nel libero commento di Giovanna Viva
Cerchio ottavo: fraudolenti
Bolgia nona: seminatori di discordie Geri del Bello
Bolgia decima: falsari i falsari di metalli (alchimisti): Griffolino e Capocchio
La molta gente e le diverse piaghe avean le luci mie sì inebriate, 3 che de lo stare a piangere eran vaghe. |
La molta gente e le diverse punizioni avevano sconvolto gli occhi miei, ormai prossimi al pianto. |
Ma Virgilio mi disse: «Che pur guate? perché la vista tua pur si soffolge 6 là giù tra l'ombre triste smozzicate? |
Ma Virgilio mi disse: «Perché guardi così? perché la tua vista si sofferma laggiù tra le ombre triste mutilate? |
Tu non hai fatto sì a l'altre bolge; pensa, se tu annoverar le credi, 9 che miglia ventidue la valle volge. |
Non hai fatto così nelle altre bolge (tanto più colme di atroci dolori); sappi, se tu credi di poter considerare ciascuna di quelle dolorose espiazioni, che miglia ventidue misura il circuito di questa bolgia. |
Anche volendo ricordare col numero "ventidue miglia", il protrarsi del tempo nei 2.000 anni ed oltre, delle sofferenze umane prima della seconda venuta del Cristo, queste indicazioni precise non devono spingere, come altre volte è stato fatto a costruire con rigore matematico la possibilità della misura di un baratro infernale.
Come già affermato, la "bolgia" non va intesa come un pozzo, un fosso, un baratro fra tanti pozzi, cerchi e valli.
La "valle del pianto" è soltanto la Terra, valle di lacrime, inferno di dolore, bolgia infuocata dalle diverse sofferenze umane, dove le anime, sia vicine che lontane, sono più o meno strettamente unite tra loro "di bolgia in bolgia", cioè di espiazione in espiazione, secondo il programma del Genio Creativo il quale, di dimensione in dimensione, in un'unica Legge evolutiva, tutto regge, compenetra, equilibra ed armonizza.
Le misure del baratro infernale sono poste dal poeta per un preciso senso di realismo descrittivo che ricorda nel contempo l'espansione degli ultimi "cerchi" di dolore, tanto meno dolenti quanto più nel tempo si allontanano dalla causa che provocò il doloroso karmico effetto, poiché, simili ai "cerchi" provocati da un sasso gettato nell'acqua o da un tocco di campana nelle onde sonore e che, stretti dapprima nella loro forza inziale spandendosi in giri concentrici si allontanano fino a scomparire, così anche i cerchi dell'espiazione, in un susseguirsi di nascite e di morti, di gioie e di dolori, ingrandendosi sempre più, come "il gran cerchio di miglia ventidue che la valle volge", scompaiono del tutto nella felicità di un giorno radioso. Tale giorno è ormai vicino per l'Umanità del pianeta Terra, che volge al termine la sua infuocata notte di dolore verso la Luce imminente della "Seconda Venuta del Cristo".
Ed ecco che il Piano Umano è sottoposto alle regole imposte dalla Mente Creativa, che orchestra il complesso gioco delle energie e delle forze mediante la Legge di CausaEffetto.
Volendo interpretare in chiave umana la grandezza di questa inevitabile Legge Universale, noi leggiamo nella Genesi (9:6): "Chiunque spargerà il sangue dell'uomo il suo sangue sarà sparso dall'Uomo".
E ancora, in Matteo (26:52): "Tutti quelli che uccideranno con la spada di spada periranno".
E già la luna è sotto i nostri piedi: lo tempo è poco omai che n'è concesso, 12 e altro è da veder che tu non vedi». |
"E già la luna è sotto i nostri piedi" (in questa tumultuosa "notte dei tempi", in cui ancora si dibatte l'anima dolente): "il tempo è poco ormai che vien concesso" (per la continuità evolutiva) alla dolorosa materia delle forme terrestri, poiché l'alba radiosa si approssima.
È delle forme terrestri che lo Spirito Universale di Vita si riveste per manifestarsi nel tempo finito e nello spazio limitato al di fuori del quale l'uomo non avrà più per sua patria questo infinitesimale pianeta ma l'Universo infinito. |
Questo potrebbe riferirsi alla discesa dei Fratelli del Cielo, che avverrà nel momento finale apocalittico in cui la Terra, avvelenata dagli esperimenti atomici e dagli impulsi negativi emanati dall'Umanità, quale cellula morente, avrà le sue convulsioni. Essa sarà sul punto di disintegrarsi e sconvolgere l'intero sistema solare. Sarà allora che Loro avranno dall'Equilibrio Divino il "permesso" di intervenire in nostro aiuto, poiché soltanto allora avrà fine il "Libero Arbitrio" che consente libertà assoluta nell'operare sul proprio pianeta.
I Fratelli Maggiori della nostra Grande Famiglia Universale salveranno noi terrestri, loro incapaci fratelli minori, dall'autodistruzione, frapponendo fra la Terra e il Sole un'astronave gigantesca provvista di macchinari scientifici enormemente avanzati, i quali convoglieranno l'energia solare in direzione opposta alla Terra. Questa, priva di energia, non potrà disintegrarsi, così come non potrebbe scoppiare una lampada elettrica che venisse privata dell'energia proveniente dal conduttore di corrente. Tutto ciò, se Iddio non accorcia i tempi, dovrebbe verificarsi durante l'imminente guerra atomica mondiale. Solo in quel momento Loro potranno fermare la cattiveria umana.
In riferimento a quei giorni, San Paolo scrisse, nella Prima Epistola ai Tessalonicesi (4:1617):
"I morti in Cristo risorgeranno per primi (nel Regno dei Cieli), poi noi i rimasti in vita (i sopravvissuti alla catastrofe mondiale) saremo insieme con loro (con i Fratelli del cielo) rapiti sulle nuvole (portati su con dischi volanti) a scontrare il signore nell'aria (nell'impatto con la Superiore Coscienza) e così saremo sempre col Signore (nella felicità del Regno di Dio)".
«Se tu avessi», rispuos'io appresso, «atteso a la cagion per ch'io guardava, 15 forse m'avresti ancor lo star dimesso». |
«Se tu avessi», risposi a Virgilio, «badato al motivo per cui in quella bolgia guardavo, forse mi avresti permesso di restarci ancora». |
Parte sen giva, e io retro li andava, lo duca, già faccendo la risposta, 18 e soggiugnendo: «Dentro a quella cava |
E intanto che il mio duca andava avanti, io lo seguivo rispondendogli ciò che ora ho riferito e soggiungevo: «Dentro quella fossa |
dov'io tenea or li occhi sì a posta, credo ch'un spirto del mio sangue pianga 21 la colpa che là giù cotanto costa». |
dove io guardavo appunto così attentamente, credo che uno Spirito del mio sangue pianga quella colpa che cotanta espiazione richiede». |
Allor disse 'l maestro: «Non si franga lo tuo pensier da qui innanzi sovr'ello. 24 Attendi ad altro, ed ei là si rimanga; |
Allora il maestro disse: «Il tuo pensiero, da qui innanzi, non interrompa il suo corso (sulla via della Conoscenza per impietosirsi), non badare a lui (ma alle altre cose per le quali hai intrapreso questo viaggio), ed egli rimanga pure dove la Divina Giustizia lo ha posto (affinché la sua anima acquisti i dovuti meriti); |
ch'io vidi lui a piè del ponticello mostrarti, e minacciar forte, col dito, 27 e udi' 'l nominar Geri del Bello. |
poiché io vidi lui ai piedi del ponticello guardare minaccioso il alto indicandoti col dito e udii pronunciare il nome: "Geri del Bello". |
Tu eri allor sì del tutto impedito sovra colui che già tenne Altaforte, 30 che non guardasti in là, sì fu partito». |
Tu eri allora tutto proteso a guardare giù dall'alto del ponte sopra colui che già fu il signore di Altaforte, Bertram dal Bornio e non guardasti dalla parte di Geri fino a quando Bertram non fu partito». |
«O duca mio, la vïolenta morte che non li è vendicata ancor», diss'io, 33 «per alcun che de l'onta sia consorte, |
«O duca mio, la violenta morte che non gli è stata vendicata ancora», dissi io, «da un suo consanguineo che sia partecipe all'offesa subita, |
fece lui disdegnoso; ond'el sen gio sanza parlarmi, sì com'io estimo: 36 e in ciò m'ha el fatto a sé più pio». |
fece lui disdegnoso nei miei confronti, per cui egli se ne andò senza parlarmi, così come io ritengo: questo mi ha indotto ad aver maggiore pietà di lui». |
Così parlammo infino al loco primo che de lo scoglio l'altra valle mostra, 39 se più lume vi fosse, tutto ad imo. |
Così parlammo fino al luogo dal quale primamente si vede da sopra l'alto scoglio di quel peccato e l'altra valle si mostrerebbe sino dalla primordiale causa se più lume di conoscenza vi fosse nell'umano pensiero. |
Quando noi fummo sor l'ultima chiostra di Malebolge, sì che i suoi conversi 42 potean parere a la veduta nostra, |
Quando noi fummo sopra l'ultimo "chiostro" di Malebolge, così che i suoi conversi potevano apparire alla nostra vista, |
lamenti saettaron me diversi, che di pietà ferrati avean li strali; 45 ond'io li orecchi con le man copersi. |
i lamenti saettarono verso di me, così diversi e tanto violenti, come se di pietà ferrati avessero i dardi, per cui io mi copersi gli orecchi con le mani. |
Qual dolor fora, se de li spedali di Valdichiana tra 'l luglio e 'l settembre 48 e di Maremma e di Sardigna i mali |
Quella decima bolgia accoglieva tanto dolore quanto "fora" sarebbe se tutti i malati degli ospedali dei luoghi paludosi e malsani, quali quelli di Valdichiana, Maremma e Sardegna, fra luglio e settembre, quando la malaria infierisce con maggiore violenza |
fossero in una fossa tutti 'nsembre, tal era quivi, e tal puzzo n'usciva 51 qual suol venir de le marcite membre. |
fossero in una fossa tutti assieme, così era qui e tale puzzo ne usciva come suole venire dalle membra marcite.
Come già affermato, ogni rotondeggiante fosso, pozza, baratro, valle o chiostro, abbraccia tutto il rotondeggiante pianeta, dove la forza equilibratrice del Karma racchiude, più o meno strettamente, anche se lontani tra loro, tutti gli esseri, uniti spiritualmente in una diversità di sofferenze umane causate dai diversi errori commessi contro l'equilibrio d'amore della Legge Creativa. |
Noi discendemmo in su l'ultima riva del lungo scoglio, pur da man sinistra; 54 e allor fu la mia vista più viva |
Noi discendemmo (dall'alto del "ponte") sull'ultima riva espiativa del lungo scoglio (del peccato), "pur da man sinistra", da cui si accede al negativo del mondo (essendo il lato sinistro del corpo umano, contenitore del "polo negativo" dell'anima); allora potetti vedere più chiaramente |
giù ver lo fondo, la 've la ministra de l'alto Sire infallibil giustizia 57 punisce i falsador che qui registra. |
giù verso il fondo dell'espiazione dove la Giustizia, l'infallibile esecutrice dei decreti dell'alto Padre, punisce i "falsatori" del Divino Pensiero, che qui tutti raccoglie. |
Non credo ch'a veder maggior tristizia fosse in Egina il popol tutto infermo, 60 quando fu l'aere sì pien di malizia, |
Non credo che la visione della pestilenza del popolo di Egina fosse stata maggiormente dolorosa a vedersi, quando l'aria era talmente irrespirabile, |
che li animali, infino al picciol vermo, cascaron tutti, e poi le genti antiche, 63 secondo che i poeti hanno per fermo, |
che gli animali tutti, perfino il più piccolo verme, morirono e poi "le genti antiche", sopravvissute, come "i poeti" i saggi hanno affermato, |
si ristorar di seme di formiche; ch'era a veder per quella oscura valle 66 languir li spirti per diverse biche. |
"si ristorar di seme di formiche"; ovvero di semi della terra, frutto del raccolto che sostiene in vita le genti umane fino dall'antico. Il "ristorar delle genti" era lì a veder soffrire, a procurare cioè sofferenza purificatrice agli spiriti espianti "per diverse biche" per diversi cicli di reincarnazione. |
Si vuole che il riferimento vada all'isola di Egina, colpita dalla peste che infierì non solo in Egina, ma in molti altri luoghi.
Il pensiero di Dante va ben più oltre di una piccola isola, sperduta nel Mediterraneo, a cui fu dato il nome di Egina, la ninfa dell'amore, la quale, essendo "Amore", inteso come equilibrio della vita, fu, secondo la mitologia greca, molto amata dal dio Giove.
L'alto pensiero si spazia in quel remotissimo tempo in cui un'altra "isola", isola del cielo, pianeta dell'amore "di Egina", il pianeta Mallona (Canto I), che fu distrutto da una apocalittica disintegrazione, causata dalla Scienza di quel pianeta che, come avviene oggi sulla Terra, era divenuta folle e distruttiva. Ed ecco che, riportandoci ai versi di Dante, tutti, fino al più piccolo essere animato, "caddero" in dimensione inferiore sul pianeta Terra. Questa sorte toccò a tutti, poiché tutti facevano parte di quel popolo la cui Scienza perversa aveva ucciso una cellula dell'astrofisico corpo macrocosmico vivente in Dio.
E tutti "caddero fino al picciol vermo", poiché nulla più rimase di quel pianeta distrutto se non i suoi resti, giganteschi macigni che volarono in tutte le direzioni e che finirono per assestarsi nelle immediate vicinanze del pianeta Saturno, lì dove Mallona, splendido pianeta vivente nell'Amore, era esistito. Tali resti sono gli attuali Asteroidi.
Ed ecco che, come dalle sacre scritture, "gli Angeli scesero sulla Terra e portarono il male". Quelli siamo noi, "angeli" che formarono l'umanità, che fino da quel tempo si dibatte soffocata dalla pesante catena del peccato in questo terrestre inferno.
Ora pare che quella stessa mente di allora si sia impadronita ancora una volta della medesima caotica energia atomica e che, con la stessa mostruosa cecità distruttiva di quel tempo, stia per distruggere anche questo pianeta Terra.
"Le genti antiche" ovvero i primi abitatori terrestri che furono portati in salvo sulla Terra dai Fratelli del cielo, si ristorarono, come i "i poeti" i saggi hanno affermato, di "seme di formiche", cioè non più di energia solare direttamente assorbita, ma di quella che indirettamente nutre gli esseri inferiori, con "semi della terra", frutto dell'espiativo lavoro dei campi.
Ecco la vita umana che ci porta a vivere simili a formiche attaccate al suolo, in questa valle oscura di ogni bene,
che sta a veder "languir li spirti per diverse biche", per diversi "mucchi" di vite, per diversi cicli di reincarnazione.
Qual sovra 'l ventre, e qual sovra le spalle l'un de l'altro giacea, e qual carpone 69 si trasmutava per lo tristo calle. |
"Qual sovra 'l ventre" come rettili e foche, "qual sovra le spalle l'un de l'altro giacea", significando così l'esistenza di individui costretti ad addossarsi il carico di altri, i quali a tanto s'inducono, "e qual carpone" le bestie, ogni anima "si trasmutava" da una vita all'altra, "per lo tristo calle" per il triste sentiero del vivere terrestre. |
Passo passo andavam sanza sermone, guardando e ascoltando li ammalati, 72 che non potean levar le lor persone. |
Noi "passo passo", lentamente andavamo senza parlare, guardando ed ascoltando "li ammalati" cioè le creature espianti, ammalate spiritualmente, che non potevano "levar le lor persone" sollevare cioè il loro corpo fisico dal suolo terrestre (nella dimensione umana che non consente il procedimento scientifico dell'annullamento della forza di gravità). |
Io vidi due sedere a sé poggiati, com'a scaldar si poggia tegghia a tegghia, 75 dal capo al piè di schianze macolati; |
Io vidi due a sedere poggiati l'uno all'altro come si pongono due tegami a riscaldare assieme, che erano dal capo ai piedi chiazzati da croste e piaghe; |
e non vidi già mai menare stregghia a ragazzo aspettato dal segnorso, 78 né a colui che mal volontier vegghia, |
e non vidi mai strigliare cavalli da un mozzo di stalla frettoloso, perché aspettato dal padrone, e neanche un frettoloso stalliere che mal volentieri veglia, |
come ciascun menava spesso il morso de l'unghie sopra sé per la gran rabbia 81 del pizzicor, che non ha più soccorso; |
così come vidi ciascuno dei due menarsi le unghie sulla pelle per il rabbioso pizzicore grattando sulle croste, non avendo altro soccorso; |
e sì traevan giù l'unghie la scabbia, come coltel di scardova le scaglie 84 o d'altro pesce che più larghe l'abbia. |
e le loro unghia traevano giù croste e pelle come un coltello che stacca le scaglie dal pesce scardova o d'altro pesce che ancor più grandi le abbia. |
«O tu che con le dita ti dismaglie», cominciò 'l duca mio a l'un di loro, 87 «e che fai d'esse talvolta tanaglie, |
«O tu che con le dita ti dismagli», disse il duca mio ad uno di loro, «strappando come fossero tanaglie, |
dinne s'alcun latino è tra costoro che son quinc'entro, se l'unghia ti basti 90 etternalmente a cotesto lavoro». |
dicci se alcun italiano è tra costoro che son qui dentro; con l'augurio che l'unghia ti basti eternamente per questo lavoro». |
«Latin siam noi, che tu vedi sì guasti qui ambedue», rispuose l'un piangendo; 93 «ma tu chi se' che di noi dimandasti?» |
«Italiani siamo noi due che tu vedi così piagati in questa bolgia», rispose lui piangendo; «ma tu chi sei che domandi di noi?» |
E 'l duca disse: «I' son un che discendo con questo vivo giù di balzo in balzo, 96 e di mostrar lo 'nferno a lui intendo». |
E il duca mio gli disse: «Io sono uno che discende con questo "vivo" risvegliato nella verità, quaggiù "di balzo in balzo" da uno all'altro "salto", (in quanto ogni sofferenza espiativa costituisce un "salto" sul cammino evolutivo verso la felicità delle Celesti Sfere), e intendo a lui mostrar l'inferno». |
Allor si ruppe lo comun rincalzo; e tremando ciascuno a me si volse 99 con altri che l'udiron di rimbalzo. |
Allora s'interruppe il reciproco sostegno e ciascuno dei due tremando si volse a me assieme agli altri che indirettamente avevano udito. |
Lo buon maestro a me tutto s'accolse, dicendo: «Dì a lor ciò che tu vuoli»; 102 e io incominciai, poscia ch'ei volse: |
Lo buon maestro mi si accostò dicendo: «Dì a loro ciò che tu vuoi»; e quindi io cominciai a parlare: |
«Se la vostra memoria non s'imboli nel primo mondo da l'umane menti, 105 ma s'ella viva sotto molti soli, |
«Se la vostra memoria non si sperde "nel primo mondo" nel primitivo intendere delle umane menti (nella credenza che si nasca e si muoia una volta sola), ma è viva nei ricordi del passato vissuto "sotto molti soli" sistemi e tempi solari, |
ditemi chi voi siete e di che genti; la vostra sconcia e fastidiosa pena 108 di palesarvi a me non vi spaventi». |
ditemi chi siete e non vi turbi di palesare a me l'origine della vostra ripugnante e fastidiosa pena». |
«Io fui d'Arezzo, e Albero da Siena», rispuose l'un, «mi fé mettere al foco; 111 ma quel per ch'io mori' qui non mi mena. |
«Io fui Grifolino d'Arezzo (noto alchimista) e Alberto da Siena», rispose uno di loro, «mi fece mettere al fuoco, ma non il fatto per cui fui condannato mi mena in questa bolgia. |
Vero è ch'i' dissi lui, parlando a gioco: "I' mi saprei levar per l'aere a volo"; 114 e quei, ch'avea vaghezza e senno poco, |
Vero è che io dissi ad Albero da Siena, parlando scherzosamente: "Io mi saprei levare per l'aere a volo"; e quello, che aveva molta curiosità e poco senno, |
volle ch'i' li mostrassi l'arte; e solo perch'io nol feci Dedalo, mi fece 117 ardere a tal che l'avea per figliuolo. |
volle che gli mostrassi l'arte di volare e solo perché io non feci Dedalo, mi fece bruciare da un tale che lo aveva per figliolo. |
Ma ne l'ultima bolgia de le diece me per l'alchìmia che nel mondo usai 120 dannò Minòs, a cui fallar non lece». |
Ciò che mi menò in questa ultima delle dieci bolge fu la (falsa) alchimia che nel mondo usai. Questo indignò Minosse che giammai si può ingannare». |
E io dissi al poeta: «Or fu già mai gente sì vana come la sanese? 123 Certo non la francesca sì d'assai!» |
E io dissi al poeta: «Vi fu mai gente così vanesia come la Senese? Neanche la Francese fu di certo peggiore!» |
Onde l'altro lebbroso, che m'intese, rispuose al detto mio: «Tra'mene Stricca 126 che seppe far le temperate spese, |
Per cui l'altro lebbroso, che m'intese così parlare, rispose per paradosso: «Escludimene Stricca dei Salimbeni che, con la "brigata spendereccia" seppe far "le temperate spese", |
e Niccolò che la costuma ricca del garofano prima discoverse 129 ne l'orto dove tal seme s'appicca; |
e Niccolò de' Salimbeni (fratello di Stricca) che scoprì i semi del garofano per condire "la costuma ricca" le ricche pietanze e fece un orto dove tal seme attecchiva; |
e tra'ne la brigata in che disperse Caccia d'Ascian la vigna e la gran fonda, 132 e l'Abbagliato suo senno proferse. |
ed escludi (per paradosso) la brigata spendereccia in cui Caccia d'Ascian dissipò la vigna e i grandi boschi, e Bartolomeo Folcacchieri (detto l'Abbagliato) che in quella brigata, il suo abbagliato senno mise in mostra. |
Ma perché sappi chi sì ti seconda contra i Sanesi, aguzza ver me l'occhio, 135 sì che la faccia mia ben ti risponda: |
E affinché tu sappia chi così ti asseconda contro i Senesi, aguzza lo sguardo verso di me, così che la mia faccia ben ti dica chi sono: |
sì vedrai ch'io son l'ombra di Capocchio, che falsai li metalli con l'alchìmia; e te dee ricordar, se ben t'adocchio, 139 com'io fui di natura buona scimia». |
così tu vedrai in me "l'ombra" la incarnazione di Capocchio che fu "di natura buona scimia" il quale, ben scimmiottando chi ne era capace, simulò in una specie di fusione di metalli, la vera scienza Alchimistica.
La vera Alchimia non è possibile agli umani, ma soltanto agli esseri superiori "non di questo mondo", i quali possono modificare la velocità vibratoria energetica di ogni corpo e quindi anche trasmutare il movimento molecolare del metallo in quello dell'oro e viceversa. |