GIUSTIZIA PER NICK


Nelle lunghe e appassionate conversazioni sui Pink Floyd che ho avuto modo di intrattenere nel corso degli anni con amici musicisti, mi è sempre capitato, dopo aver largamente assentito sulle virtù chitarristiche di Gilmour o sulla delicatezza di Wright o sulla pazzia creativa di Waters, di dovere sempre difendere a spada tratta lo stile di Mason, quasi stessi difendendo le virtù di un amico caro dagli attacchi dei nemici. Ammetto di avere un debole per lui: il fatto che sia l’unico elemento ”muto” del gruppo (se escludiamo la particolare performance canora in “One Of These Days”), quindi costretto ad esprimersi soltanto attraverso lo strumento, fa si che gli dedichi le mie personali simpatie. Le ragioni per difendere e valutare correttamente il suo stile ed il suo discorso musicale vanno ben al di là delle mie personalissime simpatie e ricercate sia nella tecnica batteristica pura, sia nel contesto in cui è inserita. Mason è in ogni caso l’elemento più vituperato dei quattro Floyd e ritengo sia giusto spendere qualche parola per questo batterista che, molto spesso, esula da un discorso di ritmica per inserirsi nella composizione musicale al pari degli altri tre più “melodici” compari.
...e al principio era il silenzio. Provate ad immaginare la musica senza il silenzio, senza la neppur minima pausa, ci riuscite? No?! Bravi, allora potete capire perché Mason, certe volte, si dimentica di picchiare sui tamburi e cade in una dimensione estatica che sembra voglia lasciare all’ascoltatore la facoltà di “immaginare” il ritmo, senza che esso sia effettivamente suonato. Non si può non notare che il buon Nick, certe volte, potrebbe “fare di più”, mettere un colpo lì’, un colpo là, una rullata in più...quando non “esagera” e sta muto per 8 o 16 battute, sconcertando l’ascoltare per la sua apparente “pigrizia”. Nella mia modestissima esperienza come musicista ho notato quanto sia difficile per un batterista stare fermo, lasciare spazio al silenzio, magari evitare di fare sfoggio di un tecnicismo in più per creare una certa atmosfera... Bè, Mason ci riesce, riesce anche a fare suonare la nostra immaginazione e se qualcuno, sarcasticamente, mi accusa di difenderlo solo perché riesce a stare zitto, allora gli consiglio di ascoltarsi bene “Live In Pompeii” per vedere cosa riescono a fare due bacchette su quattro tamburi!
Entrando più nel dettaglio sullo stile musicale di Mason potrei darvi il consiglio di un amico che ha un approccio molto “particolare” con i Floyd. Lui suggerisce di procurarsi una bottiglia di whisky (mi raccomando solo Jack Daniel’s), scolarsela e, in cuffia, in piena notte, ascoltarsi Animals a stecca nelle orecchie...perché Mason è Animals! No, non sono un rappresentante della Jack daniel’s, sono solo convinto che in quest’album a Mason sia lasciato lo spazio per articolare le sue particolari, larghissime, tessiture ritmiche e che solo uno stato di “insensibile piacevolezza”, consenta di cogliere senza la fretta del pensiero razionale tutta l’ariosità di quest’opera. Ariosità conferita proprio dai respiri di 16 o 32 battute, dove la ritmica sembra perdersi nei meandri dei giri di basso di Waters, tenendo un suo discorso parallelo, ed invece poi si riconduce alla linea iniziale risolvendo la tensione. E’ senza fretta che si può osservare come l’introduzione ritmica di “Pigs”, composta da quattro battute di cassa-rullante, cassa-cassa, cassa-rullante-cassa, rullante-cassa, sia presente già dalla fine di “Dogs”, sull’assolo di Gilmour; ed è proprio questo tema ritmico molto “rotolante” che fa scorrere tutto il lato A, straordinariamente, senza variazioni, come a volere assorbire lentamente il fluire ritmico del battito cardiaco di chi ascolta. e in questa insinuante ritmicità “biologica” Mason è un artista, ed è questo il senso della sua essenzialità: dare l’idea dell’orologio, del cuore, elaborando lo stesso giro fino ad esaurire tutte le possibili varianti senza mai perdere il senso di rotondità della battuta. Ed è qui che emerge il suo “essere musicista” più che mero esecutore di tempi alla batteria, il suo riferimento costante alla vera anima della psichedelia, ai ritmi ipnotici africani, alla costante intermittenza della lunghezza d’onda del canto dell’OM indiano...Qui ci si trova di fronte a ricerca pura!
Per quanto riguarda la tecnica esecutiva, Mason è molto accademico e ben raramente si concede il lusso di uscire fuori dai temi collaudati del rock’n’ roll. Una di queste eccezioni è la celeberrima “Money”, dove l’introduzione in 7/4 viene interpretata come un 21/8, cioè, per dare l’idea di “rotolamento” del tempo, Mason usa il tempo composto del 7, il 21, con un piccolo anticipo sul rullante che rende multiplo il tempo per ricadere, dopo un po' di battute, in un tipico 6/8 da rock’n’roll. Particolari caratteristiche del suo stile sono, inoltre, il grande uso di piatti e, in particolare, del “pang” che, soprattutto nei primi lavori del gruppo conferiscono ai pezzi quell’atmosfera molto rarefatta di “attesa del tempo”.Sempre riguardo ai piatti è da notare l’uso frequente del “crash” al posto del “ride” per segnare i quarti di battuta, che manifesta l’intenzione di segnare il più possibile la scansione del ritmo. Esempi vari al riguardo si possono trovare in “Embryo”, dove particolari jazzismi vengono malcelati dal giro di blues predominante o in “Atom Heart Mother”, dove la tipica maniera di suonare la batteria beat viene interpretata nel contesto del discorso pinkfloydiano.
Insomma, credo che ce ne sia abbastanza per riconsiderare tutto il lavoro compiuto dal nostro Mason nell’arco di venticinque anni di carriera, dove particolari scelte di discorso musicale hanno fatto si che la qualità della musica fosse più importante della quantità. Provate a farlo capire a chi parla di Mason come “quello del 4/4 lento”!