nel libero commento di Giovanna Viva
Cerchio ottavo: fraudolenti
Bolgia settima: profezia di Virgilio faticosa salita di Dante e Virgilio sull'argine e ripresa del cammino sul ponte della settima bolgia i ladri e la terribile stipa di serpenti Vanni Fucci e la sua profezia
Le seguenti due terzine propongono, com'è uso di Dante, l'ambiente naturale e stagionale in cui sta per svolgersi l'azione del canto. Questo per l'interpretazione letterale.
In realtà ben altro offre al lettore attento il significato di tali parole; queste altro non esprimono che la profezia inerente al cambio in atto delle strutture astroenergetiche che istruiscono il nuovo riassetto che l'Equilibrio Divino ha in serbo per la radicale trasformazione del pianeta Terra.
In quella parte del giovanetto anno che 'l sole i crin sotto l'Aquario tempra 3 e già le notti al mezzo dì sen vanno, quando la brina in su la terra assempra l'imagine di sua sorella bianca, 6 ma poco dura a la sua penna tempra, |
Nell'Era dell'Acquario, in quel tempo del giovanetto anno interplanetario, quando il sole, accumulatore, trasformatore e distributore dell'energia luce che struttura l'Universo, apporta benefici influssi astrali e "i crin sotto l'Aquario tempra", rinvigorisce il quoziente intellettivo delle creaure del pianeta Terra, quando "le notti al mezzo dì sen vanno", quando il sole, aumentando la frequenza dell'energia luce, muta il tempo umano, allora la brina dell'inquinamento riprodurrà sulla Terra l'immagine della "sua sorella bianca" la neve che brucia le messi, "ma poco dura", poco durerà la squallida immagine del mondo che muore, poiché l'equilibrio del tutto, Iddio Creatore, già "la sua penna tempra" per proseguire il tracciato del Suo Disegno Divino. |
Ed ecco la profezia del giorno d'oggi, in cui i tempi e le relative scadenze della scenografia universale esigono che a tempo opportuno cali il sipario e si proponga una nuova scena.
Il pianeta Terra è in crescita e si prepara sul piano cosmofisico e cosmoenergetico ad un salto qualitativo. Ciò avviene in sintonia con tutti gli altri corpi celesti dell'organismo galattico e per le esigenze legate ad una ben precisa e periodica elaborazione energeticodimensionale che la medesima Entità reggitrice dell'organismo galattico è sul piano di intraprendere. Tale entità per consentirsi la nuova funzione creativa e rigenerativa nella successiva tappa di rigenerazione, si dota da sé del necessario potenziale energetico, secondo il programa di ordine cosmico.
Il Sole, nella sua precisa funzione, ha un suo campo di forza dal quale dipendono i campi di forza di ogni singolo pianeta che gli gira intorno; la sua energia luminosa, come ogni sole dell'Universo, ha una propria frequenza di luce creata dalla rotazione del sole stesso e il pianeta Terra, pertanto, riceve una frequenza di energia luce che è in stretto rapporto con la velocità di rotazione del sole. L'uomo, che è un agglomerato biofisico molecolare la cui forma materiale è strutturata da un proprio campo di forza strettamente legato al campo di forza creato dalla rotazione del sole, riceve una superiore frequenza di luce e raggiungerà un livello superiore atto a produrre un modo di vita differente da quello attuale.
La immutabile Legge tutelatrice dell'armonico evolversi di ogni fenomeno vitale selezionerà le strutture astroenergetiche biologiche e socioculturali volute dal Programma Cosmico in collaborazione con le altre evolute superciviltà galattiche, affinché l'Anima umana, nel divenire del tempo, possa adempiere degnamente al compito ed alle funzioni assegnatele dal Signore della vita, che già "la sua penna tempra".
Quando i "punti di contatto" tra i circuiti umani autoselezionantisi saranno stabiliti e la specie umana si avvierà infine verso una Coscienza Mondiale Planetaria, allora la superiore Conoscenza non si polarizzerà più nei suoi molteplici aspetti e sarà UNA in tutti e per tutti.
I campi di forza, di cui è pieno l'Universo, sono creati dallo Spirito di Dio e ogni uomo, in quanto materia vivificata da energia, ne ha uno proprio. Se questo campo di forza dell'uomo è in armonia ed equilibrio con le Leggi della Creatività, di conseguenza anche le cellule del suo corpo sono in armonia ed equilibrio e così pure la pulsazione del cuore, la respirazione e il movimento del sangue e, quindi, la Vita. Se l'organismo è in perfetto subordinamento agli stimoli leali: amore, spontaneità, comprensione, rispetto fraterno, ecc..., che gli giungono dallo Spirito Cosmico, allora esso è perfettamente sintonizzato con l'energia del superiore Campo di forza universale. Ciò vuol dire che la "Buona Qualità" del campo di forza dell'uomo è in grado di sopportare, senza alcun danno per la materia, qualsiasi cambiamento della frequenza dell'energia che determina un "nuovo tempo", nel quale esistono differenti valori.
Se l'organismo è invece un vibratore caotico di effetti esteriori scaturiti dalla eccessiva emotività umana, come odio, invidia, rancore, egoismo, ipocrisia, ecc..., allora la sintonia con i valori del superiore campo di forza universale è notevolmente distorta, al punto che qualsiasi variazione del potere dell'energia non potrebbe essere sopportato. Ed ecco la "selezione": quegli uomini che esprimono valori negativi, quali imperfetti apparecchi psicobiofisici, possono ricevere soltanto da un solo "canale" di emissione e la sintonia con i valori superiori non sarà atta a dare loro la vita e questa "scissura" selezionante in seno al genere umano sarà pertanto inevitabile. Solo allora la "penna temprata" avrà tracciato il Divino Disegno, che coprirà la squallida immagine del mondo che muore.
lo villanello a cui la roba manca, si leva, e guarda, e vede la campagna 9 biancheggiar tutta; ond'ei si batte l'anca, |
Il villanello a cui manca il sostentamento, ovvero l'uomo del pianeta Terra che attende il raccolto, si leva, guarda e vede la campagna biancheggiar tutta senza vegetazione alcuna, "ond'ei si batte l'anca" (nella impossibilità disperata di trovare soluzione), |
ritorna in casa, e qua e là si lagna, come 'l tapin che non sa che si faccia; 12 poi riede, e la speranza ringavagna, |
ritorna a casa e qua e là si lagna come il poverello che non trova scampo alla sua miseria; poi ristà e la speranza riprende per un migliore domani, |
veggendo 'l mondo aver cangiata faccia in poco d'ora, e prende suo vincastro, 15 e fuor le pecorelle a pascer caccia. |
vedendo il mondo che ha cambiato faccia in poco tempo, prende il suo virgulto e porta fuori le pecorelle a brucar l'erba.
Ecco la miseria e la fame di un mondo malato a tutti i livelli, il tempo d'oggi, in cui l'Umanità, Adamo ed Eva, ha raccolto dall'"albero della Scienza del Male e del Bene", il pestifero frutto del Male; ed oggi l'uomo, disobbediente all'Equilibrio della Legge d'Amore, con la Scienza malsana ha distrutto il suo mondo e di questo "Paradiso Terrestre" ha fatto un inferno). |
Così mi fece sbigottir lo mastro quand'io li vidi sì turbar la fronte, 18 e così tosto al mal giunse lo 'mpiastro; |
Così con tale profezia, mi fece sbigottire il maestro quando io lo vidi chinar la fronte visibilmente turbato al pensiero di tale triste realtà ma al suo turbamento pose il rimendio affogando la tristezza in quell'amor fraterno di cui sono capaci soltanto le creature superiori; |
ché, come noi venimmo al guasto ponte, lo duca a me si volse con quel piglio 21 dolce ch'io vidi prima a piè del monte. |
perché, come noi venimmo al "guasto ponte" a me si volse con quell'affettuoso atteggiamento che già gli avevo visto ai piedi del monte. |
Le braccia aperse, dopo alcun consiglio eletto seco riguardando prima 24 ben la ruina, e diedemi di piglio. |
Egli aperse le braccia senza alcun consiglio maturato in sé, ma per primo impulso e, riguardando bene la causa della rovina nel ponte franato (per l'enorme peso che incombe sul mondo), mi prese fra le braccia. |
E come quei ch'adopera ed estima, che sempre par che 'nnanzi si proveggia, 27 così, levando me sù ver' la cima |
Come colui che opera e nel frattempo riflette sul da farsi, così Virgilio levando me su per la cima d'uno scoglio |
d'un ronchione, avvisava un'altra scheggia dicendo: «Sovra quella poi t'aggrappa; 30 ma tenta pria s'è tal ch'ella ti reggia». |
avvistando un'altra scheggia, mi disse: «Sopra quella ti aggrapperai; ma accertati prima che possa reggere il tuo peso corporeo». |
Non era via da vestito di cappa, ché noi a pena, ei lieve e io sospinto, 33 potavam sù montar di chiappa in chiappa. |
Non era quella la via adatta a coloro che vestono cappa ecclesiastica, poiché noi a malapena, Virgilio in dimensione lieve (cambiando il movimento molecolare del suo corpo fisico) ed io da lui sospinto, potevamo montar su da scheggia in scheggia. |
E se non fosse che da quel precinto più che da l'altro era la costa corta, 36 non so di lui, ma io sarei ben vinto. |
E se quella parte dell'argine non fosse stata più corta della precedente, non so dir di lui, ma io sarei stato vinto senza possibilità di percorrerla.
"quel precinto più che da l'altro era la costa corta", è da intendere "la via del Bene".
Esistono due strade evolutive, quella "più corta" del Bene e quella "più lunga" del Male, attraverso la quale, dopo penose esperienze protratte nei secoli, si giunge ugualmente al Regno di Dio. È un unico cammino fatto di bene e di male oltre cui nulla esiste, né Creato né Increato. |
Ma perché Malebolge inver' la porta del bassissimo pozzo tutta pende, 39 lo sito di ciascuna valle porta |
Il pianeta TerraMalebolge (malefico ripostiglio di anime purganti) è tutto inclinato verso l'apertura di quella bolgia franata (poiché su ogni strada del mondo grava il peso del peccato operato contro il Cristo e su ogni uomo grava la colpa perché ciascuno è parte del medesimo nucleo umano), tanto che da ogni sito |
che l'una costa surge e l'altra scende; noi pur venimmo al fine in su la punta 42 onde l'ultima pietra si scoscende. |
un lato sovrasta e l'altro scende (verso la bolgia che purifica dal peccato dell'uccisione del Cristo); e anche noi giungemmo sulla sommità dell'ultima pietra che dà inizio alla scoscesa (della faticosa via del Karma). |
La lena m'era del polmon sì munta quand'io fui sù, ch'i' non potea più oltre, 45 anzi m'assisi ne la prima giunta. |
Il fiato mi si era esaurito e quando fui lassù, che più oltre non potevo, mi assisi appena giunto. |
«Omai convien che tu così ti spoltre», disse 'l maestro; «ché, seggendo in piuma, 48 in fama non si vien, né sotto coltre; |
«Ormai conviene che tu così ti spoltrisca», disse il maestro; «poiché poltrendo tra le piume e le coltri non si raggiunge apice alcuno;
Ciò significa che non facendosi portare in portantina, ma a piedi e attraverso le fatiche della strada ciottolosa che la vita offre, si raggiunge l'apice dell'evoluzione nella felicità completa del "monte della Vita". |
sanza la qual chi sua vita consuma, cotal vestigio in terra di sé lascia, 51 qual fummo in aere e in acqua la schiuma. |
la felicità si raggiunge con la tenacia, senza la quale, chi consuma inutilmente il suo "vestito" di spoglie terrene nello sfaldamento dei valori morali, lascerà di sé "qual fummo in aere e in acqua la schiuma". |
E però leva sù: vinci l'ambascia con l'animo che vince ogne battaglia, 54 se col suo grave corpo non s'accascia. |
Perciò levati su; vinci la stanchezza con animo che supera ogni battaglia, se il "peso" del corpo non grava sulla luce dell'Anima e non l'accascia. |
Più lunga scala convien che si saglia; non basta da costoro esser partito. 57 Se tu mi 'ntendi, or fa sì che ti vaglia». |
Conviene che si scelga la scala più lunga (dove più intensa è l'energia di Luce nel dolore che purifica); non basta allontanarsi dal peccato ed essere partito dal mondo del Male (anche se alcuni inciampi non ti competono accettali ugualmente se vuoi attingere più Luce Divina nel tuo Ego interiore). Se tu m'intendi fa che ti valga tale mio insegnamento». |
Leva'mi allor, mostrandomi fornito meglio di lena ch'i' non mi sentìa; 60 e dissi: «Va, ch'i' son forte e ardito». |
Allora mi risollevai e, mostrandomi fornito di lena, più di quanto realmente ne avessi, gli dissi: «Vai, che io sono forte e ardito». |
Su per lo scoglio prendemmo la via, ch'era ronchioso, stretto e malagevole, 63 ed erto più assai che quel di pria. |
Riprendemmo la via su per lo scoglio roccioso, ripido, scabroso e più alto del precedente. |
Parlando andava per non parer fievole; onde una voce uscì de l'altro fosso, 66 a parole formar disconvenevole. |
Camminavo parlando per non apparire stanco; allora una voce uscì dall'altro fosso, voce incapace di pronunciar parole chiare. |
Non so che disse, ancor che sovra 'l dosso fossi de l'arco già che varca quivi; 69 ma chi parlava ad ire parea mosso. |
Non so cosa disse la voce sebbene mi trovassi già sulla sommità dell'arco che valica la bolgia in quel punto; ma chi parlava pareva spinto dall'ira. |
Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi non poteano ire al fondo per lo scuro; 72 per ch'io: «Maestro, fa che tu arrivi |
Io ero volto in giù cercando di vedere, ma i miei occhi "vivi" (evoluti e pertanto inadatti alla percezione esatta del buio dell'involuzione) non potevano percepire nulla nello scuro fondo; per cui io dissi: «Maestro, cerca di arrivare |
da l'altro cinghio e dismontiam lo muro; ché, com'i' odo quinci e non intendo, 75 così giù veggio e neente affiguro». |
dall'altro cinghio valichiamo il muro, poiché, così come io sento e non comprendo, guardo nel fosso e nulla percepisco». |
«Altra risposta», disse, «non ti rendo se non lo far; ché la dimanda onesta 78 si de' seguir con l'opera tacendo». |
«Non ti rispondo», disse, «in altro modo se non facendo ciò ciò che mi dici, poiché è bene soddisfare una domanda giusta, senza bisogno di altre parole». |
Noi discendemmo il ponte da la testa dove s'aggiugne con l'ottava ripa, 81 e poi mi fu la bolgia manifesta: |
Noi discendemmo il ponte dalla sommità che si congiunge con l'ottava ripa e la seguente bolgia si evidenziò al mio sguardo: |
e vidivi entro terribile stipa di serpenti, e di sì diversa mena 84 che la memoria il sangue ancor mi scipa. |
dentro io vidi un terribile ammasso di serpenti e di così diversa espiazione che tal ricordo ancora mi sconvolge il sangue. |
Più non si vanti Libia con sua rena; ché se chelidri, iaculi e faree 87 produce, e cencri con anfisibena, |
Una più vasta moltitudine di serpi non potrebbe vantar la Libia con la sua grande estensione sabbiosa, poiché ne "chelidri" serpi velenose di acqua e di terra, "iaculi" che volano a guisa di giavellotti, "faree" che camminano eretti tracciando con la coda un solco per terra e né "cencri" né "anfisibena" che hanno una seconda testa al posto della coda, |
né tante pestilenzie né sì ree mostrò già mai con tutta l'Etïopia 90 né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe. |
né tante pestilenze, né così grandi colpe potrebbe mostrar mai, con la Libia unita, tutta l'Etiopia, né con tutto ciò che vi è di sopra al Mar Rosso. |
Tra questa cruda e tristissima copia correan genti nude e spaventate, 93 sanza sperar pertugio o elitropia: |
Tra questa crudele tristissima copia del Male esistente in Terra, correvano genti nude e spaventate, senza speranza di nascondiglio o della pietra magica "elitropia" (che ha il potere di rendere invisibili e di guarire dal morso dei serpenti): |
con serpi le man dietro avean legate; quelle ficcavan per le ren la coda 96 e 'l capo, ed eran dinanzi aggroppate. |
costoro avevano le mani legate con serpi dietro la schiena e le serpi spingevano la coda e la testa lungo le reni formando dinanzi un groviglio. |
Ed ecco a un ch'era da nostra proda, s'avventò un serpente che 'l trafisse 99 là dove 'l collo a le spalle s'annoda. |
Ed ecco ad un tale che era dal nostro lato, s'avventò un serpente che lo trafisse là dove il collo si congiunge alle spalle. |
Né O sì tosto mai né I si scrisse, com'el s'accese e arse, e cener tutto 102 convenne che cascando divenisse; e poi che fu a terra sì distrutto, la polver si raccolse per sé stessa, 105 e 'n quel medesmo ritornò di butto. |
Né O così giammai né I si scrisse in fretta, come esso s'accese, arse e, cadendo, si tramutò in cenere; e poi che fu a terra così distrutto, la sua polvere si raccolse da se stessa e nella medesima forma umana ritornò di botto.
A tal punto, il serpente che trafigge potrebbe intendersi come morte promossa da delitto, oppure come morte che colpisce un bimbo, in più vite, subito dopo la nascita, in tal caso ben s'intenderebbero le parole: "com'el s'accese" di vita, nascendo "e arse" bruciato dalla morte "e cener tutto convenne che cascando" nell'espiazione della morte "divenisse; e poi che fu a terra sì distrutto, la polver si raccolse per sé stessa," rinascendo in altra vita "e 'n quel medesmo" in quella medesima struttura umana "ritornò di butto" ritornò di botto. |
Così per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, 108 quando al cinquecentesimo anno appressa; |
Nello stesso modo per i gran savi si manifesta la fenice, che muore e poi rinasce quando ai suoi cinquecento anni di vita si approssima;
I cinquecento anni potrebbero intendersi quale tempo indicativo del compimento di un ciclo di vite durante il nostro "saliscendi" reincarnativo, che avvalora la reale identità dell'uomo potenzialmente divino che vive e rivive sul palcoscenico terrestre prima di spiccare il volo nel regno dell'Assoluto e dell'Infinito. È questo, come già detto, il piedistallo principale su cui poggia tutto l'andamento della Creazione, Legge Suprema che l'uomo, riuscendo a guardare più lontano oltre il suo carente e irrazionale intelletto, potrebbe comprendere. La Divina Legge della Rencarnazione consente all'uomo, il quale striscia come larva sulla Terra, che dall'involucro buio della sua crisalide, si liberi nel sole mutandosi in farfalla e ridiscenda per immettersi ancora in una crisalide, sempre nell'attesa dell'apparente "mistero" che egli chiama morte" ignorando da dove provenga col suo curriculum di eterna durata e ritenendo erroneamente che appaia nella vita umana per la prima volta. |
erba né biado in sua vita non pasce, ma sol d'incenso lagrime e d'amomo, 111 e nardo e mirra son l'ultime fasce. |
la fenice, simbolo della vita spirituale, non si nutre né di erba né di biada (elementi terreni), ma di positiva spiritualità, simile a stille di incenso e d'ammonio, e il profumo del nardo e della mirra sono le sue ultime fasce di protezione (di cui ella si ammanta per salire sempre più in alto nello sconfinato scenario dell'esistenza Universale). |
E qual è quel che cade, e non sa como, per forza di demon ch'a terra il tira, 114 o d'altra oppilazion che lega l'omo, |
E come quello che cade nel peccato senza rendersene conto e poi per forza demoniaca che lo tira giù nella purificazione dolorosa, oppure per altra occlusione che sbarra l'ascesa per forza di un legame karmico non ancora concluso, |
quando si leva, che 'ntorno si mira tutto smarrito de la grande angoscia 117 ch'elli ha sofferta, e guardando sospira: |
quando si leva di nuovo alla vita terrena, al suo primo vagito si guarda intorno smarrito per la grande angoscia sofferta e guardando sospira: |
tal era il peccator levato poscia. Oh potenza di Dio, quant'è severa, 120 che cotai colpi per vendetta croscia! |
tale era lo stato del peccatore dopo risorto dalle sue stesse ceneri. Oh potenza di Dio, quant'è severa quando assesta così violenti colpi per punizione vendicatrice!
Il paragone tra il peccatore e la Fenice, che Ť il simbolo dellževoluzione spirituale, appare un controsenso, a meno che ciò non si voglia intendere quale fenomeno di immediatezza nella breve distanza di tempo fra morte e rinascita di un grande peccatore il cui Spirito Guida ritenga necessario il susseguirsi di nascite e di morti per abbreviare repentinamente il tempo del Karma. In tal caso si può morire anche bambini, come già detto, nella veloce alternanza della vita e della morte. |
Lo duca il domandò poi chi ello era; per ch'ei rispuose: «Io piovvi di Toscana, 123 poco tempo è, in questa gola fiera. |
Virgilio domandò poi al peccatore chi egli fosse; ed egli rispose: «Io piovvi di Toscana, in questa stretta espiativa gola feroce. |
Vita bestial mi piacque e non umana, sì come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci 126 bestia, e Pistoia mi fu degna tana». |
Mi piacque la vita bestiale, non umana, così, così io fui come un mulo, ed ora in questa vita, sono Vanni Fucci bestia e Pistoia mi fu degna tana». |
E io al duca: «Dilli che non mucci, e domanda che colpa qua giù 'l pinse; 129 ch'io 'l vidi uomo di sangue e di crucci». |
Ed io a Virgilio: «Digli che non scappi e domandagli che colpa quaggiù lo spinse, poiché io lo conobbi come uomo sanguinario e violento». |
E 'l peccator, che 'ntese, non s'infinse, ma drizzò verso me l'animo e 'l volto, 132 e di trista vergogna si dipinse; |
Il peccatore, che intese le mie parole, nulla simulò, ma drizzò verso di me l'animo e il volto vergognandosi delle sue trascorse tendenze bestiali e della attuale bestiale natura;
Così come Ciacco si purificava dalla sua ingordigia in corpo suino, così Vanni Fucci si purificava dalle sue trascorse tendenze bestiali in corpo da bestia. |
poi disse: «Più mi duol che tu m'hai colto ne la miseria dove tu mi vedi, 135 che quando fui de l'altra vita tolto. |
poi disse: «Ciò che più mi addolora è che tu mi hai colto nella miserevole condizione in cui mi trovo sino da quando fui tolto dall'altra vita. |
Io non posso negar quel che tu chiedi; in giù son messo tanto perch'io fui 138 ladro a la sagrestia d'i belli arredi, |
Io non posso negarti quel che chiedi di sapere; sono messo tanto giù a penare, poiché fui ladro del tesoro alla sacrestia del Duomo di Pistoia, |
e falsamente già fu apposto altrui. Ma perché di tal vista tu non godi, 141 se mai sarai di fuor da' luoghi bui, |
e lasciai che il furto venisse falsamente imputato ad altri. Ma affinché tu non goda per avermi visto qui, allor che sarai di fuori da questo luogo buio (privo di Luce Divina), |
apri li orecchi al mio annunzio, e odi. Pistoia in pria d'i Neri si dimagra; 144 poi Fiorenza rinova gente e modi. |
io ti dirò e tu intendi il mio annuncio. Dapprima Pistoia si spopolerà dai Neri. Poi Firenze risorgerà (come tutto il mondo dopo la profetizzata selezione dell'Umanità), e muterà il suo modo di vivere (nella nuova Era felice dell'Acquario). |
Tragge Marte vapor di Val di Magra ch'è di torbidi nuvoli involuto; 147 e con tempesta impetüosa e agra |
Allora la coscienza di Marte (che è quella planetaria, successiva alla umana), toglierà i "vapori di Val di Magra" (tutto il male inquinante) che è il prototipo di torbidi nuvoloni simili alle fumogene nuvole dell'inquinamento terrestre che sarà annientato "con tempesta impetuosa e agra" durante l'apocalittica rupulita |
sovra Campo Picen fia combattuto; ond'ei repente spezzerà la nebbia, sì ch'ogne Bianco ne sarà feruto. 151 E detto l'ho perché doler ti debbia!» |
sopra il Campo Piceno sia combattuto il Male dal Bene, onde il Bene repentinamente spazzerà la nebbia del Male, così "ch'ogne Bianco" ogni uomo (egli dice "Bianco", poiché i Neri li considera dispersi come parte inquinante) ne sarà "ferito" (spiritualmente scosso durante lo sconvolgimento apocalittico). "E detto l'ho perché doler ti debbia!"» |