"La 'ndrangheta anche se non c'e', e' come se ci fosse, come se ci potesse essere", ripeteva spesso don Antonio Macri', uno dei boss piu' potenti della vecchia guardia, ucciso in un agguato a Siderno il 20 gennaio del 1975. Ai suoi tempi, quattro-cinque mammasantissima controllavano tutti gli affari illeciti della provincia di Reggio Calabria. E, ogni anno, assieme a picciotti e carabinieri, a preti e boscaioli, si davano tregua a Polsi nei giorni della festa. Erano i tempi delle sagre, dei cappucci calzati sul volto e dei capibastone, "elementi", come dice Indro Montanelli, "piu' d'ordine, sia pure di un ordine arcaico e tribale, che di disordine". Antonio Macri', nella Calabria sfregiata dall'abbandono, era un boss tutto d'un pezzo. Uomo di poche parole, ebbe la capacita' di intuire l'importanza della contiguita' con il potere politico e la necessita' di stringere un patto d'acciaio con i "fratelli americani". Aveva un'idea crudele della giustizia. Ma non era spocchioso, anche se la tranquillita' e l'ordine nella Locride dipendevano piu' da lui che dai carabinieri o dagli agenti di Pubblica sicurezza. Si dice che una volta addirittura ricevette la visita del vescovo di Gerace-Locri, mons. Pacifico Maria Perantoni, preoccupato per la sua vita, dopo aver scoperto degli ammanchi commessi da alcuni sacerdoti nella gestione dei fondi della Pontificia Opera di Assistenza. Era stato assoldato un sicario per uccidere il presule, ma l'intervento di Antonio Macri' valse a sventare il disegno criminoso (13). Nel 1930 a bussare alla sua porta era andato, invece, il mitico "massaru Peppi", il brigadiere Giuseppe Delfino, lo "sbirro" piu' famoso d'Aspromonte. "Durante la festa della Madonna di Polsi, vorrei che non ci fossero spargimenti di sangue. Dev'essere un giorno di festa", gli propose il sottufficiale. E cosi' fu (14). Piu' che uno 'ndranghetista sembrava un florido mercante di paese, nel suo gessato scuro e con il cappello a falde larghe. Era, invero, "un personaggio di rilievo, di tutto rispetto", come lo definivano i giudici di Locri in una sentenza del 29 dicembre del 1950 a carico di alcuni suoi associati (15). Un boss che si muoveva alla testa di una organizzazione potentissima che, gia' negli anni Cinquanta, era riuscita a ramificarsi in Canada, negli Stati Uniti ed in Australia, costituendosi in altrettanti sottogruppi, o "camere di controllo" (con funzioni di tribunale della mafia e di coordinamento delle attivita' criminali). "Cio' avvenne", informa un rapporto della Dia, "per una precisa volonta' dei boss calabresi di Cosa Nostra, Frank Costello ed Albert Anastasia, che intendevano prevenire possibili contrasti tra l'organizzazione siculo-americana e quella calabrese". Macri' affido' a Michele Racco, un panettiere originario di Siderno, l'incarico di tirare a Toronto, in Canada, le fila della sua organizzazione. Negli Stati Uniti si appoggio' su alcune famiglie di Siderno che vivevano nello Stato di New York ed in quello del New Jersey. E la stessa cosa fece in Australia. Era un uomo di poche parole. E quando concedeva qualche confidenza, confermava il suo gusto per la riservatezza: "Sono umile e non ho manie di grandezza", diceva. Ma erano tempi, quelli del "patriarca" di Siderno, destinati a cambiare. I nuovi boss, quelli con le scarpe lucide, che all'intermediazione parassitaria avrebbero preferito il lucroso business della droga, negli anni Settanta cominciarono ad abbattere a colpi di mitra i vertici della vecchia 'ndrangheta. Il 4 febbraio del 1975, sotto il fuoco incrociato di due fucili automatici calibro 12, caricati a pallettoni, e di una pistola calibro 7,65 cadevano Giuseppe Zito, 45 anni, detto il "papa", indicato come il capobastone di Fiumara di Muro, ed il suo braccio destro, Giuseppe Imerti, 60 anni. Il 21 febbraio di quello stesso anno veniva catturato in un casolare di campagna in contrada Carinola di Caserta, Mico Tripodo, il padrino della mafia di Reggio Calabria, compare d'anello di Toto' Riina, al tempo braccio destro di Luciano Liggio: verra' poi ucciso nel carcere di Poggioreale con 20 coltellate. Ed il 19 aprile veniva ferito il boss di S. Martino, Giuseppe Zappia, 63 anni, raggiunto ad una spalla da una rosa di pallettoni: sarebbe poi caduto in un agguato insieme al figlio di 54 anni, suo omonimo, il 5 agosto del 1993, quando ormai tutto lasciava presagire che sarebbe morto nel suo letto, come Luigi Vrenna, il piu' potente capomafia del Marchesato. Alla mattanza non riusci' a sottrarsi neanche Joe Martino, il potente boss di Taurianova che nel nome vantava trascorsi americani. Stessa sorte era toccata il 20 gennaio 1975 ad Antonio Macri', il boss di Siderno, ucciso nel suo regno da due sicari in una imboscata nella quale rimase ferito il suo braccio destro, Ciccio Commisso. Aveva 71 anni e da quasi mezzo secolo il suo nome veniva pronunciato ovunque con rispetto. "Era un mafioso che prendeva, ma che sapeva anche dare", commento' Luigi Malafarina in uno dei suoi libri sulla mafia calabrese, ricordando il boss di Siderno. Un'esecuzione, forse decisa oltreoceano, ma comunque destinata, come molte altre, in quei mesi, a cancellare regole ed a violare giuramenti, ma soprattutto a spazzare uomini che avevano pazientemente costruito in Calabria "uno Stato dentro lo Stato".