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(1) Libro intervista di Giuseppe Caldarola, supplemento al n. 216 dell'Unità, 11-9-1993, p. 43.
(2) Rapporto semestrale della Dia. La criminalita' organizzata di tipo mafioso di origine calabrese. Gennaio 1994. pag. 197.
(3) Antonio Zagari, "Ammazzare stanca. Autobiografia di uno 'ndranghetista pentito", Edizioni Periferia, Cosenza, 1992, pag. 11.
(4) Relazione sul crimine organizzato del Ministero dell'Interno. 1993. Capitolo dedicato alla 'ndrangheta, pag. 163: "Alla fine del 1992 su un totale di 223 'pentiti', solo una ventina provenivano dai ranghi della 'ndrangheta".
(5) Luigi Maria Lombardi Satriani-Mariano Meligrana, "Un villaggio nella memoria", Casa del Libro, Reggio Calabria, 1983, pag. 139.
(6) Relazione Min. Int., pag. 216.
(7) Rapporto Dia, cit. pag. 211.
(8) Francesco Aragona, 'Ndrangheta. Vivere di stress, morire da mafiosi. L'Inchiesta, Reggio Calabria, 1991, pag. 127.
(9) Enzo Macri'-Antonio Lombardo, Ordinanza di rinvio a giudizio sulla guerra di mafia di Reggio Calabria (Albanese Mario + 190), 24-6-1988, pag. 144.
(10) Cfr. Corriere della Sera, "Italia, culla del crimine", corrispondenza da Bruxelles, pubblicata nell'edizione del primo novembre 1991, pag. 13.
(11) "...i mafiosi di questa fatta diventano presto capi di societa' e se non hanno potuto dare in patria le grandi prove della propria bravura e saziare la libidine di sangue, si recano in piu' spirabil aree, a New York, coll'aiuto della polizia che favorisce l'emigrazione degli elementi piu' torbidi". Cosi' scriveva il 12 ottobre 1906 sulla Gazzetta di Messina e delle Calabrie il giudice Antonio Filasto'. Cfr. "Alle origini della 'ndrangheta: la picciotteria" di Antonio Nicaso, Ed. Rubbettino, Soveria Mannella, 1990, pag. 33.
(12) Macri'-Lombardo, op. cit.
(13) Archivio Centrale dello Stato, Ministero degli Interni, Gab. 1953-56, Busta 4, fascicoli 1066/1-2.
(14) Ibidem.
(15) Tribunale di Locri, sentenza a carico di Agostino Giuseppe + 40 del 29 dicembre 1950.
(16) Miguel Cervantes, "Riconete e Cotardillo", traduzione italiana di L. Viardot. Cfr. Antonio De Leo, "La camorra", Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, tascabili LPE N. 5, pagg. 9-11.
(17) Era lo stesso Manapodio ad annotare su un registro le commissioni che riceveva dai clienti: "Al sarto gobbo soprannominato il Selguero (calderino) sei colpi di bastone per conto della signora che ha lasciato in pegno la sua collana. Esecutore il desmachado (il mutilato)"; "All'oste della lucerna dodici colpi di bastone di prima qualita', a uno scudo il colpo. Ricevuto un acconto per otto (...) Esecutore maniferro".
(18) Cfr. Enzo Magri', "Il brigante dell'Aspromonte", Camunia, 1989.
(19) Nel gergo furono tradotte le principali parole di uso corrente come pugnale (sferra), coltello (cerino), pretore (maggiorino), giudice istruttore (maggiore), questura (putea), guardie (zaffi), carabinieri (carrubbi), prostitute (sciacche), fazzoletto (muffa), orologio (ntiuno), catena (capezza), oro (grasciume), letto (putrimento), magnaccia (maggiorigna), cappello (sopracielo), occhi (lampanti), fidanzata (marca carnente), stare zitto (abbozzare), monete di carta (sfogliose), cassa sociale (baciletta), estraneo alla picciotteria (carduni), vino (tubu) e perquisizione (pulicijata). Questo gergo ancora oggi viene parlato in Calabria tra i piu' vecchi calderai, eredi di quelli che giravano per le fiere della regione e che spesso costituivano le "quinte colonne" delle bande che scorrazzavano per i piccoli centri montani. Un nuovo glossario venne inventato anche per termini come omicidio (utri ca fossa), furto (sbafu) e per avvertire i compagni dell'arrivo delle forze dell'ordine (sbrigna la contea). Anche le punizioni e le condanne venivano espresse in questo lessico particolare. Si poteva, infatti, essere stipatu, o come dicono in Sicilia, posatu (sospeso) e stipatu cu sfregiu (sospeso e sfregiato). Confronta Archivio di Stato di Catanzaro (ASCZ), Sentenze Penali, Corte di Appello delle Calabrie, Anno 1897, Vol. 336, 14 agosto. Archivio di Stato di Reggio Calabria (ASRC), Tribunale di Reggio Calabria, Anno 1897, Vol. VI, 7 settembre.
(20) ASCZ, Ibidem, 1890, Vol. 324, 14 ottobre.
(21) Tribunale di Milano. Ufficio del Gip Distrettuale. Processo penale a carico di Mazzaferro Giuseppe ed altri. N. 8317/92, R.G.N.R., N. 2155/93, R.G.G.I.P. Vol. I, Milano 6 giugno 1994, pagine 152-153.
(22) Enzo Biagi, "Il boss e' solo: la vera storia di un vero padrino", Mondadori, Milano, 1986, pag. 103.
(23) ASCZ, Ibidem, 1892, Vol. 336, 9 settembre.
(24) ASCZ, Ibidem, 1900, Vol. 385, 5 luglio.
(25) ASCZ, Ibidem, 1896, Vol. 359, 21 luglio.
(26) ASCZ, Ibidem, 1901, 4 giugno. Cfr. A. Nicaso, op. cit. pag. 70.
(27) ASCZ, Ibidem, 1892, Vol. 336, 9 settembre.
(28) ASCZ, Ibidem, 1894, Vol. 348, 12 settembre.
(29) Sharo Gambino, "La mafia in Calabria", Ed. Parallelo 38, Reggio Calabria, 1975, pagg. 88-90.
(30) Cfr. L'Adriatico n. 84 del 26 marzo 1901 in Gaetano Cingari, "Brigantaggio e contadini nel Sud (1799-1900), Ed. Meridionali Riuniti, 1976, pag. 257.
(31) Cfr. "Alle origini della 'ndrangheta", un articolo di Enzo Fanto' pubblicato su Calabria, mensile del Consiglio Regionale, XVI n. 40, agosto 1988, pag. 82.
(32) Pietro Borzumati, "La Calabria nei rapporti dei prefetti", Reggio Calabria, 1974, pag. 87 e seguenti, op. cit. in Cingari, Brigantaggio, cit.
(33) G.M. Galante, "Giornale di viaggio in Calabria - 1792", Edizione critica a cura di Augusto Placanica, Napoli, 1985, pag. 245 e seguenti.
(34) Corrado Alvaro, "Un treno nel Sud", Milano, 1958.
(35) Corrado Alvaro, "Un treno nel Sud", Milano, 1958.
(36) Lo stesso contegno caratterizzava i picciotti di Nicastro, in provincia di Catanzaro: "Chiamavansi tra essi compari; portavano i capelli alla maffiosa; vestivano per lo piu', onde riconoscersi pantaloni larghi, e cappelli a cencio; spesso riuniti a gruppi infestavano di notte tempo strade e vicoli poco frequentati, incutevano timore con aggressioni, per paura rimaste occulte, usavano nelle bettole con estranei atti di prepotenza e di camorra; per un nonnulla ferivano di rasoio, al maneggio del quale addestravansi fra loro". ASCZ, Corte d'Appello delle Calabrie, 5-6, 1903, vol. 402.
(37) L'organizzazione, scrivevano i giudici di Palmi il 15 marzo 1897, "aveva uno statuto contenente tutte le regole, sia in rapporto all'ammissione di coloro che intendevano prendervi parte, ed indicati di poi con il nomignolo di "picciotto", sia in rapporto agli obblighi inerenti, ed ai lucri e prebende che si ripartivano a secondo i gradi ed in maniera che il segno distintivo, denominato tatuaggio, indicava proprio l'avvenuta ammissione".
(38) ASCZ, Ibidem, 1897, Vol. 368, 20 novembre. I giudici di Reggio Calabria annotavano, ancora che "non s'entra nella societa' che per via di ammissione a voti e dopo cerimonie". Ed aggiungevano: "Vi sono segreti e vincoli: il segreto del camorrista e' il sette di denari; quello del picciotto e' il sei. Il motto di riconoscimento: onore compagnia e tre colla camorra. E vi sono pene che arrivano per i traditori infami alla morte. La societa' agisce da per tutto e financo nelle carceri e nelle colonie dei coatti. Il fondo permanente e' di L. 51; il resto si divide fra camorristi in parti uguali ed ai picciotti non si donano che somme a titolo di benemerenza. Non sono prescritte forme esteriori, ma vengono adottate per consentimento quasi comune, ed in ordine ai tatuaggi e' risaputo che sono simbolici e religiosi".
(39) ASCZ, Ibidem, 1901, 25 febbraio.
(40) Saverio Di Bella, "'Ndrangheta: la setta del disonore", Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, 1989, pag. 20.
(41) E. Fanto', Alle origini..., op. cit., pag. 81.
(42) Ibidem.
(43) ASCZ, Ibidem, 1900, Vol. 385, 5 luglio: "Nel comune di Maropati atteso le condizioni della P.S. si era formata un'associazione a delinquere composta di molti giovinastri, e quei paesani si erano impressionati della frequenza di molti e gravi delitti, come furti, danneggiamento, minacce ed altro, che si commettevano quasi sempre nello stesso modo e cogli stessi mezzi dalle stesse persone. Tanto che il parroco del paese, impressionato dai reati che si commettevano, dal pergamo esortava le donne, di richiamare i rispettivi mariti al retto sentiero, e questi infornati imprecavano contro il Parroco ingiungendolo di lasciargli fare se voleva vivere tranquillo".
(44) Vito Teti, A proposto di vecchia 'ndrangheta e nuova mafia in Calabria in "Cultura e politica contro la 'ndrangheta", AA.VV. Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, 1987, pag. 37.
(45) Sentenza di rinvio a giudizio contro i Corleonesi di Cesare Terranova, stralci della quale sono stati pubblicati da Claire Sterling nel suo libro "Cosa non solo nostra. La rete mondiale della mafia siciliana", Mondadori, Milano, 1990, pag. 28.
(46) Saverio Montalto, "La famiglia di Montalbano", Frama Sud, Chiaravalle Centrale.
(47) Nicola Misasi, "In Calabria. III. Il Gran Bosco D'Italia", introduzione di Pasquino Crupi, Cosenza, 1976, pag. 396.
(48) Vito Teti, Diet and Obesity in the Calabrese Society, XII Int. Congress of Anthropological and Ethnological Sciences (Zagabria, 1989), c.d.s.