hide random home http://www.asa89.it/music/pinkfloyd/pianeta/14-a.htm (Internet on a CD, 07/1998)


IL DISCO


Se all’epoca della realizzazione dell’ultimo album di Roger Waters, Amused To Death, tutta la stampa specializzata, nazionale ed estera, si era mostrata concorde nell’elogiarlo in blocco, definendolo un’opera eccellente, non altrettanto si è verificato per il nuovo lavoro del gruppo, The Division Bell, che ha suscitato giudizi molto discordanti da parte della critica, che in taluni casi ha lodato in altri bocciato l’attesissimo seguito di A Momentary Lapse Of Reason. Ma, come si suol dire in questi casi, il giudizio definitivo lo dà il pubblico e, sotto questo punto di vista, The Division Bell ha superato ogni più ottimistica previsione raggiungendo la vetta delle classifiche in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Italia, in Francia e nella maggior parte dei paesi europei.

Ma veniamo alla rassegna stampa. “Il rock sogna ancora” ha entusiasticamente titolato Gino Castaldo su “LA REPUBBLICA” che ha definito l’album “un kolossal sonoro che ben risponde alla fama immaginifica e ipertecnologica della band, un ridondante viaggio onirico di 66 minuti, corredato di suoni straordinari, curati fino alle massime raffinatezze consentite oggi dalle tecniche d’incisione...Il mondo dei Pink Floyd appare oggi come una lussureggiante Arcadia, dorata e malinconica, un mondo di rara perfezione sonora, dove la lente del sogno conferisce al la scoperta di sentimenti e verità esistenziali, la morbidezza fatata del viaggio fantastico... In alcuni momenti, come nella splendida “Poles Apart”, sembrano perfino in grado di aggiungere qualcosa di nuovo all’icona monumentale della musica del gruppo...”.

“Torna ancora più cupa la faccia della luna”, ha titolato Mario Luzzato Fegiz su “IL CORRIERE DELLA SERA”. Egli ha definito The Division Bell “un esercizio nel quale essi cercano di recuperare il meglio della loro tradizione vocale e strumentale. Tecnicamente, il risultato c’è anche se dà pochissime emozioni. E i primi a rendersene conto sembrano proprio loro...”(dopo un’affermazione del genere, da parte di uno che si considera uno dei più importanti critici musicali italiani, non resta altro da fare che mettersi le mani nei capelli...).

Marco Mangiarotti, su “IL GIORNO”, ha affermato che i Pink Floyd “rileggono il loro passato con una consapevolezza ed un rigore del tutto diversi, perché i visionari e psichedelici Pink Floyd sono oggi in grado di scrivere, disegnare, montare ed interpretare un ambizioso progetto multimediale di arte contemporanea e rock. Di arredare gli spazi della memoria e del mito con il catalogo stimolante e la sontuosa colonna sonora di The Division Bell”.

“Pink Floyd: l’importante è non cambiare”, ha sinteticamente titolato Gabriele Ferraris su “LA STAMPA”, dimostrandosi piuttosto critico nei confronti di “una band che era celebrata quando in Vietnam si moriva ed in Italia si contestava...The Division Bell è, in effetti, un disco inquietante; parte la musica ed è subito straniamento...Prodotto d’altissimo mestiere, e scarsissima ispirazione, venderà a milioni; soltanto ciò che è già stranoto può conquistare in fretta un pubblico planetario. E qui ci sono 66 minuti, 11 brani di “Pink Floyd music” che più Pink Floyd non si può; premeditata colonna sonora per le baracconate degli imminenti concerti..

“Nuove canzoni per vecchi visionari del rock”, ha titolato Alba Solaro su “L'UNITA'” che ha definito The Division Bell “un disco che si snoda tra sonorità in espansione, spunti orchestrali, il riverbero delle chitarre, l’ampio uso di rumori registrati, come da tradizione, mentre i testi vanno dalle filosofie evoluzioniste alle amare considerazioni sull’Europa dopo la caduta del Muro, fino agli usuali squarci di incubo, di “quieta disperazione quotidiana”, che fanno da sempre parte del loro immaginario. Un grande affresco pieno di autocitazioni, insomma, che si sforza di stare il più possibile alla larga dai barocchismi che avevano segnato le ultime avventure dei Pink Floyd...”.

“Un po’ meno Pink...” è stato il critico commento di Giorgio Monteduro su “IL RESTO DEL CARLINO” , piuttosto deluso da questo nuovo lavoro del gruppo da lui definito “globalmente deboluccio”, nonostante che “gli elementi positivi ci sarebbero tutti...Ma è lo smalto che non è più lo stesso, la freschezza e la genuinità immediata del sound, insieme magico e modernissimo, elettrico eppure romantico dei Pink Floyd degli anni Settanta e Ottanta...I temi trattati sono quelli classici della band, ma cominciano a sembrare studiati a tavolino, premeditati (troppo), ben pianificati e, in una parola, quasi senz’anima...”.

“Viaggio nella leggenda”, ha entusiasticamente titolato Massimo Cotto su “L'INDIPENDENTE”, il quale ha considerato The Division Bell “uno sforzo collettivo, come non accadeva più da vent’anni. E, davvero, a tratti, certi tratti, certi brani (“What Do You Want From Me” e “Poles Apart”, ad esempio) mandano bagliori di Wish You Were Here... Undici brani che non sono capolavori, ma soddisferanno, per le loro aperture melodiche, molto più dei due ultimi dischi..

“Pink Floyd, il mito copia se stesso per non deludere” è stato il titolo di “AVVENIRE”. Anche in questo caso, Gigio Rancilio si è sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda di Monteduro affermando che le canzoni “tutte ben suonate, ben cantate e ben arrangiate non aggiungono nulla alla storia del gruppo. Semmai ribadiscono, una volta di più, la bravura tecnica dei suoi componenti, ma anche quanto siano ormai poco liberi di sperimentare, timoroso come sono di tradire il proprio marchio di fabbrica, di deludere. Così, ascoltando The Division Bell, ecco spuntare moltissimi frammenti sonori di loro canzoni famosi. Quasi che i Pink Floyd si fossero consciamente copiati per assomigliare ancora di più a se stessi...”.

E veniamo ora alle riviste specializzate...Michele Paparelle del “BUSCADERO” ha affermato che The Division Bell “potrebbe essere il successore di Wish You Were Here e nessuno ci troverebbe alcunché da dire...The Division Bell è rilassante come un letto di contenzione, è un ipnotico che rende lucidi, quieti e disperati, lasciando al paziente solo una soluzione, continuare ad assumerlo, per placare l’angoscia...”.

Molto critico, invece, Stefano Ronzani sul “MUCCHIO SELVAGGIO” che ha dichiarato che “gli ultimi dei dischi dei Pink Floyd non sono tutti uguali come sembra, ma sono loro stessi delle controfigure e questo vanifica ogni tentativo di rinnovamento. Mason, Gilmour e Wright sono ormai dei musicisti da laboratorio informatico. Non che sia un reato, ma l’esagerata ridondanza di The Division Bell ci fa pensare ad un database mal progettato. Già dall’inizio sembra di trovarci di fronte ad un prodotto divulgativo di una casa di campionatori. Mi chiedo perché insistano con queste robe mastodontiche...”.

Molto più magnanimo, invece, Andrea Alfieri, su “ROCKSHOW” che ha affermato che ”mai come con The Division Bell, Gilmour e soci vogliono dimostrare di avere ancora tantissime cose da dire. E’ per questo che hanno confezionato un disco tecnicamente perfetto, in cui sono concentrati tutti i suoni tipici del gruppo...Se vi aspettate da The Division Bell novità assolute o la benché minima innovazione nel sound della band inglese rimarrete delusi. Il nuovo disco è, infatti, un clone ben riuscito di Wish You Were Here...”.

Giancarlo De Chirico su “TUTTIFRUTTI” ha giudicato The Division Bell un disco imperdibile, contraddistinto da brani come “What Do You Want From Me”, “Marooned” e “A Great Day For Freedom” che “confermano come la vena compositiva di Gilmour sia rimasta intatta e, al tempo stesso, denunciano il permanere di una sola fonte creativa nel gruppo...L’album è sicuramente ben fatto e impeccabile un po’ monocorde forse solo nella voce, ma la sensazione che i Pink Floyd abbiano perso la voglia di cercare, purtroppo qualche volta rimane...”.

Anche il mensile “RARO” si è rivelato piuttosto benevolo nei confronti del gruppo: “The Division Bell è un puro distillato di questo nome leggendario, un nome che, semplicemente, per limiti fisiologici e anagrafici è impossibilitato a ripetere le gesta di The Dark Side Of The Moon o di Wish You Were Here...Già il fatto di aver realizzato un’opera all’altezza della propria fama è un ottimo risultato e, del resto, i fan dei Pink Floyd non chiedevano nulla di più...”.

Walter Gatti sull’inserto del giovedì de “IL CORRIERE DELLA SERA” ha paragonato The Division Bell a Wish You Were Here ed ha individuato in Gilmour l’uomo della riscossa: “...e l’impronta di Gilmour è tangibile, perché porta nell’universo pinkfloydiano un ottimismo sconosciuto ai tempi duri di Roger Waters. Infatti, The Division Bell è un tentativi d’illuminare le possibili à di contatto ed amicizia fra gli uomini, di costruzione di società più aperte e solidali. Proprio come se a cinquant’anni si potesse iniziare a sperare in un mondo migliore...”.

E veniamo ora alle riviste estere...Cominciamo con il settimanale “NEW MUSICAL EXPRESS”, che ha sempre criticato aspramente i vecchi “dinosauri” del rock e, in particolare, i Pink Floyd, tanto che al nuovo album del gruppo è stato assegnato un bel “3”, mentre al pessimo album delle Hole (il complesso di Courtney Love, vedova di Kurt Cobain dei Nirvana) è stato attribuito uno scandaloso “8”. Tommy Udo ha scritto: “Non è che questo album sia particolarmente brutto, il fatto è che è così dannatamente anonimo. “Take It Back”, “Coming Back To Life” e “Lost For Words sono canzoni che producono pochi fremiti. E’ molto, molto noioso...”.

Molto più benevolo nei confronti dei Pink Floyd il mensile inglese “VOX”, che ha attribuito al disco un “6” di stima. “Questo non è un album né splendido, né essenziale”, ha scritto Stephen Dalton, “Comunque, anche essendo molto indulgenti, rimane stranamente consolante che il tempo raramente cambia sul pianeta Pink Floyd”.

Phil Sutcliffe sul mensile inglese “Q MAGAZINE” (probabilmente la più qualificata rivista musica le degli anni ‘90) ha definito The Division Bell un “buon album”, mettendo in risalto il lavoro di gruppo ed in particolare il contributo di Wright ed il ritorno del sassofonista Dick Parry: “...tutto questo può avere un accento fantasticamente nostalgico, ma sembra che ci sia un suono , un energico impeto emozionale dietro a ciò. I primi tre pezzi certamente suggeriscono ciò. Essi sono caratteristici, evidenti Pink Floyd... The Division Bell è certificata essenza dei Pink Floyd...dovrebbe essere proprio il lavoro per gli amanti dei Pink Floyd ed un sorprendente ascolto per chiunque vi si imbatta...”.

Brad Tolinski, su “GUITAR WORLD”, a differenza della maggior parte dei critici, considera The Division Bell “il primo album dei Pink Floyd fatto d’umanità. Con Gilmour saldamente al timone, la band sembra determinata a travasare fuori alcuni degli eccessi che alimentarono album come Animals e The Wall e pone le proprie canzoni in un contesto più umano...In seguito alla alquanto debole registrazione dell’87, A Momentary Lapse Of Reason, sembrava dubbioso che essi avessero qualcosa di nuovo da comunicare. Ma The Division Bell è un pezzo di lavoro disciplinato e sorprendentemente ingegnoso, dimostrando elegantemente che l’età si accompagna spesso alla saggezza...”.