hide random home http://www.videosoft.it/nonsoloufo/pur06.htm (Internet on a CD, 07/1998)

La Commedia
di Dante Alighieri

alla luce della Filosofia Cosmica
in chiave parapsicologica

PURGATORIO ­ Canto VI

nel libero commento di Giovanna Viva

[linea separazione]

Antipurgatorio: secondo balzo ­ altri negligenti "per forza morti" ­ dubbio di Dante circa l'efficacia dei suffragi dei vivi ­ Sordello ­ apostrofe di Dante all'Italia e a Firenze



       Quando si parte il gioco de la zara,
     colui che perde si riman dolente,
   3 repetendo le volte, e tristo impara;

Quando si conclude la partita della zara, colui che perde resta a ripetere le gettate dei dadi per essere più addestrato le prossime volte, e tristemente impara;

Dante viene attorniato dalle anime morte violentemente, le quali cercano di parlargli e si paragona, perciò al vincitore del gioco della zara.
Un tempo, il gioco dei dadi era chiamato così per il fatto che la partita veniva annullata quando sulla faccia principale dei dadi appariva un numero convenzionale che corrispondeva allo zero e veniva definito "zara" dall'arabo "zehâr".


       con l'altro se ne va tutta la gente;
     qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
   6 e qual dallato li si reca a mente;

il vincitore se ne va seguito ed attorniato da tutta la gente, ognuno cerca di ottenere in regalo una parte della vincita;

       el non s'arresta, e questo e quello intende;
     a cui porge la man, più non fa pressa;
   9 e così da la calca si difende.

ma egli non si ferma, ascolta or questo, or quello, porge la mano, e fra una promessa e l'altra, si difende dalla calca.

       Tal era io in quella turba spessa,
     volgendo a loro, e qua e là, la faccia,
  12 e promettendo mi sciogliea da essa.

Così in quella turba spessa ero io, volgevo la faccia un po' qua e un po' là e promettendo mi allontanavo da essa.

       Quiv'era l'Aretin che da le braccia
     fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
  15 e l'altro ch'annegò correndo in caccia.

Qui vi era l'Aretino, che ebbe la morte dalle feroci braccia di Ghino di Tacco, e vi era anche l'altro che si annegò correndo in caccia.

Ghino di Tacco era conosciuto per la sua ferocia nelle ruberie, nelle aggressioni e per le feroci burle di cui parla anche il Boccaccio.
Nei riguardi di Benincasa, chiamato "l'Aretino", perché nato presso Arezzo, Ghino di Tacco era stato di una tale ferocia che fece allibire tutti e andare sulle furie papa Bonifacio VIII.
Benincasa, famoso giurista, era stato nominato podestà di Bologna e aveva decretato varie condanne a morte.
Dal suo castello dominante tutta la Maremma, Ghino aveva meditato contro l'Aretino un feroce delitto; avendo saputo che costui era stato convocato come giudice a Roma, si recò in tribunale in veste di spettatore. Ad un certo momento, Ghino gli saltò addosso soffocandolo con le braccia e senza che nessuno intervenisse a fermarlo, lo decapitò e portò la sua testa come trofeo al castello di Radicofani.
Nell'altro "ch'annegò correndo in caccia", molti commentatori riconoscono Guccio dei Tarlati, signore di Pietramala, il quale, durante una partita di caccia, fu inseguito e costretto dagli inseguitori a gettarsi in Arno.


       Quivi pregava con le mani sporte
     Federigo Novello, e quel da Pisa
  18 che fé parer lo buon Marzucco forte.

In questo posto, con le mani tese in avanti, pregava anche Federico Novello, e quello di Pisa che fece apparire forte il buon Marzucco.

Federico Novello era figlio di Guido Novello, che aveva governato Firenze per sette anni, durante il predominio dei Ghibellini e fu ucciso dai propri parenti.
Quello di Pisa, secondo vari commentatori, è Gano degli Scornigiani, il cui padre, Marzucco, era stato prima uomo politico e poi frate francescano. Marzucco, nell'occasione dell'assassinio del figlio Gano, rivelò la sua tempra morale; non pensò di vendicarsi, ma riuniti tutti i consorti, tenne loro un discorso ispirato alle parole di Gesù, sul perdono per i propri nemici, definito "il grande precetto di Cristo", affermando che ognuno doveva vivere in pace, senza mai vendicarsi, per porre fine, così ai delitti del mondo.
Tutte queste anime avevano subito penose morti attraverso il delitto ed erano, pertanto, giunte alle porte del Purgatorio.


       Vidi conte Orso e l'anima divisa
     dal corpo suo per astio e per inveggia,
  21 com'e' dicea, non per colpa commisa;

Vidi il conte Orso e l'anima divisa dal suo corpo, come egli stesso affermava, "per astio e per invidia", non per colpa commessa;

       Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
     mentr'è di qua, la donna di Brabante,
  24 sì che però non sia di peggior greggia.

era l'anima di Pierre de la Brosse; e provveda costei a riparare alla sua colpa fino a che è in quella vita, in modo che non vada incontro a "peggior greggia" sofferenze peggiori in vite successive.

Pierre de la Brosse fu chirurgo di Luigi IX e poi di Filippo III, "l'Ardito".
Tale chirurgo fu nominato Gran Ciambellano da Filippo l'Ardito, ma quando nel 1275, Luigi, primogenito del re, morì, egli accusò la regina Maria di Brabante, seconda moglie di Filippo, di avere assassinato il figliastro Luigi, per assicurare la successione al trono al proprio figlio Filippo. Due anni dopo, durante la guerra tra Filippo III e Alfonso X di Castiglia, il rancore della regina Maria di Brabante si abbatté su Pierre, travolgendolo; venne infatti accusato di tradimento ed anche di aver tentato di sedurla.
Questo avvenne per odio e per invidia, come egli stesso diceva, e non per colpa commessa, ma gli impulsi emanati dalle parole che promuovono il delitto tornano sempre a colpire di ritorno, similmente agli impulsi provenienti dal delitto stesso. Egli fu ucciso a sua volta dalle accuse che per astio e per invidia promosse la Regina Maria di Brabante.


       Come libero fui da tutte quante
     quell'ombre che pregar pur ch'altri prieghi,
  27 sì che s'avacci lor divenir sante,

Quando fui libero da quelle anime che volevano che tutti noi per loro si pregasse, così che venisse affrettata la loro salvezza,

       io cominciai: «El par che tu mi nieghi,
     o luce mia, espresso in alcun testo
  30 che decreto del cielo orazion pieghi;

io dissi: «Mi sembra che tu neghi, o Virgilio, esplicitamente in un passo del tuo poema che una preghiera possa piegare un decreto del Cielo;

       e questa gente prega pur di questo:
     sarebbe dunque loro speme vana,
  33 o non m'è 'l detto tuo ben manifesto?»

queste anime, invece, pregano per questo: è dunque vana la loro speranza, oppure non mi è ben manifesto quanto affermi?»

       Ed elli a me: «La mia scrittura è piana;
     e la speranza di costor non falla,
  36 se ben si guarda con la mente sana;

Ed egli a me: «Il mio testo è chiaro; e la loro speranza non è sbagliata, se si guarda attentamente con la mente libera da pregiudizi;

       ché cima di giudicio non s'avvalla
     perché foco d'amor compia in un punto
  39 ciò che de' sodisfar chi qui s'astalla;

perché l'altezza del Giudizio Divino non si abbassa per l'ardore di carità di coloro che pregano), "un punto" un istante di preghiera (di fronte alla realtà del tempo di Reincarnazione) non riesce a mitigare quella espizione necessaria all'anima che "qui s'astalla" qui dimora;

       e là dov'io fermai cotesto punto,
     non s'ammendava, per pregar, difetto,
  42 perché 'l priego da Dio era disgiunto.

e là (nell'Eneide), dove io chiarisco questo concetto, non si emendava con le preghiere, perché il perdono è diviso dalla Giustizia di Dio.

       Veramente a così alto sospetto
     non ti fermar, se quella nol ti dice
  45 che lume fia tra 'l vero e lo 'ntelletto.

Tuttavia non fermare il tuo pensiero in un dubbio così profondo, prima che "quella" illumini la tua mente di Verità assoluta.

       Non so se 'ntendi: io dico di Beatrice;
     tu la vedrai di sopra, in su la vetta
  48 di questo monte, ridere e felice».

Non so se intendi: mi riferisco a Beatrice (che potrà spiegarti questo concetto); tu la vedrai sulla vetta di questo monte ridere felice».

La purificazione non può avvenire se non attraverso il dolore. È soltanto il dolore che libera l'anima dal negativo, assorbito nel male operare.
Se l'amore, che accomuna nella pace e nella fratellanza, si eleva nelle alte Sfere Celesti in un'accorata preghiera, fatta di benefica energia, può irrorare l'anima in pena, che dal positivo verrà raggiunta ovunque essa sia, mediante la Forza­Pensiero.
Questa è la vera "comunione dei Santi, che libera l'anima dal peccato"... Senza questa comunanza affettiva, fatta di Amore fraterno, la Santa Particola non avrebbe alcun senso e resterebbe alla Terra con tutte le cose che non hanno un'anima.


       E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta,
     ché già non m'affatico come dianzi,
  51 e vedi omai che 'l poggio l'ombra getta».

Ed io: «Signore, andiamo più in fretta, poiché non mi affatico come prima, e vedi ormai come il monte proietta la sua ombra su di noi (l'ora avanza)».

Al nome di Beatrice, Dante prende fretta.


       «Noi anderem con questo giorno innanzi»,
     rispuose, «quanto più potremo omai;
  54 ma 'l fatto è d'altra forma che non stanzi.

«Noi finché dura il giorno andremo avanti», rispose, «quanto più potremo; ma le cose stanno in modo diverso da come tu pensi (riguardo a Beatrice).

       Prima che sie là sù, tornar vedrai
     colui che già si cuopre de la costa,
  57 sì che ' suoi raggi tu romper non fai.

Prima che tu giunga alla vetta del monte (reincarnandoti ancora), vedrai rinascere il sole, in modo tale che tu non romperai più i suoi raggi col tuo corpo.

La materia del corpo di Dante sarà più spiritualizzata e la luce del sole non produrrà di lui ombra alcuna.


       Ma vedi là un'anima che, posta
     sola soletta, inverso noi riguarda:
  60 quella ne 'nsegnerà la via più tosta».

Ma vedi là un'anima che è stata posta sola e che guarda verso di noi: ella ti insegnerà la via più breve».

       Venimmo a lei: o anima lombarda,
     come ti stavi altera e disdegnosa
  63 e nel mover de li occhi onesta e tarda!

Ci avvicinammo a lei: o anima lombarda, come stavi altera e disdegnosa nel tuo guardare lento!

       Ella non ci dicea alcuna cosa,
     ma lasciavane gir, solo sguardando
  66 a guisa di leon quando si posa.

Ella non ci parlava, ci lasciava proseguire, seguendoci con lo sguardo a guisa di leone che riposa.

       Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
     che ne mostrasse la miglior salita;
  69 e quella non rispuose al suo dimando,

Anche Virgilio le si avvicinò, pregandola di indicarci la migliore salita; e quella non rispose alla sua domanda,

       ma di nostro paese e de la vita
     ci 'nchiese; e 'l dolce duca incominciava
  72 «Mantüa...», e l'ombra, tutta in sé romita,

ma ci chiese del nostro paese e della nostra vita, e il maestro cominciò (pronunciando il nome della città natale) «Mantova...», e l'ombra, chiusa in se stessa fino a quel momento,

       surse ver' lui del loco ove pria stava,
     dicendo: «O Mantoano, io son Sordello
  75 de la tua terra!»; e l'un l'altro abbracciava.

si alzò verso di lui dal luogo dove prima stava, dicendo: «O Mantovano, io son Sordello della tua terra!»; e si abbracciarono.

Sordello da Goito, nato da famiglia nobile verso il 1200, fu giullare prima e poi uomo d'armi alla corte di Azzo VII d'Este; peregrinò prima nelle corti di Provenza e poi lasciò l'Italia, viaggiando nel mondo, sempre come uomo di corte.
Al seguito di Carlo d'Angiò nella spedizione in Italia, cade prigioniero prima di giungere nel Regno di Napoli, dove Carlo d'Angiò sconfisse re Manfredi.
Trovatore, uomo d'armi, signore di parecchi castelli, Sordello da Goito compose canzoni d'amore. Tra le sue poesie restò famoso "Il Pianto".


       Ahi serva Italia, di dolore ostello,
     nave sanza nocchiere in gran tempesta,
  78 non donna di province, ma bordello!

Ahi serva Italia, albergo di dolore, nave senza nocchiero in gran tempesta, non più Signora, esemplare di intere nazioni, ma bordello!

       Quell'anima gentil fu così presta,
     sol per lo dolce suon de la sua terra,
  81 di fare al cittadin suo quivi festa;

Quell'anima gentile fu così pronta a far festa al suo concittadino, solo al nome della sua terra;

       e ora in te non stanno sanza guerra
     li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
  84 di quei ch'un muro e una fossa serra.

e in te, Italia, si dilaniano fra loro i cittadini di una stessa città, chiusa da fossi e da muri, con i suoi abitanti sempre rissosi e discordi.

Qui il riferimento va anche agli uomini della Terra, "cittadini di una stessa città" divisi in nazioni da confini e barriere, e che da fratelli sono divenuti nemici.


       Cerca, misera, intorno da le prode
     le tue marine, e poi ti guarda in seno,
  87 s'alcuna parte in te di pace gode.

Cerca, o sventurata, le tue regioni marittime lungo le coste e considera lo stato delle regioni continentali, per vedere se in una qualunque parte vi sia pace.

       Che val perché ti racconciasse il freno
     Iustinïano, se la sella è vota?
  90 Sanz'esso fora la vergogna meno.

A che vale, o Iustiniano, riaccomodare il freno, se il trono è vacante? Senza le leggi romane, la vergogna sarebbe minore.

       Ahi gente che dovresti esser devota,
     e lasciar seder Cesare in la sella,
  93 se bene intendi ciò che Dio ti nota,

Ahi gente che dovresti esser devota, e lasciar sedere un Cesare sulla tua sella, se bene intendi ciò che Dio ti indica,

       guarda come esta fiera è fatta fella
     per non esser corretta da li sproni,
  96 poi che ponesti mano a la predella.

guarda come la fiera Italia è divenuta riottosa, perché non è corretta dagli sproni, da quando ponesti mano tu alla briglia, o gente incapace.

       O Alberto tedesco ch'abbandoni
     costei ch'è fatta indomita e selvaggia,
  99 e dovresti inforcar li suoi arcioni,

O tedesco Alberto d'Asburgo, che abbandonasti l'Italia, ora divenuta indomita e selvaggia, mentre tu avresti dovuto inforcare gli arcioni,

       giusto giudicio da le stelle caggia
     sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
 102 tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!

giusto giudizio venga dalle stelle per la tua trascuratezza e cada sul tuo sangue, talmente che il tuo successore ne abbia timore e insegnamento!

       Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,
     per cupidigia di costà distretti,
 105 che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.

Tu e tuo padre avete permesso che l'Italia, "il bel giardino dell'Impero" rimanga privo di ogni bene, bellezza e virtù.

       Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
     Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
 108 color già tristi, e questi con sospetti!

Vieni a veder l'Italia, la famiglia dei Montecchi, dei Cappelletti, dei Monaldi, dei Filippeschi, uomo senza cura (vieni a visitare l'inselvatichito giardino dell'Impero): alcune di queste famiglie sono già scomparse nelle guerre civili ed altre temono di subire la stessa sorte!

       Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
     d'i tuoi gentili, e cura lor magagne;
 111 e vedrai Santafior com'è oscura!

Vieni, o crudele, a vedere l'oppressione prodotta dai nobili feudatari e cura le loro magagne; vedrai la contea di Santafiora com'è decaduta!

       Vieni a veder la tua Roma che piagne
     vedova e sola, e dì e notte chiama:
 114 «Cesare mio, perché non m'accompagne?»

Vieni (Imperatore senza corona) a vedere la tua Roma che piange per la tua trascuratezza, e che vedova sola, giorno e notte ti chiama: «Cesare mio, perché non mi accompagni?»

       Vieni a veder la gente quanto s'ama!
     e se nulla di noi pietà ti move,
 117 a vergognar ti vien de la tua fama.

Vieni a vedere la gente quanto si ama! e se nulla di noi pietà ti muove, vieni a vergognarti della cattiva fama che ti sei acquistato presso gli italiani.

       E se licito m'è, o sommo Giove
     che fosti in terra per noi crucifisso,
 120 son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?

E se lecito mi è, o sommo Giove che fosti in terra per noi crocifisso, son forse gli occhi tuoi rivolti altrove?

       O è preparazion che ne l'abisso
     del tuo consiglio fai per alcun bene
 123 in tutto de l'accorger nostro scisso?

Oppure Tu permetti tanto male, in previsione di un bene concepito negli abissi dei Cieli e che l'intelligenza umana, col suo misero intuito, non raggiunge?

       Ché le città d'Italia tutte piene
     son di tiranni, e un Marcel diventa
 126 ogne villan che parteggiando viene.

Poiché le città d'Italia son tutte piene di tiranni, e un Marcello diventa ogni villano che parteggiando per un partito sale (su un seggio di capo senza esserne degno).

       Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
     di questa digression che non ti tocca,
 129 mercé del popol tuo che si argomenta.

Firenze mia, puoi essere ben contenta (dice sarcasticamente) perché tutti questi mali non ti toccano, grazie al popolo tuo che a far bene s'ingegna.

       Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
     per non venir sanza consiglio a l'arco;
 132 ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.

Molti uomini hanno giustizia in cuore e tardi scocca per non giungere all'arco senza consiglio, ma il popolo tuo l'ha al sommo della bocca.

       Molti rifiutan lo comune incarco;
     ma il popol tuo solicito risponde
 135 sanza chiamare, e grida: «I' mi sobbarco!»

Molti uomini rifiutano il comune incarico; ma il popolo tuo risponde sollecito senza essere chiamato, e grida: «Io mi sobbarco!»

       Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:
     tu ricca, tu con pace, e tu con senno!
 138 S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde.

Or ti fa lieta, perché ne hai motivo: tu ricca, tu con pace, tu con senno! Se dico il vero, l'apparenza non lo nasconde.

       Atene e Lacedemona, che fenno
     l'antiche leggi e furon sì civili,
 141 fecero al viver bene un picciol cenno

Atene e Sparta, che pure ebbero savie leggi, fecero ben poco

       verso di te, che fai tanto sottili
     provedimenti, ch'a mezzo novembre
 144 non giugne quel che tu d'ottobre fili.

in confronto a te, o Firenze, che fai tanto sottili provvedimenti, che a metà novembre non giunge quello che tu inizi in ottobre.

       Quante volte, del tempo che rimembre,
     legge, moneta, officio e costume
 147 hai tu mutato e rinovate membre!

Quante volte, nel tempo che rimembra legge, moneta, ufficio e costume tu hai mutato e rinnovate le tue membra!

       E se ben ti ricordi e vedi lume,
     vedrai te somigliante a quella inferma
     che non può trovar posa in su le piume,
 151   ma con dar volta suo dolore scherma.

Se tu ricordi e vedi bene, vedrai te somigliante a quell'inferma, che non può trovare posa in su le piume, ma si volta e rivolta, volgendosi ora su l'uno, ora su l'altro fianco, per fare schermo al dolore.

È qui presente il riferimento al genere umano costretto al dolore.

[linea separazione]

[pagina iniziale][e-mail] [Purgatorio canto V][canti del Purgatorio][La Commedia][indice libri]