Le organizzazioni criminali di tipologia mafiosa sono tali, secondo la categoria scelta dalla legislazione italiana, quando, al di la' del vincolo associativo, riescono ad attuare quello che, schematicamente, viene definito "controllo del territorio". Ovvero, quando la loro presenza su una determinata area geografica di per se' diviene elemento imprescindibile per l'avvio, il controllo e il rafforzamento di attivita' illecite. Trattandosi, per quanto riguarda mafia e 'ndrangheta, di associazioni radicate, ormai da tempo immemorabile, nella cultura di Sicilia e Calabria, il legame con il territorio e' un fatto piu' che scontato. Basti considerare - restando alla 'ndrangheta - come questo controllo non necessariamente viene esercitato su un paese o su una cittadina, ma si giunge ad attuarlo anche in frazioni infinitesimali, come un quartiere o addirittura una parte di esso. Fatte le debite proporzioni ed i necessari distinguo di natura sociologica, le gangs etniche o razziali delle metropoli nordamericane seguono lo stesso tracciato delinquenziale, dividendosi o contendendosi persino le strade, i vicoli quando non addirittura uno stabile. Un controllo che resta tale se viene riconosciuto e che viene difeso a rischio della stessa vita. Non e' un caso se, nella seconda meta' degli anni Ottanta, in coincidenza con l'infuocare della "guerra di mafia", a Reggio Calabria furono installati decine e decine di impianti televisivi a circuito chiuso, a protezione esterna di abitazioni-bunker, ovviamente per timori, non certo infondati, di attentati. Questa premessa e' necessaria per capire o tentare di dare una interpretazione al fenomeno che ha poi consentito alle consorterie mafiose di ''esportarsi'' all'estero, anche a distanze grandissime, senza per questo perdere gran parte delle connotazioni caratterizzanti. Se, infatti, ha potuto mantenere il vincolo associativo su base familiare e, quindi, etnico, ha dovuto rinunciare al controllo del territorio, per la diversa organizzazione sociale e politica di luoghi ad essa sconosciuti, e quindi non dominabili secondo schemi consolidati nel tempo in altri contesti geografici. Cosi' all'estero la 'ndrangheta e' finita per diventare un'organizzazione "deterritorializzata" (senza territorio), ma fortemente inserita nei grandi flussi finanziari, assistita, comunque, sempre dalla violenza che l'ha resa piu' forte rispetto ad altri soggetti. In un certo senso, come sostiene il prof. Vito Teti dell'Universita' della Calabria, riprendendo alcune tesi espresse da Marc Auge' in Nonluoghi (1993), la 'ndrangheta e' passata da luoghi familiari, paesani, perfettamente conosciuti e controllabili, ai "non luoghi" metropolitani della postmodernita' (banche, borse, finanziarie, etc.) che presuppongono diverse elaborazioni culturali e aggregazioni sociali e politiche che gli 'ndranghetisti, comunque, hanno saputo garantirsi. Ma quali sono i meccanismi che hanno consentito alla 'ndrangheta di esportare il suo modello criminale? Spesso, ma non sempre, si e' trattato della coincidenza di piu' fattori, come ad esempio la mancanza di lavoro e quindi la spinta a cercare nell'emigrazione il momento del riscatto economico e sociale. Molti criminali hanno lasciato la Calabria per sfuggire ai rigori della legge e, in molti casi, soprattutto agli inizi del secolo, in questo, sono stati favoriti dalle forze dell'ordine che pensavano di risolvere il problema, allontanandolo (11). In sociologia il fenomeno dell'abbandono della terra d'origine per cercare altrove migliori condizioni economiche viene ancorato ad un concetto che trova sorprendenti, ma non troppo, analogie con il sorgere di gruppi criminali a vocazione mafiosa lontano dalle regioni in cui tale attitudine si e' prima manifestata. Sociologicamente, si parla di ''catena migratoria'' ed in un certo senso, per quanto attiene la 'ndrangheta - fortemente diversificata su questo punto dalla mafia - il meccanismo e' simile, se non addirittura identico. Unica eccezione va forse fatta per il flusso migratorio sviluppatosi da Castellammare del Golfo ai primi del Novecento che fu capace di dare la stura ad una delle piu' sanguinose guerre di mafia in terra d'America caratterizzata da una matrice ''campanilistica''. Cosi' come nella migrazione pura, il primo anello della ''catena mafiosa'' e' sempre un ''maschio giovane'' che lascia la sua terra, magari costretto alla fuga dai poteri dello Stato, e approda in un paese straniero ricco, o potenzialmente tale, dove costituisce un caposaldo dell'organizzazione, cui appartiene, e tenta di ricreare - egli che e' il primo - le condizioni per favorire l'espatrio di elementi che hanno la sua stessa vocazione criminale. Non e' certo una coincidenza se questo meccanismo si ritrova nella nascita e nell'affermarsi di strutture che sul modello della 'ndrangheta allignano in Canada, in Australia, negli Usa, in alcuni paesi d'Europa ed in molte regioni del Nord Italia. Il "maschio giovane" emigra e comincia a ritagliarsi un suo spazio nella terra d'adozione in nome e per conto del boss che lo ha iniziato alla 'ndrangheta. Famiglia dopo famiglia, boss dopo boss, picciotto dopo picciotto, sono nate cosi' le filiali della 'ndrangheta in Italia ed all'estero. Dapprima muovendosi all'interno delle formicolanti sacche delle Little Italy o dei quartieri-dormitorio delle grandi citta' del Nord Italia, poi allargando gli interessi ai vari settori produttivi della societa' ed alla gestione di attivita' illecite, sempre piu' redditizie. All'estero le prime vittime della 'ndrangheta furono i calabresi, costretti a pagare tangenti ed a piegarsi alle prepotenze dei boss. Nessuno aveva il coraggio di denunciare queste estorsioni, ne' tantomeno di parlare di 'ndrangheta o di mafia. Argomenti tabu', spesso usati per discriminare tutti i calabresi, anche quelli che con la 'ndrangheta avevano poco da spartire. Si diffuse cosi' un curioso fenomeno: la negazione dell'evidenza che, col tempo, ha finito per mimetizzare la forza espansiva della mafia calabrese. Usciti dal ghetto, gli 'ndranghetisti si imposero anche nei confronti di altri gruppi italiani e, quindi, anche di altre etnie. E' accaduto in Canada, ma anche in Australia, dove ormai la "calabresita'" e' una caratteristica della 'ndrangheta, ma non piu' un limite. Come tutto cio' si sia potuto realizzare lo spiegano chiaramente i giudici Enzo Macri' ed Antonio Lombardo. Scrivono i due magistrati (12): "Alla forza di intimidazione del vincolo associativo corrisponde, quale necessario risvolto passivo, l'assoggettamento e l'omerta', che costituiscono il risultato ambientale della presenza di una associazione di tipo mafioso. Ai fini della sussistenza del reato associativo, assumono rilevanza unicamente le situazioni di sottomissione e di omerta' passiva (intesa come atteggiamento diffuso di rifiuto a collaborare con gli organismi dello Stato), esterna all' ambito associativo e riscontrabili, cioe', nell' ambito sociale, pur se non possono escludersi fenomeni di questo genere anche all' interno stesso delle organizzazioni per effetto delle ferree regole gerarchiche in esse esistenti e delle spietate sanzioni applicate, di regola, verso i componenti infedeli''. Ed ancora: "L'adozione del metodo mafioso come proprio codice di comportamento comporta un costante ricorso ad atti di violenza e di intimidazione, fra i quali rientrano, in primo luogo, i delitti cosiddetti "di sangue" contro la persona. Sotto questo profilo si puņ affermare, alla luce dell' esperienza giudiziaria e sociologica, che non esistono associazioni di tipo mafioso che abbiano abbandonato la propria connotazione squisitamente criminale per dedicarsi, unicamente, ad affari e speculazioni anche se di carattere illecito. Se cosi' fosse, non si sarebbe piu' in presenza di fenomeni di tipo mafioso, ma a qualcosa di radicalmente diverso, assimilabile in qualche misura alle lobbies politico-economiche tipiche dell'attuale sistema capitalistico".