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La Commedia
di Dante Alighieri

alla luce della Filosofia Cosmica
in chiave parapsicologica

INFERNO ­ Canto VIII

nel libero commento di Giovanna Viva

[linea separazione]

Cerchio quinto: iracondi e accidiosi ­ Flegiàs; traversata dello Stige ­ Filippo Argenti ­ la città di Dite



       Io dico, seguitando, ch'assai prima
     che noi fossimo al piè de l'alta torre,
   3 li occhi nostri n'andar suso a la cima

       per due fiammette che i vedemmo porre,
     e un'altra da lungi render cenno,
   6 tanto ch'a pena il potea l'occhio tòrre.

Dante, continuando il racconto del precedente canto, dice che assai prima di giungere ai piedi dell'alta torre (che potrebbe simboleggiare l'alto intendere), i loro sguardi furono attratti da due fiammette che videro apporsi su nel cielo verso la cima, mentre un'altra luce da più lontano rendeva cenno, ma tanto lontano che appena l'occhio poteva scorgerla.
(Era questa l'astronave­madre da cui erano fuoriusciti due dischi volanti, le "due fiammette").

[chiarificazioni inferno] due fiammette ­ v. 4 [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]

L'astronave sosta sempre molto lontana dalla Terra, restando energeticamente ancorata nello spazio cosmico, poiché la sua potentissima energia elettromagnetica, annullando le energie umane, nuocerebbe alle creature terrestri, la cui lunghezza d'onda energetica è ancora sintonizzata su valori ben diversi. Gli Extra­Terrestri, quali nostri fratelli maggiori, ci hanno sempre seguito lungo tutto il corso della nostra evoluzione.
A tale proposito, inserisco una foto (48K) scattata il 5­2­1971, durante la missione lunare dell'Apollo­14, dove si scorgono "due fiammette", dischi volanti, dai quali i Fratelli del Cielo seguivano amorevolmente i nostri "primi passi" nello spazio.

[chiarificazioni inferno] [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]



       E io mi volsi al mar di tutto 'l senno;
     dissi: «Questo che dice? e che risponde
   9 quell'altro foco? e chi son quei che 'l fenno?»

Io mi rivolsi a Virgilio, mare di tutto il sapere e gli domandai: «Che dice questo fuoco? cosa risponde quell'altro? E chi sono quelli che fanno i segnali?»

       Ed elli a me: «Su per le sucide onde
     già scorgere puoi quello che s'aspetta,
  12 se 'l fummo del pantan nol ti nasconde».

Egli rispose: «Al di sopra di queste sudicie onde di vita terrena, già puoi scorgere, da quei fuochi, quello che nel mondo si attende, se il fumo del pantano della ignoranza umana non ti vieta di capire».
(Quei fuochi erano due dischi volanti che dimostravano ciò che nel mondo si aspetta. Il mondo, nel prossimo futuro, avrà uguali mezzi di volo e tanto amore altruistico come quello che spingeva in quel momento i Fratelli del Cielo a seguire il viaggio di Virgilio e Dante).

       Corda non pinse mai da sé saetta
     che sì corresse via per l'aere snella,
  15 com'io vidi una nave piccioletta

Mai corda d'arco scagliò lontana da sé velocissima freccia, come io vidi sfrecciare, una nave piccolina

       venir per l'acqua verso noi in quella,
     sotto 'l governo d'un sol galeoto,
  18 che gridava: «Or se' giunta, anima fella!»

e venirci incontro sotto la guida "d'un sol galeoto" di un sol conducente di galea.
Il conducente, avendo scambiato Dante per un peccatore da purificare, accompagnato da Virgilio, gridò: «Or sei giunta, anima malvagia!»

       «Flegïàs, Flegïàs, tu gridi a vòto»,
     disse lo mio segnore «a questa volta:
  21 più non ci avrai che sol passando il loto».

«Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a vuoto», lo riprese Virgilio, «noi non veniamo per via purificatrice, questa volta tu ci avrai soltanto di passaggio».
(Flegias, nella mitologia greca, era figlio del dio Marte, un extraterrestre proveniente dal pianeta Marte, e di Crise. In quel tempo, gli uomini consideravano "dei" gli extraterrestri perché li vedevano discendere dall'alto).

       Qual è colui che grande inganno ascolta
     che li sia fatto, e poi se ne rammarca,
  24 fecesi Flegïàs ne l'ira accolta.

Flegias, rammaricato dell'errore, accolse umilmente il rimprovero di Virgilio.

       Lo duca mio discese ne la barca,
     e poi mi fece intrare appresso lui;
  27 e sol quand'io fui dentro parve carca.

Il mio maestro discese nella barca, mi fece entrare dopo di lui e solo quando fui salito, la barca sembrò pesante.
(Questo perché il corpo di dante era nella compattezza della dimensione umana, mentre Flegias e Virgilio, in dimensione "extra­Terra", avevano il corpo più spiritualizzato nella velocità vibratoria di energia­materia evanescente e leggera).

       Tosto che 'l duca e io nel legno fui,
     segando se ne va l'antica prora
  30 de l'acqua più che non suol con altrui.

La prora antica (esistente sin dall'antico, fuori del tempo) partì veloce con noi più che con altri, per via dell'importanza del viaggio programmato dall'Alto.

       Mentre noi corravam la morta gora,
     dinanzi mi si fece un pien di fango,
  33 e disse: «Chi se' tu che vieni anzi ora?»

Mentre noi percorrevamo la stagnante acqua senza vita, mi si avvicinò un essere pieno di fango, che mi disse: «Chi sei tu che vieni prima della tua morte?»

       E io a lui: «S'i' vegno, non rimango;
     ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?»
  36 Rispuose: «Vedi che son un che piango».

Ed io a lui: «Non sono qui per rimanervi, ma tu chi sei, così imbruttito ricoperto di fango?» Rispose: «Vedi sono uno che piange».

       E io a lui: «Con piangere e con lutto,
     spirito maladetto, ti rimani;
  39 ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto».

Ed io: «Rimani nel pianto e nel dolore del tuo stadio di involuzione, tanto, anche se corroso nell'aspetto dal peccato, io ti riconosco ugualmente».

[chiarificazioni inferno] con piangere e con lutto, spirito maladetto, ti rimani ­ v. 37­38 [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]

Esistono due categorie di uomini, una guarda alla "morte" con pianto e con lutto, nella errata certezza di avere perduto per sempre la persona cara, e l'altra più evoluta, considera la morte come il passaggio fra l'umano dormire e la felicità esistente nei mondi migliori. Filippo Argenti, infangato da "pianto e lutto" per l'energia distonica che, simile a maledizione, la sua gente indirizzava a lui attraverso il pensiero era ancora sommerso nel fango del male.
E così che il negativo della sconoscenza nuoce alla vita in tutti i campi a causa di coloro che hanno lastricato di "dogmi" e di falsi concetti il cammino dell'uomo; è così che quel tipo di energia, fatto di vibrazioni aspre e dolorose, "di pianto e lutto", va incontro a quei pesanti contatti vibratori che sconvolgono l'energia necessaria per la pace e la felicità dello Spirito del trapassato.

[chiarificazioni inferno] [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]



       Allor distese al legno ambo le mani;
     per che 'l maestro accorto lo sospinse,
  42 dicendo: «Via costà con li altri cani!»

Filippo Argenti distese alla barca ambo le mani tentando di rovesciarmi nella palude, per cui il Maestro lo sospinse dicendo: «Via da qui con gli altri animali!»

       Lo collo poi con le braccia mi cinse;
     basciommi 'l volto, e disse: «Alma sdegnosa,
  45 benedetta colei che 'n te s'incinse!

Poi mi abbracciò e, baciandomi in volto mi disse: «Anima che sdegni il male nel giusto intendimento, benedetta colei che a te si unì per aiutarti e che ti giudicò degno di questa alta missione.

       Quei fu al mondo persona orgogliosa;
     bontà non è che sua memoria fregi:
  48 così s'è l'ombra sua qui furïosa.

Argenti fu nel mondo persona orgogliosa, la sua prepotenza e la sua cattiveria non hanno lasciato di lui alcun ricordo che di bene lo adorni, perciò l'ombra di colui che egli fu, continua anche qui ad essere furiosa.

       Quanti si tegnon or là sù gran regi
     che qui staranno come porci in brago,
  51 di sé lasciando orribili dispregi!»

Molti uomini come lui che nella vita hanno raggiunto i più alti posti, qui staranno come porci nella melma, lasciando di loro un ricordo spregevole!»

       E io: «Maestro, molto sarei vago
     di vederlo attuffare in questa broda
  54 prima che noi uscissimo del lago».

Ed io: «Maestro, sarei molto contento di vedere Filippo Argenti tuffarsi in questa melma prima che noi uscissimo dal lago».

       Ed elli a me: «Avante che la proda
     ti si lasci veder, tu sarai sazio:
  57 di tal disïo convien che tu goda».

Virgilio rispose: «Prima di approdare tu sarai soddisfatto. Ed è giusto che tu veda bene lo svolgersi della Giustizia».

       Dopo ciò poco vid'io quello strazio
     far di costui a le fangose genti,
  60 che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.

Poco dopo io vidi lo strazio che fecero di costui gli esseri fangosi del pantano. Lodai e ringraziai Iddio approvando la Sua perfetta Giustizia.

       Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»;
     e 'l fiorentino spirito bizzarro
  63 in sé medesmo si volvea co' denti.

Tutti gridavano: «Addosso a Filippo Argenti!»; e il fiorentino collerico, rabbiosamente mordeva se stesso.

       Quivi il lasciammo, che più non ne narro;
     ma ne l'orecchie mi percosse un duolo,
  66 per ch'io avante l'occhio intento sbarro.

Lasciammo questo luogo, ma nelle mie orecchie restò l'eco doloroso di quelle sofferenze, tanto che più avanti lo sguardo immersi nell'attesa di un nuovo posto che fugasse in me il ricordo di quel tristo inferno.

       Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo,
     s'appressa la città c'ha nome Dite,
  69 coi gravi cittadin, col grande stuolo».

Il buon Maestro disse: «Ormai, figliuolo, ci avviciniamo alla città che ha nome "DIO" coi "gravi" cittadini (gravati da pesanti colpe) in grande stuolo».

       E io: «Maestro, già le sue meschite
     là entro certe ne la valle cerno,
  72 vermiglie come se di foco uscite

       fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno
     ch'entro l'affoca le dimostra rosse,
  75 come tu vedi in questo basso inferno».

Ed io: «Maestro, già discerno le sue moschee, (templi, chiese) che son dentro la valle e che paiono uscite dal fuoco». Egli rispose: «Il fuoco eterno del peccato, che dentro le arroventa, come tu vedi, in questo basso inferno, le tinge di rosso».

       Noi pur giugnemmo dentro a l'alte fosse
     che vallan quella terra sconsolata:
  78 le mura mi parean che ferro fosse.

Giugemmo nei profondi fossati che circondano la "città di Dio" la Chiesa, "terra sconsolata" perché priva di Verità Divine, dove le mura di quelle inespugnabili fortezze clericali parevano di ferro.

       Non sanza prima far grande aggirata,
     venimmo in parte dove il nocchier forte
  81 «Usciteci», gridò: «qui è l'intrata».

Non senza fare prima un lungo e ampio giro, (poiché in tutto il mondo si estendono tali fortezze), giungemmo all'ingresso dove il nocchiero, Flegias, fortemente gridò: «Uscite, scendete dalla barca, siete giunti, questa è l'entrata».

       Io vidi più di mille in su le porte
     da ciel piovuti, che stizzosamente
  84 dicean: «Chi è costui che sanza morte

Io vidi moltissimi uomini alle porte, precipitati dal cielo in quel basso inferno, i quali, stizzosamente, come nel tentativo di opporsi al Disegno Divino, dicevano: «Chi è costui che senza morte

       va per lo regno de la morta gente?»
     E 'l savio mio maestro fece segno
  87 di voler lor parlar segretamente.

va nel regno della morta gente?»
E il savio maestro mio, fingendo di voler assecondare la segretezza della loro malefica condotta, fece segno di voler parlare loro segretamente.

       Allor chiusero un poco il gran disdegno
     e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada,
  90 che sì ardito intrò per questo regno.

A tal punto essi, smorzando il disdegno dissero: «Vieni tu solo, quello che così ardito entrò nel nostro regno,

       Sol si ritorni per la folle strada:
     pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai,
  93 che li ha' iscorta sì buia contrada».

torni da solo per la sua "folle strada" (folle strada è, infatti, per costoro la parola e il cammino della Verità) provi a tornarsene se saprà, poiché tu che gli hai indicato la via della Luce, qui rimarrai».

       Pensa, lettor, se io mi sconfortai
     nel suon de le parole maladette,
  96 ché non credetti ritornarci mai.

Più che mai sconfortato al suon di quelle malefiche parole, io non credetti di potermene mai più tornare indietro.

       «O caro duca mio, che più di sette
     volte m'hai sicurtà renduta e tratto
  99 d'alto periglio che 'ncontra mi stette,

«O caro maestro mio, che tante volte mi hai dato sicurezza e salvato dal grave pericolo che incontro mi veniva,

       non mi lasciar», diss'io, «così disfatto;
     e se 'l passar più oltre ci è negato,
 102 ritroviam l'orme nostre insieme ratto».

non lasciarmi», dissi io, «così disfatto dal terrore; e se il procedere ci è negato, ritorniamo sui nostri passi insieme e in fretta».

       E quel segnor che lì m'avea menato,
     mi disse: «Non temer; ché 'l nostro passo
 105 non ci può tòrre alcun: da tal n'è dato.

Il mio signore che lì mi aveva condotto, mi disse: «Non temere ché il nostro cammino mai nessuno potrà arrestare, poiché così è stabilito.

       Ma qui m'attendi, e lo spirito lasso
     conforta e ciba di speranza buona,
 108 ch'i' non ti lascerò nel mondo basso».

Attendi qui e lo Spirito conforta di buona speranza, poiché io mai ti lascerò in questo mondo infernale».

       Così sen va, e quivi m'abbandona
     lo dolce padre, e io rimagno in forse,
 111 che sì e no nel capo mi tenciona.

Il dolce padre a tal punto mi abbandona ed io resto in dubbio fra il sì e il no che nel mio capo combattono.

       Udir non potti quello ch'a lor porse;
     ma ei non stette là con essi guari,
 114 che ciascun dentro a pruova si ricorse.

Io non potei udire l'ammonimento che offrì a loro il mio maestro, ma egli non si stette gran tempo con essi, poiché ognuno a gara, frettolosamente corse a rinchiudersi dentro quelle mura.


       Chiuser le porte que' nostri avversari
     nel petto al mio segnor, che fuor rimase
 117 e rivolsesi a me con passi rari.

Quegli avversari del Bene che era in noi chiusero le porte sul petto al mio signore che restò di fuori e ritornò verso di me con passi lenti.

       Li occhi a la terra e le ciglia avea rase
     d'ogne baldanza, e dicea ne' sospiri:
 120 «Chi m'ha negate le dolenti case!»

Egli aveva gli occhi bassi, scoraggiato lo sguardo e sospirando diceva: «Quale forza diabolica mi ha negato di portare il Bene lì dove più forte brucia il fuoco infernale!»

       E a me disse: «Tu, perch'io m'adiri,
     non sbigottir, ch'io vincerò la prova,
 123 qual ch'a la difension dentro s'aggiri.

E a me disse: «Non meravigliarti di quanto io mi adiri, poiché io quale portatore del Bene vincerò la prova contro chiunque in quelle mura si aggiri e precluda l'ingresso all'insegnamento del Cristo.
(Ciò in riferimento alla profetizzata selezione dell'Umanità e al ritorno imminente di Gesù che farà della Terra un pianeta migliore, un paradiso di felicità).

       Questa lor tracotanza non è nova;
     ché già l'usaro a men segreta porta,
 126 la qual sanza serrame ancor si trova.

Questa loro insolenza non è nuova, poiché già la usarono contro Cristo con minore segretezza.
Per le Creature Celesti che hanno libero ingresso ovunque, quella loro porta si trova tutt'ora senza serratura alcuna.

       Sovr'essa vedestù la scritta morta:
     e già di qua da lei discende l'erta,
     passando per li cerchi sanza scorta,
 130   tal che per lui ne fia la terra aperta».

Qui sopra tu vedesti la scritta infernale: (poiché questa è la vera porta dell'inferno) è da qui che inizia la ripida discesa di tutto il male del mondo, passando per i cerchi senza scorta così che per Lui, il Tutto­Dio, tanto per il Bene, quanto per il Male, sia tutta la Terra aperta».

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