I TRE MOSCHETTIERI


Eccoli i tre moschettieri...Richard Wright, Nick Mason, e David Gilmour . Dopo averci fatto penare per sette anni (l’ultimo album in studio, A Momentary Lapse Of Reason, uscì nel settembre ‘87), il 30 marzo è stato finalmente pubblicato il nuovo lavoro dei Pink Floyd, The Division Bell, un titolo piuttosto particolare e che in Inghilterra sta ad indicare il campanello che annuncia una votazione politica per divisione. Inizialmente, l’album si sarebbe dovuto chiamare, secondo il più classico stile pinkfloydiano, Awakeness Of The Sense Of Reality e sarebbe dovuto uscire il 22 marzo, poi, all’ultimo momento, è stato deciso di cambiare il titolo e di posticipare la pubblicazione al 28 marzo, quindi, l’ultimo colpo di scena: la EMI decideva di fare uscire l’album in contemporanea mondiale il 30 marzo, in coincidenza con l’inizio della tournée mondiale del gruppo che, lo stesso giorno, prendeva il via da Miami, in Florida. Nato all’inizio del ‘93 quando, in due sole settimane, Gilmour, Mason e Wright abbozzarono una cinquantina di canzoni, The Division Bell è stato, in seguito, rifinito e registrato nello studio galleggiante di Gilmour, sul Tamigi e prodotto dallo stesso chitarrista e da Bob Ezrin, lo stesso che, in passato, curò la produzione di The Wall e di A Momentary Lapse Of Reason.

Quello che emerge immediatamente, sbirciando i crediti delle 11 canzoni che compongono l’album, è che esso si rivela un vero e proprio sforzo collettivo, come non accadeva più da 20 anni. “Abbiamo suonato tutti e tre insieme”, ha dichiarato Wright ed infatti ben quattro canzoni (“Cluster One”, “What Do You Want From Me”, “Marooned”, e “Keep Talking”) sono state composte, dal punto di vista musicale, dal binomio Gilmour/Wright, mentre “Wearing The Inside Out” è stata creata dal solo tastierista. E’ soprattutto la ritrovata vena compositiva di Wright l’aspetto predominante di questo album, basti citare che era dall’epoca di The Dark Side Of The Moon (con la magnifica “The Great Gig In The Sky”), che il suo nome non compariva più nei crediti di una canzone. Inoltre, la canzone sopracitata, che tra l’altro vede la presenza del sassofonista Dick Parry (che già collaborò con i Pink Floyd in The Dark Side Of The Moon), è cantata direttamente da Wright che da semplice salariato è tornato, a pieno titolo, ad essere un vero e proprio componente del gruppo.

Tornando all’album, la parte del leone (e non poteva essere diversamente) la svolge David Gilmour; infatti, ben dieci delle undici canzoni dell’album vedono il suo contributo in fase compositiva. Musicalmente, oltre alle quattro canzoni composte insieme a Wright, ben cinque (“Poles Apart”, “A Great Day For Freedom”, “Coming Back To Life”, “Lost For Words” e “High Hopes”) sono opera sua mentre in “Take It Back” è coautore insieme a Bob Ezrin. Anche dal punto di vista lirico, l’importanza di Gilmour è basilare: ben otto dei nove brani cantati dell’album vedono la sua presenza compositiva, anche se uno solo (“Coming Back To Life”), presenta un testo realizzato interamente dal chitarrista. Negli altri brani egli è coautore con Polly Samson (in “What Do You Want From Me”, “A Great Day For Freedom”, “Keep Talking”, “Lost For Words” e “High Hopes”) e con l’ex leader dei Dream Academy Nick Laird-Clowes (che collabora con i due in “Poles Apart” e in “Take It Back”).

Un album, quindi, nato sotto l’egida di David Gilmour (strepitoso in vari assoli chitarristici) e di Richard Wright (il cui contributo riporta chiaramente il suono dei Pink all’epoca di Wish You Were Here e, in particolare, merita una citazione il suo assolo nella parte finale di “Keep Talking”), ma non va dimenticato il notevole apporto delle coriste (Sam Brown, che già si era esibita con i Pink Floyd a Knebworth, nel ‘90, e che già aveva lavorato con Gilmour, all’epoca del suo album solista About Face, Durga McBroom, che era stata in tour con i Pink nell’88-89, Carol Kenyon, Jackie Sheridan e Rebecca Leigh-White), le quali, in taluni casi, fanno da eccellente contraltare al canto di Gilmour.

In definitiva, questo The Division Bell si rivela un album eccellente che mantiene inalterate tutte le migliori caratteristiche dei Pink Floyd (dai grandi virtuosismi chitarristici di Gilmour, alle sognanti atmosfere create dalle tastiere di Wright), dimostrando che i tre membri residui possono mantenere alto il nome del gruppo, pur non raggiungendo (e neanche avvicinando) i vertici creativi degli anni ‘70.