|
DAVE:IO E I PINK FLOYD
|
L’ultimo album in studio risale al 1987, l’ultima tournée al 1989 e l’ultima apparizione dal
vivo al 30 giugno 1990, in occasione del Festival di Knebworth. Da allora non si è più sentito
parlare dei Pink Floyd. Molta gente si chiede se siano ancora vivi o se la raccolta Delicate
Sound Of Thunder abbia costituito l’epilogo della loro carriera. Proprio per soddisfare la
curiosità degli innumerevoli fans riportiamo la seguente intervista a DAVID GILMOUR, che ci
illustra chiaramente lo stato attuale della band.
- L’ultimo album della band, A Momentary Lapse Of Reason, non sembrava un tentativo di cambiare
radicalmente lo stile della band. Hai avuto pressioni per creare qualcosa di nuovo? Avevi
qualcosa da provare?
“Ovviamente avevo qualcosa da provare dal momento che Roger non era più parte del progetto ed
ovviamente io avevo l’impressione che le persone potessero aver frainteso la nostra situazione
con lui. Per me fu molto importante provare che c’era ancora qualcosa di serio. Fu la “vita
dopo Rog”. Non ci fu un qualche particolare cambio di direzione”.
- In “Sorrow”, dove ogni cosa scorre verso un mare oleoso, si può fare un paragone con un motivo
di Pete Townshed. In “Sorrow” il mare è buio e agitato, mentre nella canzone di Townshed è un
mare che riempie di gioia.
“La canzone di Pete è “The Sea Refuses The River”. Sorrow era un poema che avevo scritto come
un componimento poetico prima di scrivere la musica, che è una cosa rara per me. Il fiume è un
motivo molto, molto comune; i fiumi sono un modo attraente, molto simbolico, di esprimere tutte
le speci di cose”.
- Parlaci della tua abitazione galleggiante sul Tamigi.
“Mi capitò di trovare questa bellissima barca che fu costruita come casa galleggiante e fu molto
conveniente, così la comprai. E solo in seguito pensai che potevo utilizzarla per registrare.
La camera di manovra è 6 metri per 9. E’ un ambiente di lavoro molto confortevole: 3 stanze da
letto, cucina, bagno, un grande salotto. E’ lunga 27 metri”.
- Registrerai qua il prossimo disco dei Pink Floyd?
“Una gran parte di ciò. Vi facemmo molto del primissimo lavoro sull’ultimo album. E mi
piacerebbe lavorare con persone che suonano insieme in una stanza la prossima volta, così se io
ho bisogno di aggiungere le parti vocali io posso farlo, così come tutte le parti secondarie”.
- Che tipo di chitarrista ti consideri?
“Io ho un acuto senso della melodia; non voglio essere sperimentale al punto di fare cose che
non mi piacciono. Faccio un sacco di quelle cose in studio quando sto pasticciando; tu non le
ascolti perché ciò succede quando sto cercando. Dal momento che escono come prodotto finito io
le ho sistemate nel materiale che mi piace. “A New Machine” ha un sound che non avevo mai
sentito fare da qualcuno. Il rumore delle porte, i sintetizzatori, rivelavano qualcosa di nuovo
che mi sembrava come un magnifico effetto sonoro che nessuno aveva fatto prima; è una specie di
innovazione. Ma esplorare dal vivo in fronte al pubblico, come facevano negli anni ‘60 e nei
primissimi anni ‘70, ti porta a afre così tanti errori che ti permettono di migliorare le cose.
Molto di ciò fu terrificante... e non mi sento proprio di avere fatto tutto ciò”.
- Provenendo da gruppi che facevano cover di brani R&b, fosti sconcertato dall’ostinata
improvvisazione di quegli show o ti piacque la sfida?
“Io avevo un grande interesse verso l’improvvisazione, ma non pensavo che molto di ciò che
facevano i Pink Floyd era buono. Mi ci volle un po' per capire ciò che stavano tentando di
ottenere e mi ci volle un po’ per cambiare in qualcosa che mi piaceva. Fu un doppio processo
di lavorazione dopo che mi unii al gruppo; io che tentai di cambiarlo e lui che tentò e riuscì
a cambiare me”.
- Com’era la situazione della band?
“La band sentì che noi raggiungemmo qualcosa con la title-track di A Saucerful Of Secrets. Non
posso dire che io capii perfettamente ciò che stavamo realizzando, con Roger che sedeva e
disegnava piccoli grafici su pezzi di carta. Ma nel periodo successivo io tentai di aggiungere
ciò che sapevo a livello di armonia musicale. Ed il modo in cui loro lavoravano certamente mi
educò. Ci trasmettemmo l’un l’altro tutti i nostri desideri individuali, i nostri talenti, le
nostre conoscenze”.
- Tu considerasti alcuni dei testi di Roger molto duri?
“No, molto pochi. Ogni tanto trovai qualcosa difficile da cantare. La prima versione che Roger
scrisse di “Dogs”, che venne chiamata “You Gotta Be Crazy”, conteneva troppe parole da cantare.
Ma la maggior parte delle idee erano idee che io sentivo buone e racchiudevano alcuni dei
pensieri che io avevo. Ho desiderato spesso di essere capace di esprimere le mie idee così bene
come lui ha fatto”.
- La potenza della tua collaborazione creativa potrebbe condurre un estraneo a pensare che forse
il suo non volere continuare con i Pink floyd fu semplicemente causato dal fatto che non voleva
vedere il gruppo esistere senza la collaborazione Gilmour/Waters e non perché egli pensava che
il gruppo non sarebbe andato avanti senza di lui.
“Lui non voleva continuare con la collaborazione Gilmour/Waters; lui voleva continuare con la
Roger Waters unica forza creativa. Non voleva che io facessi parte di ciò. E la ragione per cui
lui non voleva che noi continuassimo era perché voleva uscire come “Roger Waters dei Pink Floyd
” in lettere piuttosto grandi”.
- Guardando ai suoi dischi solisti egli non sembra egocentrico, non fa proseliti e non propone
sue foto sulle copertine.
“Egli è un egomaniaco, vuole manifestare qualsiasi cosa in modo particolare”.
- In occasione della causa legale che vi intentò, egli addolcì la sua posizione e vi permise di
poter continuare con il vostro progetto.
“Penso che i suoi legali lo avvisarono che non avrebbe avuto possibilità ed alla fine noi lo
pagammo, comunque. Mi chiedo, su quali basi potrebbe qualcuno lasciare qualcosa che aveva avuto
successo e in cui aveva operato per un sacco d’anni e quindi dire alle altre persone che non
potevano continuare? Non è il modo in cui il mondo procede, fortunatamente”.
- Qualcuno direbbe che la magia della band era determinata dalla collaborazione reciproca.
“Ciò suggerirebbe che se avessimo continuato sarebbe stata un buona cosa. Nessuno sta veramente
discutendo questo punto. Il fatto è che io non ne avevo avuto abbastanza di ciò, era la mia
carriera. Nick non ne aveva avuto abbastanza. Perché dovremmo essere forzati a non continuare?
Non conta se sia una cosa positiva o negativa. Per me”.
- Si sarebbe potuta creare l’eventualità che tu lasciassi i Pink Floyd per intraprendere una
carriera solista.
“Sì, è vero. Lo avrei potuto fare. Ma perché? Per quale motivo? E’ un lavoro molto, molto
difficile battersi per una carriera solista per rimanere al livello dei Pink Floyd”.
- Ma andare in giro nell’ultimo tour combattendo le accuse di Roger e preoccupandosi delle
eventuali conseguenze, non è stato come andare in giro da soli?
“Io non lo volevo. A me piacciono molto i Pink Floyd. Io non voglio difendere oltremodo ciò
che mi piaceva fare , ma è ciò che faccio e sento che dovrei continuare a farlo. E metterlo
in testa alle persone che si allontanarono. Ci vorrebbe un libro per raccontare ciò che successe
nella nostra band, e più tardi, gli anni megalomani di Roger e precisare ciò che egli stava
tentando di farci. Perché lui è un megalomane. Lo è veramente. La sua sete di potenza è più
importante di qualsiasi altra cosa, più importante dell’onestà, questo è certo”.