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La Commedia
di Dante Alighieri

alla luce della Filosofia Cosmica
in chiave parapsicologica

INFERNO ­ Canto XVIII

nel libero commento di Giovanna Viva

[linea separazione]

Cerchio ottavo: fraudolenti
Bolgia prima: ruffiani e seduttori ­ Venedico Caccianemico ­ Giasone
Bolgia seconda: adulatori ­ Alessio Interminelli ­ Taide

[chiarificazioni inferno] Malebolge ­ v. 1­18 [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]


       Luogo è in inferno detto Malebolge,
     tutto di pietra di color ferrigno,
   3 come la cerchia che dintorno il volge.

Il luogo infernale denominato "Malebolge", malefico ripostiglio, è la prigione, sistema carcerario esistente sul pianeta Terra. In questo luogo tutto è color ferrigno come il recinto che lo circonda.

Ovviamente Dante identifica nella prigione la limitatezza della dimensione umana costretta nel tempo e nello spazio; prigione terrestre, questa, che preclude all'uomo l'immersione nell'Universo che è la manifestazione dell'Eternità.


       Nel dritto mezzo del campo maligno
     vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
   6 di cui suo loco dicerò l'ordigno.

Nel centro del "campo maligno" del mondo umano, "vaneggia" si spazia cioè nel vuoto di una logica errata, un gran pozzo, baratro di incomprensione.
Ma "nel pozzo largo e profondo del diritto mezzo del campo maligno", non giunge la Luce della Sorgente lontana che spinge ad agire in opposizione al Male, giunge invece la forza cieca della Gerarchica Gestione, il mostro Gerione che arma l'uomo e lo spinge al delitto col nome di "Eroe", sotto il vessillo della "gloria" rosso del sangue dei fratelli d'umano cammino. Così la forza cieca del Potere Centrale alimenta il già copioso corso del Flegetonte.
E il pensiero collettivo si propaga e le vibrazioni sono anelli energetici sia di gioia che di dolore. La gioia è un fiore profumato, il canto armonioso d'un uccello, il dolore è lo stesso fiore strappato dallo stelo, lo stesso uccello ucciso dalle fucilate di un cacciatore, nel perfetto collegamento del Tutto il cui significato è racchiuso nelle parole di Francis Thomps: "Non puoi scuotere un fiore senza agitare una stella".

       Quel cinghio che rimane adunque è tondo
     tra 'l pozzo e 'l piè de l'alta ripa dura,
   9 e ha distinto in dieci valli il fondo.

Quel cinghio è tondo, perché pervade tutto il rotondeggiante pianeta. Esso rimane appunto fra il pozzo dell'incomprensione "e 'l piè" e l'inizio dell'alta ripa "dura" che duramente, drasticamente, vieta di oltrepassare il confine, vieta di inquinare la purezza dello spazio siderale.

Tale purezza appartiene alle creature dei pianeti superiori viventi nel rispetto delle Leggi Divine. Gli uomini hanno prevaricato tali confini e, spiritualmente inquinati, hanno oltrepassato l'atmosfera terrestre, liberato inoltre nello spazio barili di diossina, di microbi e di vari veleni per "studiare" l'effetto che l'inquinamento avrebbe procurato nella purezza dello spazio e se i microbi, oltre la stratosfera, avrebbero acquistato proporzioni maggiori.
L'uomo è composto degli elementi di cui è formato il suo pianeta e l'inquinamento afferra e sconvolge, come ogni cosa creata, anche il cervello umano. Si può dedurre pertanto che l'assassino rinchiuso in "Malebolge" non è il solo colpevole del suo delitto.
Oggi l'Umanità si trova in balìa di una severa forza karmica, di una drastica "forza del destino" che si agita e rimbalza inesorabile nei penosi labirinti della vita, "il cui fondo è "distinto in dieci valli" espiative.


       Quale, dove per guardia de le mura
     più e più fossi cingon li castelli,
  12 la parte dove son rende figura,

L'aspetto di questi luoghi è simile a quello dei luoghi dove parecchi fossati, a difesa delle mura, cingono i castelli,

       tale imagine quivi facean quelli;
     e come a tai fortezze da' lor sogli
  15 a la ripa di fuor son ponticelli,

tale immagine qui rendevano quei fossi e come dalle soglie delle fortezze partono dei ponticelli che vanno fino al margine esterno,

       così da imo de la roccia scogli
     movien che ricidien li argini e ' fossi
  18 infino al pozzo che i tronca e raccogli.

così dal fondo della roccia dell'ottuso intendere si muovevano verso il margine esterno del pianeta, i duri scogli degli errori umani. La loro energia malefica, mediante la cosmica Legge del "Flusso e Riflusso", ritorna al pozzo largo e profondo che "i tronca e raccogli" nella voragine tossica dell'esistenza umana.

Gli scienziati, alla ricerca affannosa della "vita nello spazio", si spingono sempre più ad invadere il complesso Edificio Cosmico. Essi ignorano che non si può rapportare a livello umano ciò che alita nelle superiori dimensioni della vita e dell'energia. Procedono pertanto in un deleterio cammino di ricerca illudendosi di poter trovare la vita umana lì dove le strutture organiche hanno raggiunto velocità vibratorie cosmodinamiche ed orbitanti su piani genetici superiori e perciò alla umana capacità invisibili e intangibili.
Sassi e sabbia che la "stazione automatica Viking I" ha prelevato da Marte, così pure le immagini marziane fotografate e trasmesse alla stazione di Pasadena, in California, nel luglio 1976, non sono altro che ciò che esiste ancora su Marte in dimensione umana, nella quale quel pianeta non vive più, perché sta seguendo il lento processo di assorbimento verso i piani superiori della vita.

[chiarificazioni inferno] [chiarificazione precedente] [chiarificazione seguente]



       In questo luogo, de la schiena scossi
     di Gerïon, trovammoci; e 'l poeta
  21 tenne a sinistra, e io dietro mi mossi.

In questo luogo fummo deposti dalla schiena di Gerione; il poeta tenne a sinistra ed io lo seguì.

       A la man destra vidi nova pieta,
     novo tormento e novi frustatori,
  24 di che la prima bolgia era repleta.

Alla mia destra io vidi una nuova forma di sofferenza e nuovi frustatori che riempivano la prima bolgia.

       Nel fondo erano ignudi i peccatori;
     dal mezzo in qua ci venien verso 'l volto,
  27 di là con noi, ma con passi maggiori,

Nel fondo della bolgia i peccatori erano ignudi di ogni difesa al cospetto della Giustizia Divina. Essi venivano verso di noi, ma con passi più veloci dei nostri (poiché abbisognevoli di svelta purificazione),

       come i Roman per l'essercito molto,
     l'anno del giubileo, su per lo ponte
  30 hanno a passar la gente modo colto,

       che da l'un lato tutti hanno la fronte
     verso 'l castello e vanno a Santo Pietro
  33 da l'altra sponda vanno verso 'l monte.

Secondo le affermazioni dei commentatori, l'esercito dei Romani avrebbe trovato il modo di ridurre la calca dei pellegrini deviandoli verso il punto opposto, ma se così fosse stato, i Romani non avrebbero commesso nessun peccato e Dante non parlerebbe così di loro nella descrizione di questa dolorosa bolgia. Pertanto interpretiamo nel modo seguente:

come i Romani attraverso il numeroso "esercito" (sia il complesso delle forze armate, sia il complesso delle forze militanti della chiesa), dei loro seguaci, nell'anno del giubileo avevano escogitato un espediente per deviare i pellegrini che avevano "la fronte" la volontà disposta a seguire il veritiero insegnamento di Pietro e "da l'altra sponda vanno verso 'l monte" li spingevano verso il monte degli errori.


       Di qua, di là, su per lo sasso tetro
     vidi demon cornuti con gran ferze,
  36 che li battien crudelmente di retro.

In simil modo, di qua e di là, su per il sasso tetro dell'espiazione, io vidi " demoni cornuti", che con grande sferze battevano i peccatori crudelmente di dietro, costringendoli ad avanzare verso la dolorosa purificazione.

       Ahi come facean lor levar le berze
     a le prime percosse! già nessuno
  39 le seconde aspettava né le terze.

Ahi come i demoni cornuti sollevavano le vesciche sul corpo dei pecatori alle prime percosse! tanto che nessuno aspettava le seconde né le terze, perché morivano prima.

Come sappiamo, durante la storia del Cristianesimo, ogni colpo di sferza apriva nelle carni profonde ferite specie quando la sferza aveva delle palle di ferro ricoperte da punte aguzze.
Migliaia e migliaia di martiri hanno sofferto per opera di coloro che, nel veritiero pensiero di Dante, subiscono il giudizio della condanna lungo la strada della inesorabile Legge del Karma.


       Mentr'io andava, li occhi miei in uno
     furo scontrati; e io sì tosto dissi:
  42 «Già di veder costui non son digiuno».

Mentre io andavo vidi un tale; e dissi: «Già mi pare di averlo visto».

       Per ch'io a figurarlo i piedi affissi;
     e 'l dolce duca meco si ristette,
  45 e assentio ch'alquanto in dietro gissi.

Mi fermai per guardarlo e il mio cortese accompagnatore attese acconsentendo che io mi fermassi per meglio vederlo.

       E quel frustato celar si credette
     bassando 'l viso; ma poco li valse,
  48 ch'io dissi: «O tu che l'occhio a terra gette,

Il condannato credette di nascondersi abbassando il viso, ma ciò a nulla valse, poiché io gli dissi: «O tu che abbassi gli occhi,

       se le fazion che porti non son false,
     Venedico se' tu Caccianemico.
  51 Ma che ti mena a sì pungenti salse?»

se le tue sembianze non son falsate, io ti riconosco, tu sei Venedico Caccianemico. Quale colpa ti ha condotto a così grave soffrire?»

       Ed elli a me: «Mal volentier lo dico;
     ma sforzami la tua chiara favella,
  54 che mi fa sovvenir del mondo antico.

Egli rispose: «Malvolentieri lo dico, ma m'invita il tuo sincero parlare che mi fa ricordare del bel mondo antico.

       I' fui colui che la Ghisolabella
     condussi a far la voglia del marchese,
  57 come che suoni la sconcia novella.

Io fui colui che condusse la Ghisolabella a soddisfar le voglie del marchese e te lo dico malgrado appaia sconcio tale mio comportamento.

       E non pur io qui piango bolognese;
     anzi n'è questo loco tanto pieno,
  60 che tante lingue non son ora apprese

Ma non solo io, bolognese, sono qui a piangere per tali misfatti, ché questa valle è piena di peccatori e molti bolognesi come me e altri di tutto il mondo e di diverse razze e di diverse lingue che non tutte qui son conosciute

       a dicer 'sipa' tra Sàvena e Reno;
     e se di ciò vuoi fede o testimonio,
  63 rècati a mente il nostro avaro seno».

così come è sconosciuta la nostra lingua bolognese che, nel territorio tra Sàvena e Reno, dice "sipa" invece di "sia"; e se vuoi essere certo della moltitudine umana espiante per tali misfatti, rammenta l'avarizia e l'ingordigia che ogni creatura umana serba in seno».

I precedenti commenti affermano che il discorso di Venedico si riferisce ai bolognesi racchiusi tutti, o quasi, in una stessa bolgia.
Ma una bolgia non può intendersi un fosso tra altri fossi, o un cerchio tra altri cerchi. Essa deve intendersi una stessa categoria di anime espianti uno stesso peccato, racchiuse nella rotondeggiante Terra, anime che se pur lontane sono unite assieme da uno stesso genere di dolore, come potrebbe quindi questa "bolgia", questa espiazione che pervade tutto il pianeta Terra, racchiudere soltanto Bolognesi?


       Così parlando il percosse un demonio
     de la sua scurïada, e disse: «Via,
  66 ruffian! qui non son femmine da conio».

Mentre Venedico parlava, un demone punitore lo frustò e disse: «Via, ruffiano, qui non vi sono femmine da prostituire per ricavarne denaro».

       I' mi raggiunsi con la scorta mia;
     poscia con pochi passi divenimmo
  69 là 'v'uno scoglio de la ripa uscia.

Io mi avvicinai ancor più a Virgilio, poi con pochi passi giungemmo dove uno scoglio usciva dal bordo.


       Assai leggeramente quel salimmo;
     e vòlti a destra su per la sua scheggia,
  72 da quelle cerchie etterne ci partimmo.

Vi salimmo "assai leggermente", avendo resa più leggera la materia corporea in una dimensione evanescente, poi, volti a destra (lato positivo), risalimmo su per la scheggia e ci allontanammo da quel posto che racchiude l'eterna espiazione.

Non si può partire da sopra la scheggia di uno scoglio e per giunta "assai leggermente", se non per via extraterrestre, tramite, cioè un mezzo spaziale che può accogliere soltanto la materia poco densa, che aveva loro permesso di posarsi "assai leggermente".


       Quando noi fummo là dov'el vaneggia
     di sotto per dar passo a li sferzati,
  75 lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia

Quando noi fummo in "alto", là dove "grande vano si apre di sotto per dar passo agli sferzati", Virgilio disse: «Fermati e fa che

       lo viso in te di quest'altri mal nati,
     ai quali ancor non vedesti la faccia
  78 però che son con noi insieme andati».

in te s'imprima bene l'aspetto di questi altri "mal nati" nati in dimensione inferiore, dei quali (data la diversità delle loro dimensionali strutture) "non vedesti la faccia", il loro normale aspetto umano, ma che sono stati nostri compagni nel trascorso cammino della vita terrena».

       Del vecchio ponte guardavam la traccia
     che venìa verso noi da l'altra banda,
  81 e che la ferza similmente scaccia.

Dal "vecchio ponte" (mezzo volante extraterrestre, vecchio ponte di collegamento tra Cielo e Terra), guardavamo la schiera che veniva verso la nostra direzione dall'"altra banda" altra vita terrena e che la frusta dell'espiazione sempre in egual modo spinge avanti sul cammino evolutivo.

       E 'l buon maestro, sanza mia dimanda,
     mi disse: «Guarda quel grande che vene,
  84 e per dolor non par lagrime spanda:

Il buon maestro mi disse: «Guarda quel grande che orgogliosamente avanza e non par che soffra del suo tormento:

       quanto aspetto reale ancor ritene!
     Quelli è Iasón, che per cuore e per senno
  87 li Colchi del monton privati féne.

egli conserva ancora il suo aspetto regale, è Giasone che, a capo degli Argonauti e con sete di conquista "per cuore e per senno" nel cuore e nella mente, combatté contro i Colchi per appropriarsi del vello d'oro.

       Ello passò per l'isola di Lenno,
     poi che l'ardite femmine spietate
  90 tutti li maschi loro a morte dienno.

Giasone passò per la greca isola di Lenno, dopo che le ardite femmine spietate avevano ucciso i loro uomini ritenendoli capaci di ingannarle.

       Ivi con segni e con parole ornate
     Isifile ingannò, la giovinetta
  93 che prima avea tutte l'altre ingannate.

Qui egli, con moine e parole d'amore, ingannò la giovinetta Isifile, "che prima avea tutte l'altre ingannate" così come egli aveva già ingannate tutte le altre donne di Lenno.

       Lasciolla quivi, gravida, soletta;
     tal colpa a tal martiro lui condanna;
  96 e anche di Medea si fa vendetta.

Poi l'abbandonò gravida e sola; tale colpa egli espia in questo luogo assieme al tradimento fatto a Medea.

Medea, figlia di Oeta, re della Colchide, invaghitasi di Giasone, lo aveva aiutato a togliere ai Colchi il vello d'oro ed era fuggita poi con lui. Ma Giasone, innamoratosi di Creusa, figlia di Creonte, re di Corinto, abbandonava anche Medea, che gli era stata di aiuto nella conquista del vello d'oro.


       Con lui sen va chi da tal parte inganna;
     e questo basti de la prima valle
  99 sapere e di color che 'n sé assanna».

Con lui espiano le proprie colpe coloro che ingannarono le donne per ritrarre vantaggi personali e questo può bastare per conoscere la prima valle di Malebolge e coloro che la popolano».

       Già eravam là 've lo stretto calle
     con l'argine secondo s'incrocicchia,
 102 e fa di quello ad un altr'arco spalle.

Già eravamo là dove lo stretto sentiero s'interseca ripetutamente con un altro argine e fa da sostegno ad un altro arco (poiché vari e tanti sono i modi per operare tali inganni).

       Quindi sentimmo gente che si nicchia
     ne l'altra bolgia e che col muso scuffa,
 105 e sé medesma con le palme picchia.

Sentimmo la gente che "si nicchia" (ciò non significa "rannicchiarsi" come si afferma in altri commenti. Il rannicchiarsi non si sente, ma si vede; pertanto deve intendersi per "nicchiare" il tipico rauco abbaiare silenzioso dei cani segugi). Questa gente, infatti, si sentiva nicchiare nell'altra bolgia e "che col muso scuffa" (cioè profondamente e rumorosamente respirare come i maiali fanno nella melma), "e sé medesma con le palme picchia" (si picchiava palma contro palma, similmente a come, per le sue bravate, tale gente venne un giorno applaudita).

       Le ripe eran grommate d'una muffa,
     per l'alito di giù che vi s'appasta,
 108 che con li occhi e col naso facea zuffa.

Le pareti erano incrostate da una muffa formatasi dal denso alito degli esseri immersi in quella bolgia che si addensava in ciuffi (non: "azzuffandosi", dal longobardo: "zupfa" zuffa significa "ciuffo").

       Lo fondo è cupo sì, che non ci basta
     loco a veder sanza montare al dosso
 111 de l'arco, ove lo scoglio più sovrasta.

Il fondo è così profondo, che non ci basta lo spazio per vedere, senza montare a ridosso dell'arco dove lo scoglio si eleva maggiormente.

       Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
     vidi gente attuffata in uno sterco
 114 che da li uman privadi parea mosso.

Qui venimmo ed io vidi giù nel fondo, gente immersa in uno sterco che pareva rimosso dalle umane latrine.

       E mentre ch'io là giù con l'occhio cerco,
     vidi un col capo sì di merda lordo,
 117 che non parea s'era laico o cherco.

Mentre laggiù cercavo di guardare, vidi uno col capo così sporco di sterco che non era chiaro se avesse la chierica, se fosse laico o ecclesiastico.

       Quei mi sgridò: «Perché se' tu sì gordo
     di riguardar più me che li altri brutti?»
 120 E io a lui: «Perché, se ben ricordo,

Questo a me gridò: «Perché sei così bramoso di guardare me, più degli altri sporchi?» Io gli risposi: «Perché, se ben ricordo.

       già t'ho veduto coi capelli asciutti,
     e se' Alessio Interminei da Lucca:
 123 però t'adocchio più che li altri tutti».

già ti ho veduto quando non eri ancora in questo stato. Tu sei Alessio Interminelli da Lucca, perciò ti guardo più degli altri».

       Ed elli allor, battendosi la zucca:
     «Qua giù m'hanno sommerso le lusinghe
 126 ond'io non ebbi mai la lingua stucca».

Ed egli allora, battendosi la zucca, rispose: «Qua giù mi hanno portato le false promesse che io non fui mai stanco di proferire».

Questa gente "mal nata" (in dimensione inferiore) della quale Dante non vide la faccia, questa gente che nicchia immersa nello sterco e col muso "scuffa" e batte la zucca sulle pareti incrostate, non fa forse pensare alla situazione di anime espianti in corpo da bestia?...


       Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe»,
     mi disse «il viso un poco più avante,
 129 sì che la faccia ben con l'occhio attinghe

Dopodiché Virgilio disse: «Sporgi il viso un po' più in avanti, affinché tu possa ben vedere le sembianze

       di quella sozza e scapigliata fante
     che là si graffia con l'unghie merdose,
 132 e or s'accoscia e ora è in piedi stante.

di quella sozza e dissoluta femmina da conio, che si gratta lì, cerca di liberarsi, cioè, dalla dissolutezza, ed or s'accoscia e ora resta in piedi.

       Taide è, la puttana che rispuose
     al drudo suo quando disse "Ho io grazie
     grandi apo te?": "Anzi maravigliose!".
 136   E quinci sien le nostre viste sazie».

Quella prostituta che promise al drudo suo grazie grandi si chiama Taide. E di ciò che abbiamo appreso il nostro sapere sia soddisfatto».

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