"La 'ndrangheta e' oppressiva in tutti i suoi aspetti : lo vedi nei paesi, c'e' paura, terrore, non c'e' clima di consenso, come attorno alla camorra; la 'ndrangheta e' primitiva, feroce, brutale (1)". Luciano Violante, ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, conosce molto bene la Calabria. "Ho assistito - ha detto in un convegno svoltosi a Reggio Calabria - alla sua distruzione negli ultimi trent'anni. Tutti hanno responsabilita'. Tutti coloro che hanno governato questa regione. Anche quelli che erano tenuti a far rispettare le leggi e non lo hanno fatto". In Calabria, la 'ndrangheta e' come l'aria: non la si vede, ma si sa che c'e', che esiste, che tende ad espandersi dappertutto (2). La sua forza prorompente e' confermata dai numeri: 155 cosche con un esercito di quasi 6.000 affiliati. E con un'arma in piu' rispetto alla mafia siciliana: essendo tutti parenti e' difficile trovare pentiti. "Per chi nasce in determinati ambienti e viene educato all'omerta' non e' facile gia' fare arrestare o comunque denunciare gli amici (...) rendendoseli pericolosamente nemici", ha scritto nel suo libro autobiografico Antonio Zagari, un ex picciotto di San Ferdinando, piccolo ed inquieto paese di mare nella piana di Gioia Tauro (3). "Provocare l'arresto e le condanne al carcere di congiunti e parenti implica problemi di ordine morale e psicologico spesso assai piu' pesanti dei timori di vendette e ritorsioni comunque, e in ogni caso, sempre probabili per chi canta". Dissociarsi dal nucleo familiare-parentale, infatti, non significa soltanto rinnegare un sistema di vita ed un ambiente nel quale si e' stati allevati, ma anche tradire il padre, il fratello, il cognato, lo zio, i parenti piu' stretti. Solo cosi' e' possibile spiegare l'impermeabilita' della 'ndrangheta in sede investigativa e giudiziaria (4). Un'altra tipica espressione della mafia calabrese e' la sopravvivenza dei conflitti interfamiliari (faide. Simili alla disamistade sarda (famosa quella tra i Succu ed i Corraine) ed a quelle che insanguinano certe zone dell'Albania, della Turchia e di alcune isole greche, le faide sono spesso originate da futili motivi e finiscono per diventare quasi sempre scontri all'ultimo sangue. "Il punto di partenza", secondo Luigi Maria Lombardi Satriani e Mariano Meligrana (5), "e' il concetto popolare di offesa, legato al senso dell'onore e della dignita', e la correlativa affermazione giuridica che l'offesa deve essere vendicata (...) Chi si sottrae al diritto-dovere della vendetta (...) non e' considerato uomo, cioe' viene bandito dall'ideale di umanita' che caratterizza storicamente una comunita' o un'aggregazione sociale". La catena di vendette, ancora oggi, in alcuni centri della Calabria, mantiene in vita un piccolo esercito di fuggiaschi colpevoli in base al codice penale, ma innocenti per il secolare codice d'onore accettato e rispettato dagli uomini della 'ndrangheta. Un altro importante elemento di specificita' e' il ruolo rivestito dalle donne, non piu' oscure e dimesse compagne di capibastone e picciotti, ma, come succedeva sul finire dell'Ottocento nel circondario di Palmi, "spalle" dei loro uomini, pienamente coinvolte negli affari della famiglia. Esse, come hanno accertato le piu' recenti indagini sulle principali cosche calabresi, "vigilano sull'andamento delle estorsioni, riscuotono le tangenti, sono intestatarie di beni appartenenti al sodalizio, curano i rapporti con i latitanti e con l'esterno del carcere - funzione delicatissima, in quanto permette ai capimafia di realizzare con tempestivita' gli interventi necessari a mantenere il controllo della situazione - e forniscono il supporto logistico nelle azioni criminali compiute dai maschi dei clan (6)". Ogni "famiglia" cosi' concepita, come una neoplasia in crescita, tende a conseguire margini di controllo sempre piu' vasti su tutte le componenti della societa', attraverso l'acquisizione, la gestione, la conservazione del potere illecito. Scrive la Dia: "La densita' criminale della Calabria, ove si operi un raffronto tra affiliati ai clan e popolazione, e' del 27%. Nelle altre regioni, il rapporto e', rispettivamente, del 12% in Campania, del 10% in Sicilia e del 2% in Puglia (7)". Un "esercito" numeroso, attorno al quale, ruotano, da sempre, migliaia di "colletti bianchi", molti dei quali insospettabili e, percio', ancora piu' pericolosi. Quello che, invece, le 'ndrine non sono riuscite ancora a creare e' un efficace meccanismo di controllo e di regolazione dei conflitti interni. Manca una "commissione" capace di mediare gli endemici contrasti che puntualmente scoppiano tra le varie cosche, anche se, stando a recenti inchieste, in seno alla 'ndrangheta, si sarebbe determinato, piu' che istituito, un organismo di cui farebbero parte rappresentanti delle famiglie piu' importanti, che si occuperebbe dell'attribuzione di questo o di quell'affare. Qualcosa, insomma, sta cambiando, anche se lontani sembrano essere gli equilibri di limitazione della conflittualita' vigenti nella mafia siciliana. Nell'ultimo scontro - quello apertosi nel 1985 con la secessione degli Imerti-Condello dall'alleanza di cosche guidata da Paolo De Stefano - si sono contati 621 morti. Una "mattanza", che ha perfezionato tecniche di eliminazione con l'utilizzo di sofisticati strumenti di aggressione, tali da non dare a nessuno la certezza d'essere al sicuro: esplosivo comandato a distanza con congegni elettronici di tecnologia e concezione "libanese", proiettili particolari (ad enorme efficacia espansiva e forza di penetrazione, capaci di frammentarsi, una volta raggiunto il bersaglio, con effetti devastanti), bazooka, fucili di precisione che consentono centri anche a lunghissima distanza (come nel caso dell'uccisione del figlio di Domenico Libri, Pasquale Rocco, di 26 anni, assassinato, nel luglio del 1988, durante l'ora d'aria, nel cortile delle carceri di Reggio Calabria da un killer che lo attese per ore, bevendo caffe' da un thermos e fumando sigarette, sino a quando la sua sagoma non si staglio' sul mirino telescopico). Scenari di guerra, insomma, che nel 1991 hanno fatto registrare nella sola Reggio Calabria 142 omicidi. Il sangue ha chiamato sangue e la vendetta ha stretto molte famiglie come un nodo scorsoio. Molti dei picciotti falciati dalla guerra di mafia presentavano delle anomalie al muscolo cardiaco, provocate dalla tremenda tensione, accumulatasi, giorno dopo giorno, nella logorante lotta contro i nemici, che era poi lotta per la vita (8). Molti altri, invece, erano stati costretti a lasciare le loro case, sfiancati dall'attesa di poter finire nella lunga lista dei morti ammazzati. Un esilio volontario che non e' certo assimilabile alla latitanza, cui si sono dovuti adattare i "capi", come Antonino Imerti, che non potevano assolutamente permettersi di allentare il controllo diretto su territorio ed affiliati senza perdere il proprio prestigio. Una guerra di logoramento, che se ha segnato la vittoria di una 'ndrina su quella rivale, ha pero' indebolito un "esercito" che ha sempre avuto nel numero e nella pressocche' impermeabilita' alle infiltrazioni la sua reale forza. "Sembrerà forse strano - hanno scritto i giudici Enzo Macrì ed Antonio Lombardo (9) - che all'interno di uno Stato sovrano come quello italiano, possano scoppiare "guerre" tra potenze, ma, con qualche ritocco terminologico, è questa la più appropriata definizione che è possibile dare allo scontro tra potentati mafiosi che si è verificato nella città di Reggio Calabria e nei dintorni di essa (da Villa San Giovanni a Pellaro) tra il 1985 ed il 1987, provocando un vero e proprio sconvolgimento delle regole del vivere civile, un gran numero di morti, feriti, invalidi, uno strascico forse definitivo di odi, di rancori, di vendette dirette ed incrociate, lineari e trasversali, come avviene di solito in casi del genere". L'analisi dei due magistrati e' lucida: "Il monopolio della violenza, che dovrebbe essere riservato allo Stato, viene in questo modo frantumato e centri di potere occulti o clandestini decidono, senza formalità o dichiarazioni preliminari, di dare corso a vere e proprie operazioni militari dirette all'affermazione della propria supremazia ed all'annientamento dell'avversario". E' uno Stato nello Stato, la 'ndrangheta per Macri' e Lombardo: "Un ordinamento giuridico alternativo e concorrente a quello statuale, che comprende il potere di determinare ed imporre regole di comportamento, di assumere decisioni immediatamente operative, di applicare sanzioni con giudizi inappellabili. Se poi si aggiunge a tutto questo il potere di dichiarare e condurre guerre, che si svolgono su ampi territori e di durata pluriennale, allora si avrà un quadro completo della gravità del fenomeno mafioso e della sostanziale impunità raggiunta da tali organizzazioni" . Eppure, meno di dieci anni fa, la 'ndrangheta, forse perche' ancora contraddistinta da codici d'onore e da strutture familistiche e rurali, veniva vista, con colpevole disattenzione, come una sorta di mafia stracciona. Ci sono voluti molti anni per capire che la mafia calabrese nella sua diversificazione geografico-culturale, era ben piu' che un'accozzaglia di malfattori di paese, stretta attorno ad un patriarca rurale. Anche se puo' suonare offensivo per quegli avamposti dello Stato che, bene o male, contro la 'ndrangheta non hanno mai abbassato la guardia, la Calabria, per molto tempo, e' stata giustamente paragonata al Libano o alla Colombia, nel senso di un "santuario" dove non contavano piu' ne' lo Stato ne' le leggi. Oggi, la 'ndrangheta, che ha solidi insediamenti fuori dalla Calabria, si e' inserita, a pieno titolo, nel giro mondiale delle sostanze stupefacenti, punto nodale del mercato del crimine. Qualche anno fa, la commissione d'inchiesta sulla droga e sul crimine organizzato del Parlamento europeo, l'ha definita "l'organizzazione piu' segreta e sanguinaria", mettendo in evidenza l'estensione progressiva delle sue attivita' illecite fuori dai confini regionali. Hanno scritto i commissari nella loro relazione (10) : "In associazione con la malavita turca e con i cartelli colombiani, la 'ndrangheta controlla gran parte del traffico di eroina dal Medio Oriente verso gli Usa, operando sempre piu' dal suo comando strategico di Milano". Enormi sono i suoi interessi che spaziano dagli investimenti immobiliari al riciclaggio di denaro sporco, dall'acquisto e vendita di armi e diamanti allo smaltimento di rifiuti radioattivi o tossici, dalle grandi triangolazioni commerciali al traffico di droga, al controllo di attivita' lecite avviate con i proventi di attivita' illecite. Filiali della 'ndrangheta vengono segnalate in Francia, Germania, Olanda, Stati Uniti, Belgio, Spagna, Argentina, ma soprattutto in Canada ed in Australia. Al di là, comunque, del respiro internazionali dei suoi "affari" , il cuore (e talvolta anche il cervello) di questa organizzazione resta in Calabria, ancora inesauribile serbatoio di uomini disposti a tutto.