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La Commedia
di Dante Alighieri

alla luce della Filosofia Cosmica
in chiave parapsicologica

INFERNO ­ Canto XXI

nel libero commento di Giovanna Viva

[linea separazione]

Cerchio ottavo: fraudolenti
Bolgia quinta: barattieri ­ la fossa di pece bollente ­ un anziano lucchese ­ i Malebranche ­ Virgilio e Malacoda ­ Dante e Virgilio scortati da dieci diavoli



       Così di ponte in ponte, altro parlando
     che la mia comedìa cantar non cura,
   3 venimmo; e tenavamo il colmo, quando

Così passando da "ponte" a "ponte" (da un mezzo spaziale all'altro, considerato come "ponte di collegamento" fra il cielo e la Terra), parlando d'altro (poiché tali discorsi riguardanti i "ponti spaziali" saranno pił facilmente comprensibili alla mente umana del futuro), che oggi la mia Commedia cantar non cura; avevamo raggiunto il punto più alto del peccato, quando


       restammo per veder l'altra fessura
     di Malebolge e li altri pianti vani;
   6 e vidila mirabilmente oscura.

sostammo per veder l'altra fessura di Malebolge che si presentava straordinariamente "oscura" di una colpa che maggiormente grava sull'Umanità.


       Quale ne l'arzanà de' Viniziani
     bolle l'inverno la tenace pece
   9 a rimpalmare i legni lor non sani,

Come nell'arsenale dei Veneziani bolle d'inverno la tenace pece che servirà a spalmare le imbarcazioni non sane,

       ché navicar non ponno ­ in quella vece
     chi fa suo legno novo e chi ristoppa
  12 le coste a quel che più vïaggi fece;

che non possono navigare, perché troppo logorate ­ pertanto c'è chi rassetta la barca, chi tura con la stoppa le falle aperte sui fianchi delle navi che hanno molto navigato;

       chi ribatte da proda e chi da poppa;
     altri fa remi e altri volge sarte;
  15 chi terzeruolo e artimon rintoppa ­;

chi ribatte i chiodi con i martelli a prua e a poppa, altri costruiscono funi, chi rattoppa le vela minore "terzeruolo" e chi la maggiore "artimon" ­;

       tal, non per foco, ma per divin'arte,
     bollia là giuso una pegola spessa,
  18 che 'nviscava la ripa d'ogne parte.

similmente bolliva in quella bolgia, non per forza di fuoco, ma per Potenza Divina, la pece densa del dolore della vita, che invischiava le pareti del mondo d'ogni parte.

       I' vedea lei, ma non vedea in essa
     mai che le bolle che 'l bollor levava,
  21 e gonfiar tutta, e riseder compressa.

Io vedevo la pece, ma non vedevo mai in essa le bolle che il bollor levava, né gonfiar tutta e ricader compressa come nell'arsenale.

Perché questa pece, non alimentata da fuoco, ma da Potenza Divina, era la tenace ebollizione della vita nel mondo.


       Mentr'io là giù fisamente mirava,
     lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!»,
  24 mi trasse a sé del loco dov'io stava.

Mentre io laggiù fisso guardavo, il duca mio, dicendo: «Guarda, guarda!», mi trasse a sé vicino dal luogo dove io stavo.

       Allor mi volsi come l'uom cui tarda
     di veder quel che li convien fuggire
  27 e cui paura sùbita sgagliarda,

Allora mi volsi come l'uomo che è ansioso di vedere quello che sarebbe per lui più conveniente evitare, ma che, vinto dalla paura,

       che, per veder, non indugia 'l partire:
     e vidi dietro a noi un diavol nero
  30 correndo su per lo scoglio venire.

non esita a fuggire: e vidi dietro di noi venir correndo su per lo scoglio un diavolo nero.

Il nero è il colore che per tradizione viene attribuito al "diavolo Cristiano", cioè al prete, ovvero a quei preti indegni della funzione apostolica e che pertanto sono "neri nell'anima come nell'abito", dei quali parla anche Giacomino da Verona, Babilonia 99, Mattalia, ­ "Nigri, plu nigri de' carbon" (cfr. F. Maggini in "Lingua Nostra"). Ma questo diavolo che aveva le ali, non era evidentemente un prete, ma uno Spirito superiore avente missione di punitore.


       Ahi quant'elli era ne l'aspetto fero!
     e quanto mi parea ne l'atto acerbo,
  33 con l'ali aperte e sovra i piè leggero!

Ahi quanto egli appariva feroce nell'aspetto e crudele nei suoi atti! agilissimo e leggero, sospeso sulle ali, toccava appena terra con i piedi.

       L'omero suo, ch'era aguto e superbo,
     carcava un peccator con ambo l'anche,
  36 e quei tenea de' piè ghermito 'l nerbo.

L'omero suo, che era rialzato e superbo, schiacciava ambo le gambe di un peccatore e questo aveva, così, avvinghiato il tendine dei piedi.

L'espiazione richiede molto dolore per liberare l'anima da una grave colpa, similmente al chirurgo costretto ad intervenire più o meno drasticamente a seconda la gravità del male da debellare.


       Del nostro ponte disse: «O Malebranche,
     ecco un de li anzian di Santa Zita!
  39 Mettetel sotto, ch'i' torno per anche

Dal nostro "ponte" (mezzo spaziale, come già detto, "antico ponte di collegamento dal Cielo alla Terra"), Virgilio disse: «O Malebranche, ecco uno degli anziani di Santa Zita! (Alla congrega di Santa Zita appartenevano anche i magistrati di Lucca). Mettiti sotto, nasconditi giù nel "ponte", che io torno di nuovo

       a quella terra, che n'è ben fornita:
     ogn'uom v'è barattier, fuor che Bonturo;
  42 del no, per li denar, vi si fa ita».

a quella terra che è ben fornita di male, dove gli uomini sono barattieri all'infuori di Bonturo, poiché non vi è ancora giunto. Egli dicendo sì al no e no al sì per il denaro, opera ancora nel peccato preparandosi a scontare i suoi errori in questa terribile bolgia e "vi si fa ita" (prepara la vita futura in altra purificazione).

       Là giù 'l buttò, e per lo scoglio duro
     si volse; e mai non fu mastino sciolto
  45 con tanta fretta a seguitar lo furo.

Virgilio si buttò dal "ponte", laggiù lungo lo scoglio duro si volse ed io non vidi mai mastino sguinzagliato che andasse più veloce di lui nell'inseguire il fuggitivo.

       Quel s'attuffò, e tornò sù convolto;
     ma i demon che del ponte avean coperchio,
  48 gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto:

Egli si tuffò giù nella bolgia e tornò su sconvolto alla vista di tanto male, mentre i dèmoni, che erano coperti dal "ponte" in sosta, gli gridarono: «Qui non vi è posto per il Bene Celeste:

       qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
     Però, se tu non vuo' di nostri graffi,
  51 non far sopra la pegola soverchio».

qui si nuota diversamente che nella fresca acqua del fiume Serchio! Perciò se tu non vuoi ricevere i nostri graffi, non sostare qui superando la nostra bolgia, facendo col tuo "mezzo di volo" coperchio a questa pentola bollente (per cercare di attutire il bollore dell'espiazione)».

       Poi l'addentar con più di cento raffi,
     disser: «Coverto convien che qui balli,
  54 sì che, se puoi, nascosamente accaffi».

Poi lo circondarono tentando di afferrarlo con più di cento "graffi" (forchettoni infernali, simbolo di maggiore pena che nella pece bollente del dolore della vita opprime le creature) e gli dissero: «Sarebbe giusto che, trovandoti qui così coperto come gli altri, ballassi anche tu, però se vuoi, nascostamente scappa (in quanto a te non compete questa espiazione)».

       Non altrimenti i cuoci a' lor vassalli
     fanno attuffare in mezzo la caldaia
  57 la carne con li uncin, perché non galli.

Non diversamente si servono i cuochi dei loro aiutanti per immergere la carne in mezzo alla caldaia premendola giù con gli uncini perché non galleggi; così si serviva dei suoi servi (dei cosiddetti "dèmoni") la Divina Giustizia per cuocere le anime "crude" che la crudeltà non avevano ancora smaltito.

       Lo buon maestro «Acciò che non si paia
     che tu ci sia», mi disse, «giù t'acquatta
  60 dopo uno scheggio, ch'alcun schermo t'aia;

Il buon maestro «Affinché non appaia che tu ci sia», mi disse, «mettiti più in là, che la sporgenza della roccia ti faccia da riparo;

       e per nulla offension che mi sia fatta,
     non temer tu, ch'i' ho le cose conte,
  63 perch'altra volta fui a tal baratta».

e per un'eventuale offesa che mi venga fatta, tu non temere, poiché queste cose sono a me già note, ché altra volta io fui in simile luogo di barattieri».

       Poscia passò di là dal co del ponte;
     e com'el giunse in su la ripa sesta,
  66 mestier li fu d'aver sicura fronte.

Poi passò di là dal ponte; e come egli giunse sopra il lato della sesta bolgia, ebbe bisogno di aver maggior coraggio.

       Con quel furore e con quella tempesta
     ch'escono i cani a dosso al poverello
  69 che di sùbito chiede ove s'arresta,

Con quel tempestoso furore con cui i cani si scagliano contro un accattone, diffidenti del suo vestiario ad essi sconosciuto e sorpresi dalla sua voce che chiede la carità nel luogo dove si arresta,

       usciron quei di sotto al ponticello,
     e volser contra lui tutt'i runcigli;
  72 ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!

uscirono quelli di sotto al "ponticello" e volsero contro di lui tutti gli uncini, ma egli gridò: «Nessuno di voi sia male intenzionato!

       Innanzi che l'uncin vostro mi pigli,
     traggasi avante l'un di voi che m'oda,
  75 e poi d'arruncigliarmi si consigli».

Prima che il vostro uncino mi afferri, avanzi uno che m'ascolti e poi si decida pure tra voi se sia o no il caso di afferrarmi».

       Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»;
     per ch'un si mosse ­ e li altri stetter fermi ­,
  78 e venne a lui dicendo: «Che li approda?»

Tutti i diavoli gridarono: «Vada Malacoda!»; perciò uno di loro avanzò verso Virgilio dicendo: «A che giova?»

       «Credi tu, Malacoda, qui vedermi
     esser venuto», disse 'l mio maestro,
  81 «sicuro già da tutti vostri schermi,

«Credi tu, Malacoda, che mi vedi qui, che io sia venuto», disse il mio maestro, «sicuro già dei vostri impedimenti,

       sanza voler divino e fato destro?
     Lascian'andar, ché nel cielo è voluto
  84 ch'i' mostri altrui questo cammin silvestro».

senza volere divino o destino favorevole? Lasciami andare, perché è voluto dal Cielo che io msotri ad un altro questo selvaggio cammino».

       Allor li fu l'orgoglio sì caduto,
     ch'e' si lasciò cascar l'uncino a' piedi,
  87 e disse a li altri: «Omai non sia feruto».

Allora in Malacoda fu spento improvvisamente l'orgoglio, si lasciò cadere l'uncino ai piedi ed agli altri disse: «Ormai non sia ferito».

[chiarificazioni inferno] Omai non sia feruto ­ v. 87 [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]

Viene qui da chiedersi: "Come mai il capo dei diavoli, il peggiore avversario di Dio, si arresta improvvisamente di fronte al Celeste Volere?"
Il verità la Suprema Potenza Divina non può avere nemici. Tutto è al servizio del Bene Creativo e la Luciferiana purificazione che consente la Luce attraverso il dolore, è al servizio di Dio.
Lungi dall'essere quindi un avversario di Dio, l'Arcangelo Luce altro non fu che l'indispensabile polo negativo, il quale, in collaborazione col polo positivo della Creatrice Mente Divina, decretò i presupposti ideali dai quali sarebbero scaturite le quattro potenze degli elementi primari: Fuoco, Terra, Acqua, Aria, che avrebbero organizzato il grande scenario della manifestazione materiale del poliedrico Generatore dello sconfinato luccichio stellare. Le Sue Leggi creative stabilirono che il positivo della scintilla Divina­Spirito si sdoppiasse nel negativo dell'Anima e si accendesse la vita.
Accade allora che il corpo sia il "veicolo", l'anima il "motore" e lo Spirito il "divino registratore" delle esperienze vissute nel regno della materia.
L'anima relazionerà allo Spirito, durante il breve tempo dopo la morte, dopo cioè che il cuore ha cessato di battere, tempo approssimativo di tre giorni, in cui l'anima resta, se pure di fuori, ancora legata al corpo (Canto I ­ v. 26) vita per vita, tutte le esperienze che l'uomo fece negli anfratti grigi della materia.
Ora, essendovi l'uomo saturato di esperienze fatte nel relativo fugace, effimero e apparentem è in grado di avere coscienza della benignità dell'Amore Assoluto che vitalizza il Tutto e che, per amore, gli procurò il dolore.

[chiarificazioni inferno] [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]



       E 'l duca mio a me: «O tu che siedi
     tra li scheggion del ponte quatto quatto,
  90 sicuramente omai a me ti riedi».

Rassicurato dalle parole di Malacoda, il mio maestro mi disse: «O tu che siedi nascosto tra le schegge del ponte quatto quatto, puoi ormai riunirti a me».

       Per ch'io mi mossi, e a lui venni ratto;
     e i diavoli si fecer tutti avanti,
  93 sì ch'io temetti ch'ei tenesser patto;

Perciò mi mossi ed a lui mi avvicinai in fretta; i diavoli si fecero tutti avanti, così che io dubitai che loro mantenessero il patto di non ferire;

       così vid'io già temer li fanti
     ch'uscivan patteggiati di Caprona,
  96 veggendo sé tra nemici cotanti.

similmente io avevo già visto avanzare tutti compatti i soldati pisani usciti dal castello di Caprona, dopo aver pattuito la resa in cambio della vita, timorosi tra cotanti nemici.

       I' m'accostai con tutta la persona
     lungo 'l mio duca, e non torceva li occhi
  99 da la sembianza lor ch'era non buona.

Io mi accostai molto al mio maestro e non staccavo gli occhi dal loro feroce aspetto.

       Ei chinavan li raffi e «Vuo' che 'l tocchi»,
     diceva l'un con l'altro, «in sul groppone?»
 102 E rispondien: «Sì, fa che gliel'accocchi!»

Essi chinavano i raffi verso di me e «Vuoi che lo tocchi», diceva l'uno all'altro, «sulle spalle?» E gli altri rispondevano: «Sì, assestagli un bel colpo!»

Ma i diavoli erano "punitori" e non avrebbero potuto far male se non per punire il peccato riguardante quella bolgia. Si può presumere, perciò, che essi non parlassero seriamente, ma quasi divertiti dall'atteggiamento di Dante che li fissava con gli occhi sbarrati, mentre per paura era letteralmente incollato a Virgilio dalla testa ai piedi.
E come poteva tale descrizione essere tragica nel pensiero di Dante che così perfettamente ritrae la tragicomica rappresentazione della vita, pur sapendo inoltre che ogni Spirito punitore presentato come "demonio" rispetta una determinata missione legata come tutta l'opera creativa alla perfezione della Radice Suprema?


       Ma quel demonio che tenea sermone
     col duca mio, si volse tutto presto,
 105 e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!»

E quel demonio che usava parlare con Virgilio, si volse in fretta e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!»

Scarmiglione era il punitore che, attraverso la paura purificatrice, faceva rizzare i capelli e in tal modo, secondo il suo nome, scarmigliava, scompigliando i peccatori. Egli si distingueva dagli altri per via dei suoi capelli irti, arruffati, "scarmigliati".


       Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo
     iscoglio non si può, però che giace
 108 tutto spezzato al fondo l'arco sesto.

Poi Malacoda (il cui nome dimostra che "metteva la coda" dappertutto, essendo egli il capo dei diavoli) ci disse: «Non si può andar più oltre per questo scoglio, perché l'arco sesto giace tutto spezzato al fondo.

Si deve ricordare che "l'arco sesto" secondo la SCALA DELL'EVOLUZIONE, potrebbe riferirsi al "sesto grado di Coscienza" a cui appartenenva Gesù: Egli, Capo Supremo della Gerarchia Celeste, apparteneva alla Coscienza Universale­Cristica".
Ecco che si potrebbe dedurre che a tal punto il pensiero di Dante si riferisce alla morte in Croce di Gesù, il più grave delitto che incombe sul genere umano.


       E se l'andare avante pur vi piace,
     andatevene su per questa grotta;
 111 presso è un altro scoglio che via face.

E se volete proseguire andate per l'altra via che passa sopra questa grotta: qui presso vi è un altro scoglio (evidentemente di minor peccato di quello della bolgia franata) che vi permetterà il passaggio.

       Ier, più oltre cinqu'ore che quest'otta,
     mille dugento con sessanta sei
 114 anni compié che qui la via fu rotta.

Questo è uno degli enigmi che Dante ci propone; secondo alcuni commentatori si riferirebbe al compimento di 1266 anni di un avvenuto terremoto che avrebbe causato la rottura del ponte. Secondo altri si tratterebbe di uno dei passi fondamentali per la determinazione della cronologia del viaggio attraverso le montagne del Purgatorio; per altri ancora, che "sono le sette del mattino e che è passata circa un'ora da quando Dante e Virgilio hanno lasciato il colmo del ponticello sulla bolgia quarta e che mancano cinque ore al mezzodì (Sapegno).

A questa ipotesi aggiungo la mia idea: io credo che il riferimento vada alla "Fine dei Tempi", ovvero ai nostri giorni, in cui l'uomo avvelena il suo mondo e la sua stessa vita e cioè:
Da ieri, dalla passata Era dei Pesci (tempo di Gesù, più oltre cinque ore: 500 anni di un giorno cosmico, oltre che quest'ora, gli anni mille, duecento con sessanta e con sei, compiono il tempo in cui sulla Terra, con la morte in croce di Gesù, fu rotta la via che conduce al Cielo, franato il ponte di collegamento fra Terra e Cielo, il ponte dell'Amore.

[chiarificazioni inferno] mille dugento con sessanta sei ­ v. 113 [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]

			1000 +
		         200 
		   con   60
		   con   6
		---------------
		        2400 - l'ora che è oltre, cioè "in più",
	    5 ore, anni  500 =
		---------------
		        1900
È questo il tempo del "mille e non più mille" di cui parlava Gesù nel significato di mille anni e non più di altri mille anni, prima della manifestazione dei "SEGNI" della Divina Giustizia: il 1900.
Ma le trombe dell'Apocalisse, suonate da tutti coloro che hanno cercato attraverso la parola profetica di risvegliare le umane coscienze alle Divine Verità, sono state come quella biblica voce, gridate anch'esse "nel deserto" dell'ignoranza umana. Ed ora i quattro Angeli dell'Apocalisse sono già sui quattro canti del mondo. È questo il profetizzato tempo in cui i cieli si squarceranno e la luce della nuova Era cingerà di gloria gli eletti, i precursori dell'atteso "Regno di Dio in Terra".
Il 1900 è il giorno della grande Conoscenza, del trionfo della Verità. "Abbiate cura delle vostre anime", grida oggi la voce nel deserto, la voce nel suono delle Trombe; "e perseverate nella speranza delle promesse fatte dal Figliuolo dell'uomo. Egli è già sulla Terra e presto si manifesterà con potenza e gloria. ­ sono parole del Consolatore ­ I quattro Cavalieri dell'Apocalisse hanno tutti e quattro la faccia di uomini. Il primo porta nelle mani la coppa del Fuoco, il secondo quella dell'Acqua, il terzo la coppa dell'Aria, il quarto quello della Terra.

Essi sono sulla Terra e la loro potenza è grande, il loro simbolo è la Morte, che significa rinascita e mezzo di purificazione.
Beati coloro che si sono ravveduti e risvegliati, perché è vero che non saranno percossi, né avranno timore alcuno dei Cavalieri dell'Apocalisse, coloro che non vorranno ravvedersi, né vorranno risvegliarsi nella Verità dovranno temere, perché la Giustizia Santa contenuta nelle coppe dei Cavalieri è Ira Santa dell'altissimo Iddio".
Ho rapportato le "cinque ore" di cui sopra a cinquecento anni di una generazione. Per "generazione" va intesa quella manifestazione d'uomini che si appalesa sulla terra nell'arco di 2.150 anni circa; durante questo tempo il pianeta, rivoluzionando con il sistema planetario che lo contiene attorno all'asse del nostro universo, si sposta continuamente da una costellazione all'altra.
Duemila anni fa in Palestina, la manifestazione del Cristo fu principalmente profetica e s'inserì nel Grande Disegno di "semina delle verità universali" i cui frutti sarebbe stato possibile raccogliere duemila anni dopo a chiusura del ciclo di una generazione.
Al tempo di Gesù, la terra era da poco entrata nell'"Era dei Pesci", ora è da poco entrata nell'"Era dell'Acquario". Nel frattempo sono trascorsi duemila anni durante i quali l'umanità ha camminato lungo le vie del dolore, dello scetticismo, del fanatismo, del conformismo. Ora a chiusura del ciclo astronomico, è prossimo il tempo in cui essa, nel segno dell'"Acquario", intraprenderà le vie della Superiore Coscienza per il raggiungimento dei Valori Positivi Eterni portati dal Cristo, che, ora e solo ora, si appresta a ritornare sulla Terra per raccogliere il frutto del Suo "lavoro di semina".
Vasto e profondo è il disordine a tutti i livelli che regna nel tessuto della società umana; il valore dell'"Amore", così come lo intese il Cristo, non è affatto nei sentieri degli uomini, per cui, per legge di causa­effetto, non si sono mai potuti tessere retti rapporti fra i popoli e le nazioni sulla base della lealtà, della concordia e del reciproco rispetto fraterno.
Conseguentemente l'uomo si trova ora in una situazione disperata causata da lui stesso. L'aria, l'acqua e il suolo sono avvelenati, i mari sono inquinati, i cibi adulterati e, tragico su tutti e su tutto, l'incombente spettro atomico, batteriologico e chimico.
Ed ecco che: "mille dugento con sessanta sei compié che qui la via fu rotta", fu e rimarrà rotta, con la crocifissione del Cristo, la via che conduce al Cielo.
Tale riferimento al più grave peccato per quella Croce issata sul Golgota, la cui ombra più che mai nella presente era ci ricade addosso, ci fa pensare che la similitudine tra la bolgia impeciata e l'arsenale dei Veneziani si riferisca a martelli, chiodi, funi, spine e colpi di lancia che costituirono la tortura del corpo dio Gesù e che il battere e ribattere in simili torture assieme al bollore della pece, che è da intendersi quale bollore espiativo della vita umana, servissero al restauro di quella parte dell'Umanità, che fu contro Cristo e che senza l'opera restauratrice dei diavoli punitori, non potrebbe, come le imbarcazioni veneziane, navigare, proseguire cioè lungo la via del Karma sulle onde frastagliate e difficili dei marosi del mondo. Similmente la fessura "mirabilmente oscura" (Canto XXI ­ v. 6) potrebbe riferirsi all'umano buio mentale che al Cristo preferì Barabba.

[chiarificazioni inferno] [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]



       Io mando verso là di questi miei
     a riguardar s'alcun se ne sciorina;
 117 gite con lor, che non saranno rei».

Io mando, ­ continuò Malacoda, ­ alcuni di questi miei per sorvegliare i peccatori, affinché non si scrollino da dosso la pece della sofferenza. Andate con loro che non vi faranno del male».

       «Tra'ti avante, Alichino, e Calcabrina»,
     cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo;
 120 e Barbariccia guidi la decina.

«Tirati avanti Alichino (chinati sulle ali a purificare i volatili) e Calcabrina (a disseccare, appesantire la brina sul verde dei prati e sugli alberi in fiore)», cominciò egli a dire, «e tu Cagnazzo (preparati da feroce mastino, alla purificazione delle bestie) e Barbariccia (tu che fai arricciare il pelo per le raccapriccianti sofferenze che infliggi), guidate la decina.

       Libicocco vegn'oltre e Draghignazzo,
     Cirïatto sannuto e Graffiacane
 123 e Farfarello e Rubicante pazzo.

Venga oltre Libicocco (a dissestare Libeccio e Scirocco) e Draghignazzo (simile a sghignazzante Drago) e Ciriatto ("ciros", dal greco: "cinghiale, porco selvatico"), venga Farfarello e Rubicante (due spiritelli burloni e punitori: Farfarello, così chiamato in Toscana e che nella bassa Italia viene chiamato con nomi diversi come: " Uru, Llaùru, Maurieddhu ecc., il quale, secondo la credenza popolare, quando è burlone porta via la biada ad un cavallo per riempire la mangiatoia di un altro, opure, operando in preferenza nelle campagne, intreccia, durante la notte, code e criniere filo per filo e poi treccina per treccina fino a formare una specie di fitta tessitura, impossibile da disfare. Rubicante pazzo, invece, quando è burlone, ruba gli oggetti e li nasconde nei posti più impensati come al di sopra delle cornici delle porte e dei quadri o sui candelabri; tira spesso giù dal letto le coperte dei bimbi durante la notte; e tutto ciò avverrebbe per dimostrare alla scettica umanità che la vita non termina qui, ma che al di fuori e al di sopra di questa vita esiste qualcosa, di noi più grande, che ci sorveglia e ci domina e che, comunque, è di noi più potente. Il nome Rubicante potrebbe intendersi anche "Rubi­Kant": Rubi, da rubidio, Rb, elemento chimico irritante color del sangue e Kant, che significa ipocrisia nella vita sociale e politica, quindi anche "punitore" col rosseggiar del sangue e purificatore di ladroneggio e ipocrisia. E saremmo così in argomento: "punitore di barattieri").

       Cercate 'ntorno le boglienti pane;
     costor sian salvi infino a l'altro scheggio
 126 che tutto intero va sovra le tane».

Cercate tutt'intorno le bollenti "panìe" (vischiose sostanze simili a pece con le quali si catturano gli animali); costoro siano salvi fino all'altro scoglio, oltre l'arco sesto (arco franato) poiché questo vischio va tutt'intorno circondando le tane».

       «Omè, maestro, che è quel ch'i' veggio?»,
     diss'io, «deh, sanza scorta andianci soli,
 129 se tu sa' ir; ch'i' per me non la cheggio.

«Ohimè, maestro, cosè quello che vedo?», io dissi, «deh, senza scorta proseguiamo da soli, se tu sai andare, poiché io per me non la chiedo.

       Se tu se' sì accorto come suoli,
     non vedi tu ch'e' digrignan li denti,
 132 e con le ciglia ne minaccian duoli?»

Se tu sei così accorto come sempre, non vedi anche tu che digrignano i denti e con le ciglia ci minacciano?»

       Ed elli a me: «Non vo' che tu paventi;
     lasciali digrignar pur a lor senno,
 135 ch'e' fanno ciò per li lessi dolenti».

Ed egli a me: «Non voglio che tu tema, lascia che digrignino pure a loro piacimento, in questo luogo espiativo dove la pena è più cocente, poiché la loro azione è rivolta a cuocere i peccatori e a renderli maturi».

       Per l'argine sinistro volta dienno;
     ma prima avea ciascun la lingua stretta
     coi denti, verso lor duca, per cenno;
 139   ed elli avea del cul fatto trombetta.

La scorta dei diavoli svoltò per l'argine sinistro (lato negativo del peccato), ma prima di andarsene, ciascuno dei diavoli aveva la lingua stretta tra i denti in uno sberleffo triviale, al quale Malacoda contemporaneamente rispondeva con un segnale altrettanto speciale, altrettanto triviale, adeguato alla sua condizione demoniaca.

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