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La Commedia
di Dante Alighieri

alla luce della Filosofia Cosmica
in chiave parapsicologica

INFERNO ­ Canto XIV

nel libero commento di Giovanna Viva

[linea separazione]

Cerchio settimo: violenti
Girone terzo: violenti contro Dio nella persona (bestemmiatori) ­ il sabbione infuocato e la pioggia di fuoco ­ Capaneo ­ il veglio di Creta ­ i fiumi infernali
I bestemmiatori giacciono distesi sotto la pioggia di fuoco



       Poi che la carità del natio loco
     mi strinse, raunai le fronde sparte
   3 e rende'le a colui, ch'era già fioco.

L'amore e la carità per la mia città natale, comune a me e all'anima che compenetrava il cespuglio, mi strinse il cuore. Radunai le fronde sparse e le resi a colui che era già silenzioso e affranto.

       Indi venimmo al fine ove si parte
     lo secondo giron dal terzo, e dove
   6 si vede di giustizia orribil arte.

Quindi venimmo al confine che divide il secondo girone dal terzo dove si evidenzia ancor più l'orribile perfezione dell'arte di Giustizia.

       A ben manifestar le cose nove,
     dico che arrivammo ad una landa
   9 che dal suo letto ogne pianta rimove.

Per ben descrivere quel nuovo luogo, dico che arrivammo in una pianura sterile che dal suo letto ogni pianta respinge.

       La dolorosa selva l'è ghirlanda
     intorno, come 'l fosso tristo ad essa:
  12 quivi fermammo i passi a randa a randa.

La dolorosa selva è ghirlanda che circonda il fosso così come il fosso tristo è ghirlanda ad essa: qui fermammo i nostri passi rasentando il margine.

       Lo spazzo era una rena arida e spessa,
     non d'altra foggia fatta che colei
  15 che fu da' piè di Caton già soppressa.

Lo spiazzo era una rena arida e spessa non d'altra forma fatta che di quella sabbia Libica che da Catone Uticenze e dal suo esercito Pompeiano fu già calpestata.

       O vendetta di Dio, quanto tu dei
     esser temuta da ciascun che legge
  18 ciò che fu manifesto a li occhi miei!

O Divina Giustizia vendicatrice, quanto tu devi esser temuta da ciascuno che conosce ciò che agli occhi miei fu manifesto!

       D'anime nude vidi molte gregge
     che piangean tutte assai miseramente,
  21 e parea posta lor diversa legge.

Vidi molte schiere di anime nude di ogni protezione al cospetto della Potenza della Divina Giustizia, che piangevano miseramente e pareva posta a loro una diversa Legge espiativa.

       Supin giacea in terra alcuna gente,
     alcuna si sedea tutta raccolta,
  24 e altra andava continüamente.

Alcuni giacevano supini, più esposti al cielo, che col loro male avevano offeso, alcuni sedevano raccolti insieme così come avevano operato nascostamente nei loro traffici illeciti, e altri andavano continuamente così come continuamente avevano corso nel cercare di raggiungere i grandi traguardi della gloria.

       Quella che giva 'ntorno era più molta,
     e quella men che giacea al tormento,
  27 ma più al duolo avea la lingua sciolta.

Quelli che giravano intorno erano più numerosi e quelli che meno accettavano il tormento più degli altri avevano la lingua sciolta.

       Sovra tutto 'l sabbion, d'un cader lento,
     piovean di foco dilatate falde,
  30 come di neve in alpe sanza vento.

Sopra tutto il sabbione lentamente cadeva una pioggia di fuoco a larghe falde come neve sulle alpi senza vento.

Ciò si riferisce alla punizione della "pioggia di fuoco" della profezia Biblica: Genesi (19:24), Ezechiele (38:22).


       Quali Alessandro in quelle parti calde
     d'Indïa vide sopra 'l süo stuolo
  33 fiamme cadere infino a terra salde,

Le fiamme erano come quelle che Alessandro Magno vide cadere nell'India sopra il suo esercito.
Fu quello un amonimento del Cielo.

       per ch'ei provide a scalpitar lo suolo
     con le sue schiere, acciò che lo vapore
  36 mei si stingueva mentre ch'era solo:

Fu per questo che vano fu il suo tentativo di smorzare il fuoco col passaggio dei suoi soldati nella speranza di poter egli passare per ultimo sul fuoco spento:

       tale scendeva l'etternale ardore;
     onde la rena s'accendea, com'esca
  39 sotto focile, a doppiar lo dolore.

ma le fiamme raddoppiarono, si addensò il calore e si accese la rena, come lo stoppino sotto l'acciarino, a raddoppiare il dolore.

       Sanza riposo mai era la tresca
     de le misere mani, or quindi or quinci
  42 escotendo da sé l'arsura fresca.

Vano fu il tentar di ripararsi, il loro andar qua e là fu simile a "tresca", danza rusticana che porta i ballerini un po' qua e un po' là velocemente, "le misere mani" il misero difendersi umano, a nulla valsero per cercare il fresco scuotendo l'arsura infuocata che si riproduceva sempre di nuovo.

       I' cominciai: «Maestro, tu che vinci
     tutte le cose, fuor che ' demon duri
  45 ch'a l'intrar de la porta incontra uscinci,

Io dissi al Maestro: «Tu che vinci tutte le cose, tranne il diabolico male che nell'animo umano testardamente si annida (quel male che non puoi vincere per non violare la Legge di Equilibrio che consente all'uomo di infangarsene liberamente), tu che pertanto, nell'entrare nella città di Dite, a me di ritorno incontro venisti,

       chi è quel grande che non par che curi
     lo 'ncendio e giace dispettoso e torto,
  48 sì che la pioggia non par che 'l marturi?»

dimmi, chi è quel grande che par non si curi del fuoco e giace sprezzante e rabbioso così che la pioggia infuocata par non lo maturi?»

Dante paragona la cocciutaggine malefica di costui con quella degli abitanti della città di Dite (della Chiesa), di coloro cioè che avevano impedito l'ingresso di Virgilio nella città "di Dio".


       E quel medesmo, che si fu accorto
     ch'io domandava il mio duca di lui,
  51 gridò: «Qual io fui vivo, tal son morto.

Ed egli che si accorse della mia domanda gridò: «Quale io fui da vivo tale sono da morto.

Da una all'altra vita egli portava con sé io suo male testardo, infatti egli soggiunse.


       Se Giove stanchi 'l suo fabbro da cui
     crucciato prese la folgore aguta
  54 onde l'ultimo dì percosso fui;

Se Giove stancasse il suo fabbro Vulcano dal quale prese la folgore aguzza con la quale fui percosso l'ultimo giorno della mia vita,

       o s'elli stanchi li altri a muta a muta
     in Mongibello a la focina negra,
  57 chiamando "Buon Vulcano, aiuta, aiuta!",

e se egli stancasse gli altri punitori a turno sul Mongibello nella fucina caliginosa dell'Etna gridando:"Buon Vulcano, aiuta, aiuta!",

       sì com'el fece a la pugna di Flegra,
     e me saetti con tutta sua forza,
  60 non ne potrebbe aver vendetta allegra».

chiamandolo in soccorso come fece in Tessaglia nella valle di Flegra alla battaglia di Giove contro i Ciclopi che tentarono di scalare l'Olimpo, se contro di me scagliasse saette con tutta la sua forza, non potrebbe mai avere soddisfazione alcuna».

Il comportamento di Capaneo ricorda la testardaggine umana.

[chiarificazioni inferno] Non vi è leggenda che non abbia storia [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]

Non vi è leggenda che non abbia storia e non vi è storia che non sia un po' leggenda.

I "giganti" della Scienza terrestre si possono ben paragonare ai giganteschi ciclopi con un occhio solo al centro della fronte: il grande occhio dei moderni telescopi. Anche gli scienziati, come i ciclopi, guardano al cielo con un occhio solo. E ora il grande Giove di un tempo ­ l'Equilibrio Divino di oggi ­ dardeggia la Terra con lo stesso male con cui i "giganti della Scenza" hanno inquinato l'Olimpo degli Dei, il Cosmo infinito.
La terra riceve di rimando le sostanze velenose che la Scienza ha proiettato nel Cosmo. Dalle macchie solari, che altro non sono che lo specchio delle nostre stesse calamità che si riversano sulla Terra, come da Giove ai ciclopi, giunge a noi di rimando, l'inquinamento mortale. E poiché le sostanze velenose contenute nell'interno del pianeta, liberate dalle esplosioni atomiche aumenteranno l'inquinamento di tutti i regni della natura, la profetizzata pioggia di fuoco cadrà sopra la Terra.

La " pioggia di fuoco" sarà causata da elio e idrogeno che, fra gli elementi della natura sconvolti dalla Scienza, fondendosi in pezzi di materia incandescente saranno attratti dalla forza di gravità terrestre.

La forza di gravità sarà notevolmente potenziata, poiché lo spazio intercapedinale esistente tra gli strati del pianeta, impoverito dagli esperimenti scientifici, non potrà più preservare gli strati sovrastanti del pianeta dal "Magma­Igneo" e questo impasto infuocato, vulcanico eruttivo, si sprigionerà attraverso le bocche deei vulcani e dalle falle che i terremoti apriranno sulla Terra.
Ed ecco l'opera distruttiva dei grandi Ciclopi della Scienza. Essi sono stati più volte avvertiti dagli Extraterrestri, gli "Dei" di un tempo remoto, ed hanno ridicolizzato i loro fraterni avvertimenti. E come Capaneo, ...quel grande che non par che curi lo 'ncendio e giace dispettoso e torto, sì che la pioggia non par che 'l marturi? sembra che dicano anch'essi: Se Giove stanchi 'l suo fabbro... ...in Mongibello a la focina negra, chiamando "Buon Vulcano, aiuta, aiuta!"... ...non ne potrebbe aver vendetta allegra».

[chiarificazioni inferno] [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]



       Allora il duca mio parlò di forza
     tanto, ch'i' non l'avea sì forte udito:
  63 «O Capaneo, in ciò che non s'ammorza

Allora il mio maestro parlò con tanta forza quanto io così parlare non l'avevo mai udito: «O Capaneo, in ciò che non si smorza

       la tua superbia, se' tu più punito:
     nullo martiro, fuor che la tua rabbia,
  66 sarebbe al tuo furor dolor compito».

la tua superbia, tu sarai maggiormente punito. Nessun martirio sarebbe più forte della tua rabbia perché nel tuo furore tu possa trovare la maggiore punizione in cui si compirà il tuo Karma».

       Poi si rivolse a me con miglior labbia
     dicendo: «Quei fu l'un d'i sette regi
  69 ch'assiser Tebe; ed ebbe e par ch'elli abbia

Poi rivolto a me con migliore espressione, egli disse: «Quello fu uno dei sette reggenti che assediarono Tebe ed egli ebbe, e par che abbia ancora,

       Dio in disdegno, e poco par che 'l pregi;
     ma, com'io dissi lui, li suoi dispetti
  72 sono al suo petto assai debiti fregi.

disprezzo per Dio, ma, come io a lui già dissi, i suoi dispetti di cui egli si adorna, sono al suo petto debiti ornamento che pesano sulla sua Coscienza come nere macchie di peccato.

       Or mi vien dietro, e guarda che non metti,
     ancor, li piedi ne la rena arsiccia;
  75 ma sempre al bosco tien li piedi stretti».

Ora seguimi e bada a non mettere i piedi nella rena bruciacchiata, ma tienili vicini al limite del bosco».

       Tacendo divenimmo là 've spiccia
     fuor de la selva un picciol fiumicello,
  78 lo cui rossore ancor mi raccapriccia.

In silenzio giungemmo lì dove fuori dalla selva finisce il fiumicello il cui rossore ancor mi terrorizza.

       Quale del Bulicame esce ruscello
     che parton poi tra lor le peccatrici,
  81 tal per la rena giù sen giva quello.

Così come dal "Bulicame" (laghetto di acqua sulfurea bollente presso Viterbo) dal quale con dentellati rastrelli partono poi le "peccatrici" per dividere in solchi il letto dal fango solforoso da mettere nelle ampolle, così dentellato finiva quel ruscello di sangue, dividendosi dappertutto giù per la rena infuocata di tutte le strade del mondo.

       Lo fondo suo e ambo le pendici
     fatt'era 'n pietra, e ' margini dallato;
  84 per ch'io m'accorsi che 'l passo era lici.

Il fondo, le due sponde e i margini laterali del ruscello (le strade del mondo) erano di pietra per cui io mi accorsi che passare era possibile.

       «Tra tutto l'altro ch'i' t'ho dimostrato,
     poscia che noi intrammo per la porta
  87 lo cui sogliare a nessuno è negato,

«Tra tutto l'altro che io ti ho dimostrato, dopo che entrammo per la porta del pianeta infernale il cui ingresso a nessuno è negato,

       cosa non fu da li tuoi occhi scorta
     notabile com'è 'l presente rio,
  90 che sovra sé tutte fiammelle ammorta».

i tuoi occhi non hanno scorto una cosa da essere notata, è il presente ruscello che smorza tutte le fiammelle che vi cadono sopra».

       Queste parole fuor del duca mio;
     per ch'io 'l pregai che mi largisse 'l pasto
  93 di cui largito m'avea il disio.

Queste parole disse il mio maestro per cui lo pregai che mi elargisse l'insegnamento così come elargito mi aveva il gusto di sapere.

       «In mezzo mar siede un paese guasto»,
     diss'elli allora, «che s'appella Creta,
  96 sotto 'l cui rege fu già 'l mondo casto.

«In mezzo mar è un paese guasto», disse egli allora, «che si chiama Creta, sotto il cui reggente, fu nel passato un paese incontaminato.

       Una montagna v'è che già fu lieta
     d'acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
  99 or è diserta come cosa vieta.

Una splendida montagna vi è che già fu lieta, d'acqua e di fronde come un Paradiso. Quella montagna ch'ebbe nome Ida, ora è triste, deserta e abbandonata così come se fosse stata vietata.

       Rea la scelse già per cuna fida
     del suo figliuolo, e per celarlo meglio,
 102 quando piangea, vi facea far le grida.

Rea, scelse il monte Ida per nascondere il figlioletto Giove e per celarlo meglio al padre Saturno, quando il piccolo vagiva, ordinava ai suoi ministri di fare frastuono con armi, suoni e canti.

[chiarificazioni inferno] quando piangea, vi facea far le grida ­ v. 102 [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]

Nella Mitologia, Rea, detta anche Cibele, moglie di Saturno e madre di Giove, Nettuno e Plutone, nascose Giove sul monte Ida, perché il padre, avendo saputo che sarebbe stato spodestato dai figli, voleva divorarlo come gli altri figli. Cibele, per celarlo meglio quando Giove vagiva, ordinava ai Coribandi (o Cureti), suoi ministri, di fare frastuono con armi, suoni e canti.
A tal punto sorge spontanea una domanda: "Come mai questo padre, che divorava i figli come polpettine per paura di essere spodestato, non si domandava perché i suoi austeri ministri impazzivano, scattando insieme all'improvviso con fracassi di armi, canti e strepiti?!..." Forse ci sarà anche qui qualcosa di vero?
Ma soffermandoci su questo triste racconto, ci sovviene alla mente il tradizionale politico sbraitare che appunto con "rumor di armi" (rumor di guerre) e relativi canti e suoni di fanfare copre quella voce innocente che, da tutte le parti del mondo, eternamente si eleva nella ricerca d'aiuto contro la crudeltà, l'ingiustizia e la fame.
Il piccolo Giove, infatti, piangeva per fame e l'amore materno aveva cercato di metterlo in salvo da chi, più potente e più forte di lui, voleva divorarlo per non perdere appunto il suo posto di comando.

Non è forse così che và il mondo umano? E, come a colorire tutto ciò, proprio su questa montagna, dove il succitato pensiero mitologico aleggia, si erge una statua raffigurante l'Umanità.

[chiarificazioni inferno] [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]



       Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
     che tien volte le spalle inver' Dammiata
 105 e Roma guarda come süo speglio.

La statua rappresenta un vecchio con le spalle volte verso Damietta, città d'Egitto e guarda Roma, sede dell'Impero e del Papato, così come se in Roma si specchiasse.
La statua gigantesca dimostra il decadimento dell'Unmanità sin dal suo principio radioso.

       La sua testa è di fin oro formata,
     e puro argento son le braccia e 'l petto,
 108 poi è di rame infino a la forcata;

Infatti la testa è d'oro massiccio; essa ricorda che Iddio mise l'uomo sulla Terra e la natura a sua disposizione. Ma l'uomo non seppe amare e rispettare la natura, né considerare la Terra come un "paradiso terrestre". Man mano, nel tempo, l'umanità iniziò il suo decadimento, la statua nel petto e nelle braccia è puro argento e poi è di rame fino al punto in cui l'argento si biforca nelle gambe dove il materialismo senza Spirito prende forma;

       da indi in giuso è tutto ferro eletto,
     salvo che 'l destro piede è terra cotta;
 111 e sta 'n su quel, più che 'n su l'altro, eretto.

le gambe sono di ferro eletto, salvo il piede destro che (come Ovidio afferma rappresenta la Chiesa corrotta) è di terracotta. E la statua poggia più sul piede di terracotta che sull'altro.
Ecco il decadimento dell'Umanità nella sua corruzione.

       Ciascuna parte, fuor che l'oro, è rotta
     d'una fessura che lagrime goccia,
 114 le quali, accolte, fòran quella grotta.

Ciascuna parte della statua è rotta all'infuori dell'oro. All'infuori della prima Era felice, ogni altra Età della vita ha una ferita che lacrima gocce. Sono gocce di pianto che così insieme riunite nella potenza del dolore, scavano a pietra e formano quella grotta.

       Lor corso in questa valle si diroccia:
     fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
 117 poi sen van giù per questa stretta doccia,

Il corso di questo pianto in questa "valle di lacrime", di dismonta e, cadendo di roccia in roccia, forma l'Acheronte, lo Stige e il Flegetonte e con essi, lacrime, morte e sangue vanno giù per lo stretto canale (assorbiti dall'interno del pianeta che, avvelenato da tale distonico impulso energetico, agonizza e muore... andando verso l'Apocalisse causata dalle convulsioni della "cellula­Terra" in agonia),

       infin, là ove più non si dismonta,
     fanno Cocito; e qual sia quello stagno
 120 tu lo vedrai, però qui non si conta».

infine, la dove più non si va oltre, i fiumi infernali si fermano, il male si arresta e forma uno stagno, ma in questo inferno di ciò non se ne parla».
Lo stagno è d'acqua pura, Cocito, dove il Karma finisce il suo compito purificatore.
Il fuoco ha finito di "cuocere" e lo Spirito "cotto" "cocito" è già maturo, consapevole della sua origine Divina e di essere precipitato nel baratro in un tempo lontano.

       E io a lui: «Se 'l presente rigagno
     si diriva così dal nostro mondo,
 123 perché ci appar pur a questo vivagno?»

Ed io a lui: «Se questo rigagno deriva dal nostro mondo, perché se ne parla solo ora, alla fine di questo selvatico vivaio?»

       Ed elli a me: «Tu sai che 'l loco è tondo;
     e tutto che tu sie venuto molto,
 126 pur a sinistra, giù calando al fondo,

Ed egli a me: «Tu sai che il luogo è tondo ed è già tanto che tu sia venuto fin qui, pur se dalla parte sinistra negativa e giù calando a fondo fin nei Regni inferiori della Vita,

       non se' ancor per tutto 'l cerchio vòlto;
     per che, se cosa n'apparisce nova,
 129 non de' addur maraviglia al tuo volto».

ma non hai ancora percorso tutto il cerchio, perciò se appaiono cose strane non devi meravigliartene».

       E io ancor: «Maestro, ove si trova
     Flegetonta e Letè? ché de l'un taci,
 132 e l'altro di' che si fa d'esta piova?»

Ed io ancora: «Maestro, dove si trova Flegetonte e Lete? Perché di Lete tu taci e del Flegetonte invece tu dici che si forma da questa pioggia malefica del mondo?»

       «In tutte tue question certo mi piaci»,
     rispuose; «ma 'l bollor de l'acqua rossa
 135 dovea ben solver l'una che tu faci.

«In questi tuoi ragionamenti di certo tu mi piaci», rispose «ma del bollor dell'acqua rossa del Flegetonte che significa "corso di sangue bollente", potevi ben risolvere da solo la risposta, capire che il Flegetonte dilaga in tutto il pianeta Terra e che il suo letto è questo mondo intero.

       Letè vedrai, ma fuor di questa fossa,
     là dove vanno l'anime a lavarsi
 138 quando la colpa pentuta è rimossa».

Tu il Lete vedrai, ma fuori da questa fossa infernale, poiché alla sua acqua lieta vanno le anime a lavarsi quando dal pentimento la colpa è cancellata».

       Poi disse: «Omai è tempo da scostarsi
     dal bosco; fa che di retro a me vegne:
     li margini fan via, che non son arsi,
 142 e sopra loro ogne vapor si spegne».

Poi disse: «È tempo ormai di scostarsi dal bosco, tu seguimi; i margini dell'acqua lieta del Lete, che non sono arsi dal dolore, ci indicano la via e sopra di loro ogni vapore infernale si spegne nella purezza dell'acqua della vita».

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