omai chi fu.

col capo, così che io non vedo più oltre e fu di nome Sassol Mascheroni; se toscano tu sei, ben sai ormai chi egli fu.

Mascheroni di Firenze uccise un fanciullo per carpirne l'eredità.


       E perché non mi metti in più sermoni,
     sappi ch'i' fu' il Camiscion de' Pazzi;
  69 e aspetto Carlin che mi scagioni».

E affinché tu non mi ponga altre domande, sappi che io sono Camicione de' Pazzi di Valdarno e aspetto il mio parente Carlino de' Pazzi, le cui colpe, superando le mie, mi scagioneranno dall'accusa di essere il peggiore dei de' Pazzi)».

Carlino, essendo di parte Bianca, consegnò ai Neri, nel 1302, il castello de Piantravigne, dove si trovavano molti esuli Bianchi che vennero trucidati dai Neri.


       Poscia vid'io mille visi cagnazzi
     fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
  72 e verrà sempre, de' gelati guazzi.

Dopo vidi una moltitudine di visi divenuti per il freddo lividi e brutti, per cui mi viene il brivido, che sempre verrà a coloro che vedranno quegli acquitrini ghiacciati.

       E mentre ch'andavamo inver' lo mezzo
     al quale ogne gravezza si rauna,
  75 e io tremava ne l'etterno rezzo;

E mentre andavamo verso il centro dove ogni pesante colpa si raduna, ed io tremavo nell'eternità del gelo tenebroso;

       se voler fu o destino o fortuna,
     non so; ma, passeggiando tra le teste,
  78 forte percossi 'l piè nel viso ad una.

non so se per caso o per volontà Divina, ma, passeggiando tra le teste, percossi forte un volto col mio piede come fossi stato un punitore.

       Piangendo mi sgridò: «Perché mi peste?
     se tu non vieni a crescer la vendetta
  81 di Montaperti, perché mi moleste?»

Piangendo quello mi sgridò: «Perché mi pesti? Se tu non vieni ad accrescere la mia punizione per il tradimento nella battaglia di Montaperti, perché mi molesti?»

       E io: «Maestro mio, or qui m'aspetta,
     si ch'io esca d'un dubbio per costui;
  84 poi mi farai, quantunque vorrai, fretta».

E io pregai Virgilio: «Maestro mio, aspettami qui, così che io possa chiarire il dubbio riguardo a costui; e poi per quanto vorrai mi farai fretta».

       Lo duca stette, e io dissi a colui
     che bestemmiava duramente ancora:
  87 «Qual se' tu che così rampogni altrui?»

Il duca attese ed io dissi a colui che duramente contro di me imprecava ancora: «Chi sei tu che tanto inveisci rimproverando gli altri?»

       «Or tu chi se' che vai per l'Antenora,
     percotendo», rispuose, «altrui le gote,
  90 sì che, se fossi vivo, troppo fora?»

«Dimmi tu chi sei che vai per l'Antenora, percotendo», egli rispose, «le altrui gote, così che, "se fossi vivo" spiritualmente maturo, fin troppo sarebbe questo tuo ardire?»

       «Vivo son io, e caro esser ti puote»,
     fu mia risposta, «se dimandi fama,
  93 ch'io metta il nome tuo tra l'altre note».

«"Vivo son io" risvegliato nel Vero, e potrebbe esserti prezioso», risposi, «il sapere che puoi chiedermi, se vuoi, di renderti famoso mettendo il nome tuo nel mio messaggio».

       Ed elli a me: «Del contrario ho io brama.
     Lèvati quinci e non mi dar più lagna,
  96 ché mal sai lusingar per questa lama!»

Ed egli a me: «Io desidero il contrario. Levati quindi e non mi dar più noia, poiché male sai lusingare in questa bolgia tagliente!»

       Allor lo presi per la cuticagna,
     e dissi: «El converrà che tu ti nomi,
  99 o che capel qui sù non ti rimagna».

Allora io lo presi per la nuca afferrandogli i capelli e gli dissi: «Ti converrà dire il tuo nome, oppure qui sulla cute non ti rimarranno più capelli».

       Ond'elli a me: «Perché tu mi dischiomi,
     né ti dirò ch'io sia, né mosterrolti,
 102 se mille fiate in sul capo mi tomi».

Ed egli rispose: «Per quanto tu mi dipeli non ti dirò il mio nome, né ti mostrerò le mie sembianze, anche se mille volte sul mio capo ti scagli».

       Io avea già i capelli in mano avvolti,
     e tratto glien'avea più d'una ciocca,
 105 latrando lui con li occhi in giù raccolti,

Io avevo già i capelli in mano avvolti e gliene avevo strappato più d'una ciocca, ed egli latrava con gli occhi rivolti in giù,

       quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca?
     non ti basta sonar con le mascelle,
 108 se tu non latri? qual diavol ti tocca?»

quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca per gridare tanto? non ti basta battere le mascelle se tu non latri? quale diavolo ti tormenta?»

       «Omai», diss'io, «non vo' che più favelle,
     malvagio traditor; ch'a la tua onta
 111 io porterò di te vere novelle».

«Ormai», io dissi, «non voglio che parli più, malvagio traditore; poiché io, a tua vergogna, porterò al mondo notizie certe».

       «Va via», rispuose, «e ciò che tu vuoi conta;
     ma non tacer, se tu di qua entro eschi,
 114 di quel ch'ebbe or così la lingua pronta.

«Va via», egli rispose, «racconta ciò che vuoi; ma non tacere, se tu di qui uscirai, di quello che ebbe ora la lingua così pronta a dire il mio nome.

       El piange qui l'argento de' Franceschi:
     "Io vidi", potrai dir, "quel da Duera
 117 là dove i peccatori stanno freschi".

Buoso di Dovera piange il tradimento ai danni di Manfredi: "Io vidi", tu potrai dire, "il di Dovera, lì dove i peccatori stanno al fresco".

Buoso di Dovera, venduto ai francesi, non li contrastò e contribuì, in tal modo, alla sconfitta dei Ghibellini e di Manfredi.


       Se fossi domandato "Altri chi v'era?",
     tu hai dallato quel di Beccheria
 120 di cui segò Fiorenza la gorgiera.

Se ti venisse domandato "Chi altro c'era?", tu hai qui a lato Tesauro di Beccheria, abate di Vallombrosa, al quale i fiorentini segarono la gola.

Tesauro di Beccheria fu decapitato per aver congiurato con i Ghibellini, scacciati da Firenze, per farli rientare nella città.


       Gianni de' Soldanier credo che sia
     più là con Ganellone e Tebaldello,
 123 ch'aprì Faenza quando si dormia».

E quello più in là credo che sia Gianni de' Soldanier ed è con Ganellone e Tebaldello, che aprì le porte di Faenza durante la notte».

Ganellone è Gano di Maganza, il traditore che causò la rotta di Roncisvalle.
Tebaldello è Tebaldello di Faenza che aprì le porte di Faenza ai bolognesi guelfi, per vendicarsi di una beffa fattagli da alcuni bolognesi ghibellini.


       Noi eravam partiti già da ello,
     ch'io vidi due ghiacciati in una buca,
 126 sì che l'un capo a l'altro era cappello;

Noi eravamo già partiti da quel luogo quando vidi due ghiacciati in una buca, così stretti in modo che il capo dell'uno stava sopra quello dell'altro a guisa di cappello;

       e come 'l pan per fame si manduca,
     così 'l sovran li denti a l'altro pose
 129 là 've 'l cervel s'aggiugne con la nuca:

e come il pane si divora per fame, così quello di sopra i denti conficcava nella testa dell'altro di sotto, nel punto in cui il cervello si unisce con la nuca:

Come si vedrà nel prossimo canto, si tratta del conte Ugolino e dell'Arcivescovo Ruggeri.
Anche qui il pensiero va alla pena che spetta a coloro che ebbero un simile comportamento in precedenti vite.


       non altrimenti Tidëo si rose
     le tempie a Menalippo per disdegno,
 132 che quei faceva il teschio e l'altre cose.

non altrimenti fece Tideo (uno dei sette re che assediarono Tebe), quando, ferito a morte dal tebano Menelippo, riuscì ad ucciderlo e, fattosi portare il suo capo, cominciò a roderlo furiosamente al cervello e alle "altre cose" altre parti molli della testa.

       «O tu che mostri per sì bestial segno
     odio sovra colui che tu ti mangi,
 135 dimmi 'l perché», diss'io, «per tal convegno,

«O tu che dimostri tanto odio per colui che ti mangi, dimmi perché», io dissi, «ti comporti con tanta bestialità,

       che se tu a ragion di lui ti piangi,
     sappiendo chi voi siete e la sua pecca,
     nel mondo suso ancora io te ne cangi,
 139   se quella con ch'io parlo non si secca».

poiché se tu di lui ti duoli sapendo io chi voi siete e qual'è la colpa che vi tormenta, possa contracambiarvi nel mondo "suso" di Lassù, (narrando la vostra punizione, affinché vi giunga il Celeste perdono), sempre che questa lingua, con la quale io parlo, nel raccontare le vostre pene orrribili, non si dissecchi».

"Sofferenze orribili", fantasie di Dante? Nulla di esagerato esiste in queste descrizioni dall'apparenza irreale. Esse riportano invece la reale immagine della dolorosa corrispondenza della pena alla colpa commessa. Così, ad esempio, nell'immagine dei due fratelli Napoleone ed Alessandro degli Alberti, che l'odio condusse a reciproca uccisione, la pena è rappresentata da un forzato atto di bacio, per via di quell'amore fraterno che nel passato era loro mancato.
La sofferenza provocata dalle lacrime, che negli occhi e sulla bocca si congelano e dagli orecchi perduti nel gelo, non riportano forse alla mente l'atroce sofferenza degli scalatori che sulle montagne, appesi ad una corda sulla neve, attendono la morte? E la pena dei due ghiacciati in una buca, "sì che l'un capo a l'altro era cappello" non può corrispondere forse ad una delle tante condanne a morte, che consisteva nel gettare i condannati a morire nelle strette buche dei pozzi o nelle fenditure delle rocce dei monti?
Nulla avviene per caso negli eventi della vita, tutto ha un suo "perché".

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