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La Commedia
di Dante Alighieri

alla luce della Filosofia Cosmica
in chiave parapsicologica

INFERNO ­ Canto VII

nel libero commento di Giovanna Viva

[linea separazione]

Cerchio quarto: La ridda degli avari e degli spreconi ­ Virgilio spiega cosa sia la fortuna ­ Lo Stige ­ La belletta negra



       «Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»,
     cominciò Pluto con la voce chioccia;
   3 e quel savio gentil, che tutto seppe,

"Pluto" deriva dal greco e significa ricco. Pluto, la ricchezza, incita "padre Satana" signore e padrone di questo terrestre inferno.
"aleppe" è il caratteristico grido dei pagliacci del circo equestre, i quali al grido di "aleppeh!" spiccano il salto finale tra acrobazie e piroette. È come se Pluto, la ricchezza, dicesse: "Padre Satana, aleppe aléh! / le piroette tu fai con me / fino a quando sarà finita / la grande giostra di questa vita.
"Aleppe" ricorda anche la prima lettera dell'alfabeto ebraico, che è pure esclamazione di dolore con cui inizia il "Lamento Biblico di Geremia".
Appare inoltre questa, una frase senza senso, espressione deformata da un pensiero nullo, parole prive di sostanziale significato, simili a quelle pronunciate nella "erudizione" da tutti coloro che, per raggiungere i primi posti nella platea del mondo, pronunciano arringhe, prediche e discorsi inconcludenti all'unico scopo di emergere ed arricchirsi.
Pape Satàn, pape Satàn aleppe!», cominciò Pluto con la voce chioccia;" cioè con un timbro particolare di voce, di coloro bene ingozzati che parlano a pancia e a gola piena.

Pluto si rivolse ai due, così da incutere spavento, come usano fare i forti contro i deboli.
Ma Virgilio, "savio gentil, che tutto seppe",


       disse per confortarmi: «Non ti noccia
     la tua paura; ché, poder ch'elli abbia,
   6 non ci torrà lo scender questa roccia».

disse per confortarmi: «Non ti nuoccia la paura che esso vuole incuterci, poiché, per quanto potere egli abbia, non potrebbe mai vietarci di scendere questa roccia nel nostro procedere secondo il Disegno Divino».

       Poi si rivolse a quella 'nfiata labbia,
     e disse: «Taci, maladetto lupo!
   9 consuma dentro te con la tua rabbia.

Virgilio si rivolse a quella faccia gonfia di rabbia, simile al viso di coloro che si affannano nevroticamente per raggiungere il successo e disse: «Taci, consuma in te stesso la tua rabbia.

       Non è sanza cagion l'andare al cupo:
     vuolsi ne l'alto, là dove Michele
  12 fé la vendetta del superbo strupo».

Non è senza ragione il nostro andare nel cupo inferno, ma vuolsi così dall'Alto, lì dove Michele, Arcangelo di Giustizia, punisce coloro che operano nella violenza del superbo sfruttamento».

       Quali dal vento le gonfiate vele
     caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca,
  15 tal cadde a terra la fiera crudele.

Come le vele gonfiate dal vento cadono avvolte all'albero maestro che crolla nella tempesta, così cadde a terra quella fiera crudele.

       Così scendemmo ne la quarta lacca,
     pigliando più de la dolente ripa
  18 che 'l mal de l'universo tutto insacca.

Scendemmo nella quarta valle, rasentando il dolente bordo del cerchio che il mal dell'Universo tutto racchiude.

       Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa
     nove travaglie e pene quant'io viddi?
  21 e perché nostra colpa sì ne scipa?

Ahimé, Giustizia Divina! chi ammassa nuove fatiche e pene quante io ne vidi? E perché la nostra colpa tante ne accumula?

       Come fa l'onda là sovra Cariddi,
     che si frange con quella in cui s'intoppa,
  24 così convien che qui la gente riddi.

Come fa l'onda là sopra Cariddi, nello Stretto di Messina, dove le acque dello Jonio s'infrangono contro le acque del Tirreno, così è stabilito che "la gente riddi". La "ridda" è una danza rusticana in cui i ballerini, fra salti e strepiti, girando intorno e su sé stessi, si urtano e si respingono.
Tale danza è simile alla mareggiata umana i cui ballerini giornalmente s'incontrano nei marosi del mondo. Così conviene che la gente riddi per raggiungere gli alti traguardi della ricchezza.

       Qui vidi gente più ch'altrove troppa,
     e d'una parte e d'altra, con grand'urli,
  27 voltando pesi per forza di poppa.

Qui vidi uomini più numerosi che altrove, che voltavano pesi a forza di torace da una parte all'altra, con grandi urli. Era il peso del denaro che, simile a macigno grava sulla Coscienza di coloro che non ebbero desiderio maggiore di quello della ricchezza e degli agi.

       Percotëansi 'ncontro; e poscia pur lì
     si rivolgea ciascun, voltando a retro,
  30 gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?»

Essi si scontravano gli uni contro gli altri, andando su e giù e giunti al punto dove si erano scontrati, si voltavano indietro gridando l'uno all'altro: «Perché burli? Perché stringi più denaro di me?»

       Così tornavan per lo cerchio tetro
     da ogne mano a l'opposito punto,
  33 gridandosi anche loro ontoso metro;

Così essi tornavano ripercorrendo lo stesso cerchio tetro, da ogni lato al punto opposto e, sempre urlando l'uno contro l'altro;

       poi si volgea ciascun, quand'era giunto,
     per lo suo mezzo cerchio a l'altra giostra.
  36 E io, ch'avea lo cor quasi compunto,

giunti al mezzo cerchio, rifacevano lo stesso percorso. (Così nella spasmodica corsa al denaro si continua a giostrare convulsamente negli alti e bassi della vita. L'uomo non utilizza il denaro, ma ne diventa schiavo). Ed io, col cuore turbato,

       dissi: «Maestro mio, or mi dimostra
     che gente è questa, e se tutti fuor cherci
  39 questi chercuti a la sinistra nostra».

domandai: «Maestro mio, spiegami che gente è questa e dimmi se tutti furono ciechi questi cherici ecclesiastici alla sinistra nostra».

       Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci
     sì de la mente in la vita primaia,
  42 che con misura nullo spendio ferci.

Virgilio rispose: «Tutti furono ciechi di mente fin dalle vite precedenti durante le quali mai fecero dono di Divini insegnamenti di cui avrebbero dovuto esser maestri.

       Assai la voce lor chiaro l'abbaia,
     quando vegnono a' due punti del cerchio
  45 dove colpa contraria li dispaia.

Essi portarono gli uomini verso errati concetti religiosi e questo la loro voce chiaramente lo abbaia, quando giungono ai due punti del cerchio espiativo dove colpa contraria li separa.
Spesso la corta vista dell'intelletto distorce la Verità ed essi ebbero la mente guasta sin dalle vite precedenti in cui per avarizia non sprecarono denaro, né giusti insegnamenti verso l'Umanità.
       Questi fuor cherci, che non han coperchio
     piloso al capo, e papi e cardinali,
  48 in cui usa avarizia il suo soperchio».

Questi che furono ciechi all'intendimento giusto, non hanno coperchio di capelli al capo, poiché anche il loro capo usa avarizia nella copertura pelosa». (Il regolamento ecclesisastico nel passato più che nel presente imponeva alla casta sacerdotale una larga chiazza tondeggiante priva di capelli in una rasatura sferica circondata solo da una fascia pelosa che circoscriveva tutta la testa).

       E io: «Maestro, tra questi cotali
     dovre' io ben riconoscere alcuni
  51 che furo immondi di cotesti mali».

Io domandai: «Maestro, fra codesti potrei riconoscere qualcuno che fu pulito da questi mali».

       Ed elli a me: «Vano pensiero aduni:
     la sconoscente vita che i fé sozzi,
  54 ad ogne conoscenza or li fa bruni.

Virgilio rispose: «Vani pensieri accogli nella mente. La loro vita che li rese sporchi, ora di fronte alla Verità, li rende più neri nella colpa.

       In etterno verranno a li due cozzi:
     questi resurgeranno del sepulcro
  57 col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.

Essi cozzeranno in eterno l'uno contro l'altro rinasceranno, alcuni col pugno chiuso per avarizia del denaro e alcuni con i crini mozzi per l'avarizia dei Divini insegnamenti che il mondo si atteneva da essi.

       Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
     ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
  60 qual ella sia, parole non ci appulcro.

Il loro mal dare insegnamenti e il loro mal tenere il mondo nel buio delle Celesti dottrine, ha tolto loro il Bene e li ha posti in questa zuffa che, quale essa sia, non spreco parole a definirla.

       Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
     d'i ben che son commessi a la fortuna,
  63 per che l'umana gente si rabbuffa;

Ora puoi, figliolo, vedere la corta lotta beffarda, che si svolge nella brevità di una vita per i beni attribuiti alla Fortuna, per cui l'umana gente si accapiglia;

       ché tutto l'oro ch'è sotto la luna
     e che già fu, di quest'anime stanche
  66 non poterebbe farne posare una».

tutta la ricchezza che è sotto il chiaro di luna e che nelle passate vite già fu di queste anime stanche dell'eterno giostrare per raggiungerla, non potrebbe dare respiro di pace neanche ad una di loro».

[chiarificazioni inferno] La Fortuna ­ v. 67­96 [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]


       «Maestro mio», diss'io, «or mi dì anche:
     questa fortuna di che tu mi tocche,
  69 che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?»

«Maestro mio», io gli dissi, «ora dimmi, anche questa Fortuna, di cui mi accenni, cos'è mai per potere tenere tutti i beni del mondo fra le sue branche?»

       E quelli a me: «Oh creature sciocche,
     quanta ignoranza è quella che v'offende!
  72 Or vo' che tu mia sentenza ne 'mbocche.

Egli rispose: "«Oh creature sciocche", (voi umani) quanta ignoranza vi offende l'intelletto! Ora io voglio che tu accolga il mio ragionamento, alla stregua di un bimbo al quale viene imboccato il cibo.

       Colui lo cui saver tutto trascende,
     fece li cieli e diè lor chi conduce
  75 sì, ch'ogne parte ad ogne parte splende,

       distribuendo igualmente la luce.
     Similemente a li splendor mondani
  78 ordinò general ministra e duce

Colui che ha in sé tutto lo scibile creò i cieli e i loro conduttori che sono le intelligenze motrici di ogni cosa creata, in modo che lo Splendor Divino sia egualmente distribuito.
"DIO", SUPREMO EQUILIBRIO, similmente agli splendori mondani, ordinò "Generali, Ministri e Duce", creò cioè, nella Gerarchia Celeste, "ANGELI, ARCANGELI e TRONI", e per più chiaramente intendere, "COSCIENZA PLANETARIA, UNIVERSALE e COSMICA".

       che permutasse a tempo li ben vani
     di gente in gente e d'uno in altro sangue,
  81 oltre la difension d'i senni umani;

       per ch'una gente impera e l'altra langue,
     seguendo lo giudicio di costei,
  84 che è occulto come in erba l'angue.

E la "Fortuna", incontrastata ministra, regola di gente in gente, di stirpe in stirpe e oltre ogni difesa dell'uomo, il flusso di tali beni indispensabili alla umana esperienza. Ne consegue che mentre un essere impera l'altro è schiavo in un susseguirsi di vite nei lunghi cicli di Reincarnazioni.
La Fortuna è nascosta nella incapacità dell'intendere umano e passa nella vita del mondo come un serpente che si cela nell'erba.

       Vostro saver non ha contasto a lei:
     questa provede, giudica, e persegue
  87 suo regno come il loro li altri dèi.

Le vostre conoscenze non possono ostacolare l'azione della Fortuna che è potente e raggiunge i suoi intenti così come le altre Intelligenze, ognuna nel suo regno in obbedienza alla missione affidata loro da Dio.

       Le sue permutazion non hanno triegue;
     necessità la fa esser veloce;
  90 sì spesso vien chi vicenda consegue.

I mutamenti che la Fortuna genera sono velocissimi, spinta com'è dalla necessità di seguire la Volontà Divina e questo spiega le mutevolezze delle umane vicende.

       Quest'è colei ch'è tanto posta in croce
     pur da color che le dovrien dar lode,
  93 dandole biasmo a torto e mala voce;

Questa "Fortuna" è colei che tanto è posta in croce, biasimata anche da coloro che dovrebbero lodarla. Il misero intendere del mondo le dà torto a malavoce affibbiandole le colpe più triste;

       ma ella s'è beata e ciò non ode:
     con l'altre prime creature lieta
  96 volve sua spera e beata si gode.

tuttavia Ella è beata nella santa missione apportatrice benefica dell'evoluzione umana, la malavoce non ode, perdona la umana incomprensione e, con le altre Creature apportatrici di Bene, svolge la sua Sfera, "gira la sua RUOTA" e beata, all'altrui bene gioisce, nell'Universale Amore, l'Amore vero che non attende riconoscenza alcuna.

[chiarificazioni inferno] [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]



       Or discendiamo omai a maggior pieta;
     già ogne stella cade che saliva
  99 quand'io mi mossi, e 'l troppo star si vieta».

Or discendiamo a maggior dolore. È trascorso già un buon lasso di tempo e le stelle che salivano all'inizio del mio viaggio nel venire da te, ora discendono nell'equinozio e a noi non è permesso a lungo sostare».

       Noi ricidemmo il cerchio a l'altra riva
     sovr'una fonte che bolle e riversa
 102 per un fossato che da lei deriva.

Recidemmo il cerchio, passando da una all'altra riva, sopra una fonte che bolle e riversa, attraverso un fossato da da essa trae origine.
(La fonte bolle all'inverso, simile ad una pentola capovolta, poiché nel fondo si svolge il bollore del Karma delle anime espianti nei corpi delle bestie della palude).

       L'acqua era buia assai più che persa;
     e noi, in compagnia de l'onde bige,
 105 intrammo giù per una via diversa.

L'acqua era tenebrosa e noi, seguendo il corso delle acque grigie, iniziammo la nostra discesa per una "STRADA DIVERSA", spirituale, discendendo nella palude in "CORPO ANIMICO".

       In la palude va c'ha nome Stige
     questo tristo ruscel, quand'è disceso
 108 al piè de le maligne piagge grige.

Questo tristo ruscello, quando è disceso ai piedi delle malefiche distese grigie, prende nome: "Tristezza".

       E io, che di mirare stava inteso,
     vidi genti fangose in quel pantano,
 111 ignude tutte, con sembiante offeso.

Ed io che ero intento a guardare, vidi esseri fangosi in quel pantano ignudi e imbruttiti.

       Queste si percotean non pur con mano,
     ma con la testa e col petto e coi piedi,
 114 troncandosi co' denti a brano a brano.

Questi esseri che espiavano nei corpi di animali da palude, quali rospi, coccodrilli ecc., non avendo mani si percuotevano con la testa e con i piedi, dilaniandosi con i denti a brano a brano.
(Il loro comportamento ricorda il dilaniarsi reciproco degli uomini per raggiungere i traguardi della ricchezza).

       Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi
     l'anime di color cui vinse l'ira;
 117 e anche vo' che tu per certo credi

Il buon maestro disse: «Figlio, ora vedi le anime di quegli uomini che furono vinti dall'ira e voglio che tu sappia

       che sotto l'acqua è gente che sospira,
     e fanno pullular quest'acqua al summo,
 120 come l'occhio ti dice, u' che s'aggira.

che sotto l'acqua vi è gente che sospira facendo gorgogliare l'acqua al massimo, come l'occhio ti dice ovunque tu lo volga.

(Tutti i commentatori si domandano come mai le anime sospirano da far gorgogliare l'acqua, dal momento che le anime non hanno corpo fisico.
Il Buti, a tal punto, afferma: "Qui si dovrebbe supporre che le anime respirino, mentre altrove si afferma il contario, perché prive di corpo").

In verità, innanzi allo svariato pullulare di considerazioni e di ipotesi, si deve dedurre che a noi è dato captare una ben piccolissima parrte dell'ordine creativo dello scibile universale.
È difficile, per la mente umana, ancorata com'è a quelle conoscenze che dalla cultura "ufficiale" e dalle diverse dottrine sono state distorte e limitate, accettare la grandezza illimitata della Divina Creazione.
Ormai è indispensabile cercare di diradare e disperdere tutte le costine fumogene dell'incomprensione e di esaminare, con diverso intendere l'ingranaggio propulsivo dell'attivante motore eterico in dotazione dell'uomo, proiettato prima e dopo il soggiorno terrestre, condizionato alla limitata legge del tempo.


       Fitti nel limo, dicon: "Tristi fummo
     ne l'aere dolce che dal sol s'allegra,
 123 portando dentro accidïoso fummo:

       or ci attristiam ne la belletta negra".
     Quest'inno si gorgoglian ne la strozza,
 126 ché dir nol posson con parola integra».

Immersi nel fango del pantano, essi dicono "Fummo malvagi, quando nella dimensione umana potevamo godere dell'aria dolce rallegrata dalla luce del sole e avevamo in noi, invece, l'oscurità del male e dell'odio".
Questo inno si gorgogliano nella strozza, poiché esprimerlo non possono con parola intera e resta loro nel lamentoso verso smozzicato di bestie da palude».

       Così girammo de la lorda pozza
     grand'arco tra la ripa secca e 'l mézzo,
     con li occhi vòlti a chi del fango ingozza.
 130   Venimmo al piè d'una torre al da sezzo.

Così girammo, in grande arco, intorno alla lorda pozza con gli occhi rivolti a coloro che il fango ingozza.
Alfin giungemmo ai piedi di una torre.

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