Sul finire dell'Ottocento, non c'era paese del reggino in cui la picciotteria trovasse difficolta' a mettere radici. E non c'era giovane spavaldo ed arrogante che riuscisse a resistere al fascino di questa malapianta che, cerimoniosa come la camorra e spietata come la mafia, si allargava a macchia d'olio. Tra il 1880 ed 1885, centinaia di maggiorenti della mafia siciliana erano stati spediti dalle autorita' di pubblica sicurezza lungo la fascia costiera della Calabria, alle falde dell'Aspromonte in esecuzione di un provvedimento - il confino di polizia - introdotto nel 1875 su proposta dell'allora ministro degli Interni Cantelli (29). A questi, in occasione dell'inizio dei lavori per la costruzione del raccordo ferroviario della linea Reggio Calabria-Eboli, sul versante tirrenico della Calabria, si erano aggiunti molti camorristi, giunti dalla vicina Campania assieme a segantini e tagliatori di pietre, carpentieri e fabbri. Semplici coincidenze? Analizzando le origini della picciotteria in Calabria, cosi' nel 1901 scriveva Lucio Barbieri, procuratore del Re presso il Tribunale di Palmi: ''Questa forma perniciosissima di delinquenza collettiva, sbocciata nei bassifondi di certe grandi citta' venne importata in queste contrade tra il 1880 ed il 1885, in occasione della costruzione della ferrovia, che richiamo' molti operai di diversi paesi (30)''. Nessun accenno fa, invece, Barbieri ai tanti mafiosi siciliani confinati in Calabria, cui Sharo Gambino, studioso della 'ndrangheta, lega la nascita delle prime 'ndrine della Locride. Di parere opposto e' Enzo Fanto', secondo il quale la picciotteria non e' altro che un prodotto endogeno della Calabria. Scrive Fanto': "A ripercorrere la storia travagliata degli ultimi due secoli della provincia reggina sembra esistere una sorta di legge ferrea secondo cui ad ogni sconvolgimento naturale, sociale o politico segue la crescita dei fenomeni malavitosi e mafiosi (...)". Ed aggiunge: "La picciotteria e le stesse forme primarie della 'ndrangheta esprimono un bisogno materiale di conflitto che non trova forme alternative per esprimersi. C'e' quindi originariamente nella 'ndrangheta una forma di rivolta contro l'ingiustizia. Marx commentando un passo di Platone afferma che il bisogno crea lo Stato. Nelle condizioni date dal circondario di Palmi, il bisogno materiale di conflitto crea la picciotteria". Spiega ancora Fanto': "Lo Stato unitario pur avendo il monopolio legittimo della forza, non si afferma perche' non possiede altri due requisiti essenziali della forma-stato: la capacita' di produrre lavoro e la capacita' di produrre consenso. Lo stesso uso della forza diviene quindi illegittimo e si formano nuove forze che riescono ad avere maggiore capacita' di produrre lavoro e consenso e finiscono con il contestare allo Stato la legittimazione dell'uso della forza (31)". E', comunque, nel periodo compreso tra il 1880 ed il 1890, che la picciotteria affina la sua struttura. Nel 1884 l'allora prefetto di Reggio Calabria, Giorgio Tamajo, lamenta la presenza nella citta' di un nucleo di mafiosi e camorristi. Due anni dopo in un rapporto inviato al Ministero dell'Interno, il suo successore, Alfonso Gentili, fa cenno ad alcune misure amministrative e giudiziarie tese a spezzare "le file delle criminose associazioni della maffia". E nel 1888, addirittura, in un esposto anonimo indirizzato al nuovo prefetto della provincia, Francesco Paternostro (32) denuncia l'esistenza a Iatrinoli, uno dei tre borghi che hanno dato vita all'odierna Taurianova, di "una setta che nulla teme'', al punto tale che le strade di quel piccolo centro della piana di Gioia Tauro, senza che nessuno potesse intervenire, erano diventate quotidiano teatro di manifestazioni di protervia ed arroganza. Quale era la tirata, il caratteristico duello tra camorristi che si affrontavano tenendo in una mano un coltello, con l'impugnatura tra le dita, lontano dal palmo (quasi come un rasoio), e nell'altro uno specchio con il quale abbagliare l'avversario e renderne meno efficace la difesa. Uno scontro dove agilita' ed abilita' si mischiavano alla ferocia (non erano scontri all'ultimo sangue, ma miravano soprattutto ad infliggere agli avversari ferite al volto, ad indelebile ed inequivocabile segno della sconfitta) e che spesso regolava, sul campo, contrasti sorti nella ''gestione'' delle attivita' illecite. E' tale il fascino di questa setta che, avvertiva con preoccupato umorismo l'anonimo, prima o poi lo stesso protettore del paese, san Filippo Neri, sarebbe diventato, lui stesso, un picciotto.