nel libero commento di Giovanna Viva
Cerchio ottavo: fraudolenti
Bolgia ottava: consiglieri fraudolenti Guido da Montefeltro Malatestini Bonifacio VIII
Già era dritta in sù la fiamma e queta per non dir più, e già da noi sen gia 3 con la licenza del dolce poeta, |
La fiamma di Ulisse, finito di parlare, restò ritta e ferma come in rispettoso silenzio d'attesa di fronte al dolce poeta, fino a che costui le dette il permesso di allontanarsi, |
quand'un'altra, che dietro a lei venia, ne fece volger li occhi a la sua cima 6 per un confuso suon che fuor n'uscia. |
quando un'altra fiamma, che gli veniva dietro, attrasse la nostra attenzione verso la sua cima per un confuso suono che fuori ne usciva. |
Come 'l bue cicilian che mugghiò prima col pianto di colui, e ciò fu dritto, 9 che l'avea temperato con sua lima, |
Come il bue siciliano (strumento di tortura rappresentante un bue di rame), che mugghiò per la prima volta col pianto di Perillo, che lo aveva inventato e costruito con i suoi attrezzi, |
mugghiava con la voce de l'afflitto, sì che, con tutto che fosse di rame, 12 pur el pareva dal dolor trafitto; |
mugghiava con la voce del condannato che era dentro tanto che, pur essendo di rame, pareva piangere trafitto dal dolore; |
così, per non aver via né forame dal principio nel foco, in suo linguaggio 15 si convertian le parole grame. |
così non avendo in un primo tempo né via, né sfogo per uscire dal fuoco, gli accenti dolorosi si esprimevano nel linguaggio della fiamma. |
Ma poscia ch'ebber colto lor viaggio su per la punta, dandole quel guizzo 18 che dato avea la lingua in lor passaggio, |
Ma dopo aver trovata la via d'uscita su attraverso la punta, imprimendo alla fiamma quel guizzo che le parole passando avevano dato alla lingua, |
udimmo dire: «O tu a cu' io drizzo la voce e che parlavi mo lombardo, 21 dicendo "Istra ten va, più non t'adizzo", |
udimmo dire: «O tu a cui io indirizzo la voce e che ora parlavi lombardo dicendo: "Tosto puoi andare che più io non ti esorto a parlare", |
perch'io sia giunto forse alquanto tardo, non t'incresca restare a parlar meco; 24 vedi che non incresce a me, e ardo! |
sebbene io sia giunto in ritardo nei tuoi confronti sul cammino evolutivo, non ti rincresca restare a parlare con me; come tu vedi a me non rincresce, quantunque io arda di dolore! |
Se tu pur mo in questo mondo cieco caduto se' di quella dolce terra 27 latina ond'io mia colpa tutta reco, |
Se tu pure in questo mondo cieco di Verità Divine sei caduto e sei di quella dolce terra italiana da cui proviene tutta la mia colpa che qui mi ha spinto, |
dimmi se Romagnuoli han pace o guerra; ch'io fui d'i monti là intra Orbino 30 e 'l giogo di che Tever si diserra». |
dimmi se i Romagnoli vivono in pace o in guerra, poiché io fui nativo dei monti tra Urbino e la catena montuosa da cui nasce il Tevere». |
Io era in giuso ancora attento e chino, quando il mio duca mi tentò di costa, 33 dicendo: «Parla tu; questi è latino». |
Io ero intento e chino sul ponte a guardare in giù, quando il mio maestro mi toccò nel fianco dicendo: «Parla tu; questo è italiano». |
E io, ch'avea già pronta la risposta, sanza indugio a parlare incominciai: 36 «O anima che se' là giù nascosta, |
Ed io che avevo già pensato cosa dire, senza indugio cominciai a parlare: «O anima che sei nascosta nella fiamma del dolore, priva della Celeste Luce benefica, |
Romagna tua non è, e non fu mai, sanza guerra ne' cuor de' suoi tiranni; 39 ma 'n palese nessuna or vi lasciai. |
la tua Romagna non è, e non fu mai senza guerra nei cuori dei suoi tiranni sempre vissuti nella cupidigia del potere e dell'odio, sebbene prima di intraprendere questo viaggio, nessuna guerra palese io vi lasciai. |
Ravenna sta come stata è molt'anni: l'aguglia da Polenta la si cova, 42 sì che Cervia ricuopre co' suoi vanni. |
Ravenna sta com'è stata, or sono molti anni, sotto la Signoria dei da Polenta: "l'aguglia" l'aquila dello stemma dei da Polenta là cova il suo malefico dominio, così che "Cervia" la "moneta" nasconde, con la potenza della ricchezza, tutti i loro misfatti. |
La terra che fé già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio, 45 sotto le branche verdi si ritrova. |
La terra che fece già la triste prova sostenendo il lungo assedio contro i Francesi (e i guelfi mandati contro i ghibellini forlivesi dal papa Martino IV), ora si ritrova sotto il dominio degli Ordelaffi (sotto gli artigli del leone verde in campo d'oro, stema appunto degli Ordelaffi).
Le stragi fra guelfi e ghibellini ricordano crudeltà senza limiti cone quella della condanna al palo che si svolgeva fra trafitture di lance e roghi per i trafitti legati al palo, oppure quella delle morti per asfissia, quando i vinti venivano dai vincitori legati con le mani dietro la schiena, messi giù a terra col volto pressato nella cenere dei roghi che si ammucchiava sotto i pali di tortura. |
E 'l mastin vecchio e 'l nuovo da Verrucchio, che fecer di Montagna il mal governo, 48 là dove soglion fan d'i denti succhio. |
E il "mastino vecchio e nuovo" da Verrucchio (il padre di Paolo e Cianciotto Malatesta e il suo primogenito che prese il suo posto: "Malatestino") fecero il crudele strazio di Montagna di Parcitade (capo dei ghibellini di Rimini, da loro barbaramente fatto trucidare in prigione), là dove sono soliti "azzannare" simili a mastini.
I due, per la loro ferocia, furono definiti "Mastini". |
Le città di Lamone e di Santerno conduce il lïoncel dal nido bianco, 51 che muta parte da la state al verno. |
Le città di Lamone e di Santerno sono governati dai Pagani da Susinara, nel cui stemma c'è un leone in campo bianco: "il lioncel dal nido bianco, che muta parte da la state al verno" parteggiando ora con i guelfi, ora con i ghibellini. |
E quella cu' il Savio bagna il fianco, così com'ella sie' tra 'l piano e 'l monte 54 tra tirannia si vive e stato franco. |
E Cesena, bagnata dalle acque del Savio, che come risiede fra il piano e il monte, così vive fra tirannia e libertà. |
Ora chi se', ti priego che ne conte; non esser duro più ch'altri sia stato, 57 se 'l nome tuo nel mondo tegna fronte». |
Ora ti prego, dicci chi sei, raccontaci di te, se il tuo nome risuona alto e dignitoso nel mondo». |
Poscia che 'l foco alquanto ebbe rugghiato al modo suo, l'aguta punta mosse 60 di qua, di là, e poi diè cotal fiato: |
Dopo che il fuoco come per sua natura ebbe rugghiato alquanto, "l'aguta punta mosse di qua, di là," e dette fiato alle seguenti parole: |
«S'i' credesse che mia risposta fosse a persona che mai tornasse al mondo, 63 questa fiamma staria sanza più scosse; |
«Se io credessi che la mia risposta fosse diretta a persona che mai ritornasse al mondo Celeste, riterrei inutile rispondere; |
ma però che già mai di questo fondo non tornò vivo alcun, s'i' odo il vero, 66 sanza tema d'infamia ti rispondo. |
ma poiché giammai nessuno di coloro che sono stati in questo fondo, vi tornò ancora ad espiare (per via della completezza evolutiva che questa grande pena consente e tu pertanto sei qui da "vivo" e non da peccatore), se io ben discerno il vero, creatura superiore, senza tema d'infamia ti rispondo. |
Io fui uom d'arme, e poi fui cordigliero, credendomi, sì cinto, fare ammenda; 69 e certo il creder mio venìa intero, |
Io fui uomo d'armi, poi fui "cordigliero" (cinto dal cordone francescano), credendo che, così difeso dall'abito talare, mi sarei emendato dal peccato; e certamente questa mia speranza si sarebbe realizzata, |
se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!, che mi rimise ne le prime colpe; 72 e come e quare, voglio che m'intenda. |
se non ci fosse stata l'opera del "gran prete" (Papa Bonifacio VIII) che malanno lo colga!, il quale mi fece ricadere nelle mie precedenti colpe; e come e in che modo lo fece, quali siano queste colpe io voglio che mi si intenda.
A quali colpe il peccatore potrebbe riferirsi?... Non certo alle colpe delle guerre, poiché queste erano all'ordine del giorno e per di più considerate "atti eroici"; e se queste fossero state, non avrebbe il peccatore detto: "voglio che mi si intenda", rifiutando in tal modo di specificarle. |
Mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe che la madre mi diè, l'opere mie 75 non furon leonine, ma di volpe. |
Mentre che io ebbi forma corporea in dimensione umana e fui di ossa e di polpe che madre Natura mi dette per usarle nel bene , le mie opere non furono da "leone", ma da "volpe". |
Li accorgimenti e le coperte vie io seppi tutte, e sì menai lor arte, 78 ch'al fine de la terra il suono uscie. |
Io conobbi tutte le astuzie e le nascoste vie del male e le seguì così abilmente che la mia fama oltrepassò i confini della Terra. |
Quando mi vidi giunto in quella parte di mia etade ove ciascun dovrebbe 81 calar le vele e raccoglier le sarte, |
Quando mi vidi giunto all'età senile, età in cui tutti gli uomini dovrebbero ammainare le vele e ritirare le sartìe, |
ciò che pria mi piacea, allor m'increbbe, e pentuto e confesso mi rendei; 84 ahi miser lasso! e giovato sarebbe. |
ciò che prima mi affascinava, allora mi rincrebbe, mi pentii delle mie colpe e mi feci frate; hai misero e stanco! il pentirmi mi sarebbe giovato. |
Lo principe d'i novi Farisei, avendo guerra presso a Laterano, 87 e non con Saracin né con Giudei, |
Il principe dei nuovi Farisei (papa Bonifacio VIII, capo dei nuovi preti ipocriti, come i Farisei bollati da Cristo), avendo guerra a Roma, non contro i Saraceni, né contro i Giudei (ma contro i Cristiani), |
ché ciascun suo nimico era cristiano, e nessun era stato a vincer Acri 90 né mercatante in terra di Soldano, |
poiché ciascun cristiano era da lui considerato nemico, eppure nessun cristiano aveva lottato contro la Chiesa per la conquista di San Giovanni d'Acri né aveva mercanteggiato contro i divieti della Chiesa "in terra di Soldano", nei paesi musulmani, |
né sommo officio né ordini sacri guardò in sé, né in me quel capestro 93 che solea fare i suoi cinti più macri. |
non ebbe riguardo né al sommo ufficio (sua dignitià di pontefice) né agli "ordini sacri" nella sua qualità di sacerdote, né ebbe riguardo al fatto che io cingevo ormai quel cordone francescano che soleva rendere un tempo più magri i frati per le astinenze e i digiuni.
Anche qui viene fatto di domandarci: a quale grave peccato andava incontro costui, spinto dal papa, tanto da affermare che Bonifacio non ebbe riguardo né del sommo ufficio, né degli ordini sacri e neanche dell'abito francescano che il padre indossava? |
Ma come Costantin chiese Silvestro d'entro Siratti a guerir de la lebbre; 96 così mi chiese questi per maestro |
Ma come Costantino malato di lebbra mandò a chiamare papa Silvestro I, perché lo guarisse; questi chiese me per guaritore |
a guerir de la sua superba febbre; domandommi consiglio, e io tacetti 99 perché le sue parole parver ebbre. |
di altra "lebbra" malato, in preda a "superba febbre": mi domandò consiglio, ed io non risposi, poiché le sue parole mi parvero folli.
Per la terza volta ci chiediamo: Quali parole "ebbre" avrebbe detto il papa?... Di quale superba febbre si trattava?... Non certo di febbre di "superbia", dal momento che il male di superbia come la smania di prevalere sugli altri è un normale vizio umano di cui nessuno era immune, ed oltre è impossibile che, in un tempo di così illimitata crudeltà, Bonifiacio si fosse preoccupato della superbia e in proposito avesse detto addirittura "parole folli"... |
E' poi ridisse: "Tuo cuor non sospetti; finor t'assolvo, e tu m'insegna fare 102 sì come Penestrino in terra getti. |
E poi aggiunse: "Affinché tu non tema il castigo Celeste, fin d'ora ti assolvo, dopo che tu sei stato uomo d'armi, m'insegnerai come abbattere Palestrina. |
Lo ciel poss'io serrare e diserrare, come tu sai; però son due le chiavi 105 che 'l mio antecessor non ebbe care". |
Io posso serrare e disserrare le porte del Cielo, come tu sai, col mio potere di pontefice, però il mio antecessore Celestino V, non ebbe le chiavi del Cielo, né quelle della Chiesa, avendo egli rifiutato la carica del santo ufficio. |
Allor mi pinser li argomenti gravi là 've 'l tacer mi fu avviso 'l peggio, 108 e dissi: "Padre, da che tu mi lavi |
Allora i gravi argomenti del papa mi spinsero fino al punto in cui il disubbidire alle sue voglie mi parve la cosa peggiore e dissi: "Padre... (a tal punto il Torraca dice: "ancora un istante si fermò sull'orlo del precipizio" ...e noi torniamo ancora a domandarci: Quale sarebbe il precipizio?...) già che tu mi assolvi |
di quel peccato ov'io mo cader deggio, lunga promessa con l'attender corto 111 ti farà trïunfar ne l'alto seggio". |
da quel peccato nel quale tu voui che io debba cadere, io ti dico che promettere molto e poi mantenere poco, ti farà sedere vittorioso sul trono pontificio". |
Francesco venne poi com'io fu' morto, per me; ma un d'i neri cherubini 114 li disse: "Non portar: non mi far torto. |
San Francesco, appena io fui morto, venne ad accogliermi ed accompagnarmi nel Regno dei Cieli, ma uno dei neri Angeli punitori gli disse: "Non portarlo con te, non puoi far torto alla Divina Giustizia di cui io sono esecutore. |
Venir se ne dee giù tra ' miei meschini perché diede 'l consiglio frodolente, 117 dal quale in qua stato li sono a' crini; |
Egli deve venirsene giù, nell'espiazione fra i miei derelitti, perché diede consiglio fraudolento e sino da allora io lo seguo e l'attendo; |
ch'assolver non si può chi non si pente, né pentere e volere insieme puossi 120 per la contradizion che nol consente". |
non si può assolvere il peccatore che non si pente, né è possibile pentirsi e peccare nel contempo, per la contraddizione che non lo consente".
La punizione proveniva soprattutto dal consiglio fraudolento, ciò significa che la frode, causa dell'altrui male, è il maggiore peccato. |
Oh me dolente! come mi riscossi quando mi prese dicendomi: "Forse 123 tu non pensavi ch'io löico fossi!" |
Oh me dolente! allor che mi ripresi dall'illusione di poter seguire Francesco nel Paradiso, il punitore mi prese dicendomi scherzosamente: "Tu forse non immaginavi che io, pur ricoperto da un corpo demoniaco, fossi maestro di dialettica!" |
A Minòs mi portò; e quelli attorse otto volte la coda al dosso duro; 126 e poi che per gran rabbia la si morse, |
E mi portò a Minosse e quello avvolse otto volte la coda al "dorso duro" (che ricorda i tronchi del regno vegetale) (Canto XX v. 36); e poi con rabbia si morse la coda (poiché era stato costretto ad avvolgerla ripetutamente, condannando così a quella pena dura),
Avvolgere otto volte la coda significa condannare un'anima a scendere molto giù nell'espiazione vegetale; più nel profondo si scende e più tempo impiega la pianta ad emergere alla luce del sole. |
disse: "Questi è d'i rei del foco furo"; per ch'io là dove vedi son perduto, 129 e sì vestito, andando, mi rancuro». |
e disse: "Costui è uno di quei peccatori del fuoco furo" (ladri della forma naturale, condannati al fuoco, che invola le anime alla vista, cioè che rende gli uomini irriconoscibili, sia attraverso un corpo vegetale o animale e sia in un corpo che rinasce mostruoso); perciò come tu vedi io son perduto nella impossibilità di rendere aiuto, e pur se così "vestito" da demonio, andando lungo la via della mia missione, mi piange il cuore».
Si noti il sentimento del punitore il quale, pur se in figura demoniaca, è addolorato per essere costretto, quale esecutore di Giustizia Divina, a dare la sofferenza là dove invece vorrebbe donare la Grazia. |
Quand'elli ebbe 'l suo dir così compiuto, la fiamma dolorando si partio, 132 torcendo e dibattendo 'l corno aguto. |
Quando Minosse ebbe finito di parlare, la fiamma dolorando si allontanò torcendo e dibattendo il corno acuto. |
Noi passamm'oltre, e io e 'l duca mio, su per lo scoglio infino in su l'altr'arco che cuopre 'l fosso in che si paga il fio 136 a quei che scommettendo acquistan carco. |
Noi passammo oltre, su per lo scoglio fino all'altro arco superando l'ottava bolgia dove viene pagato il debito tributo di questo peccato, a quelli che "scommettendo", disorganizzando cioè ogni cosa da Dio creata, si gravano del peso di tale colpa. |