Il Tempio di Afrodite

L'edificio più antico di carattere pubblico, di 17,8 su 7,25 metri, si trova nella zona di scavo occidentale. La caratteristica pianta indica che si tratta di un edificio sacro. La facciata era messa in risalto da grossi blocchi di pietra agli angoli esterni. I muri esterni, soprattutto dei lati nord e ovest, sono abbastanza ben conservati, mentre sul lato a valle non ne restano che le fondazioni. Nel Medioevo l'edificio ha subito ulteriori danni quando se ne ricavarono pietre per nuove costruzioni. L'analisi accurata dei frammenti di ceramica contenuti nei pavimenti e nelle trincee di fondazione dimostra che il tempio è stato costruito verso il 550 a.C. o poco dopo. La pianta dell'edificio mostra un vano posteriore chiuso, un adyton, tipico del tempio greco della Sicilia occidentale. Il vano principale era suddiviso da due colonne di legno di cui si sono rinvenuti solo la base e un capitello in posizione di crollo. La porta del tempio si trovava al lato est. Antistante al tempio si distingue l'altare, eretto in grossi blocchi. Questo tipo di tempio era diffuso in tutto il mondo greco. Tipicamente greche sono la tecnica di costruzione e la pianta ortogonale, accuratamente proporzionata. L'edificio di Monte Jato diventa particolarmente importante, quando si tien conto della sua ubicazione. Rispetto alle capanne primitive di tipo indigeno, il tempio costituisce un elemento estraneo, introdotto da fuori. L'architetto era greco, le maestranze praticavano le tecniche edilizie greche. Ne consegue che, intorno alla metà del VI sec. a. C., dei Greci stavano a Monte Jato. Ma non ci fermiamo qui: templi greci rispondono a pratiche di culto particolari, condizionate dalla religione greca. Il tempio accoglieva, nella semi-oscurità dell'adyton, il simulacro della divinità. I sacrifici venivano celebrati all'aperto, sull'altare. Tali pratiche religiose indicano che i partecipanti al culto erano Greci. Dopo la metà del VI sec. a.C. indigeni e Greci coabitavano a Monte Jato. Agli allevatori e coltivatori indigeni vennero presumibilmente ad accompagnarsi "specialisti" greci: vasai, bronzisti e artigiani vari, forse anche commercianti. Sappiamo da altre zone sacre che i Greci non usavano gettare via oggetti votivi danneggiati, ma che li raccoglievano in fosse votive all'interno del santuario. Un deposito votivo simile è stato scoperto anche nell'adyton del tempio, dove una fossetta praticata nel suolo conteneva diversi vasi. Un secondo deposito votivo è stato scoperto davanti all'angolo sud-est del tempio. Esso risale a un momento inoltrato della vita del santuario e va collegato a un rito sacrificale celebrato all'altare verso la fine del IV sec. a.C. Gli avanzi del sacrificio, cenere e ossa di animali, vennero poi sotterrati assieme ad una cinquantina di lucerne. Alcune di queste conservano ancora tracce di bruciato sul beccuccio, causate dallo stoppino acceso. I partecipanti al rito erano muniti di lucerne accese, il sacrificio si era pertanto svolto nottetempo. Tra gli animali immolati erano un bovino, capre e maialini. La carne veniva, come al solito, consumata sul posto. Per le libazioni e per spegnere il fuoco sacrificale occorreva un vaso per bere: tra gli avanzi del sacrificio c'era anche un elegante calice frammentario di fabbrica siceliota. Su di esso si leggono, incise, le tre prime lettere della dedica alla divinità: AFR. Afrodite era dunque la Signora del tempio. Nonostante il terreno risultasse, nelle adiacenze del tempio, sconvolto da costruzioni posteriori, vi si sono conservate altre lucerne di varie epoche, collegabili al culto di Afrodite. Quella più antica risale al Vi sec. a.C. Le lucerne ad alto piede e quelle in argilla grigia decorate a rilievo sono ellenistiche; comuni lucerne tornite sono di età imperiale. In esse si rispecchia il secolare culto di Afrodite al tempio di Iaitas.



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